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OMICIDIO FAVA – SULL’AGGUATO UNA LUNGA CONFESSIONE MA SENZA RISCONTRI

Pubblicato 10 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Sull’agguato una lunga confessione ma senza riscontri

A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA

09 gennaio 2022 • 19:00

Punto per punto, ecco tutte le dichiarazioni di Avola che non hanno portato
riscontri. Eppure il suo racconto “originale” sconfessa apertamente ed in
maniera insanabile le parole del pentito Grancagnolo, finendo per infliggere una
vera e propria picconata all’impianto accusatorio in quello che è l’omicidio più
eclatante ricollegato alla famiglia catanese di Cosa Nostra.

Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo
su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto
al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è
dedicata all’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, direttore de “I Siciliani”,
ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania. Nel 2003 la
Cassazione condanna il boss Nitto Santapaola all’ergastolo perché ritenuto il
mandante dell’omicidio. Mentre Aldo Ercolano e Maurizio Avola (reo confesso)
sono stati condannati come i killer dell’omicidio.

Per quanto riguarda il profilo della attendibilità intrinseca della propalazione
di Avola osserva, innanzi tutto, la Corte che l’autonomia del dictum di Avola
rispetto alle dichiarazioni degli altri collaboranti non può essere minimamente
posta in discussione, poiché egli, pur conoscendo espressamente la dichiarazione
di Grancagnolo fatta al pm il 20.3.1993 riportata in seno alla ordinanza di
custodia cautelare notificatagli in carcere il 17.12.1993 per il reato
associativo e peraltro integralmente depositata presso il Tribunale della
Libertà di Catania adito da Avola in sede di riesame della misura restrittiva,
ha fatto un racconto che, per la gran parte, è assolutamente originale, mentre
con riferimento al segmento fattuale rappresentato da Grancagnolo (e cioè
l’incontro al Motel Agip e la partenza dei killers) Avola si è posto in un
contrasto dirompente con quanto era stato riferito da Grancagnolo, ribadito
vibratamente in sede di confronto effettuato il 7.12.1994 a Torino con toni
financo irridenti nei confronti di Grancagnolo per come si vedrà
dettagliatamente in seguito.

Non c’è alcun dubbio che, se Avola avesse voluto adeguarsi al dictum di
Grancagnolo, avrebbe cercato di coniugare il suo racconto con quello di
Grancagnolo, anziché sconfessarlo apertamente ed in maniera assolutamente
insanabile, finendo per infliggere (anche per via della esclusione della
partecipazione di Cortese) una vera e propria picconata all’impianto accusatorio
in quello che è l’omicidio più eclatante ricollegato alla famiglia catanese di
cosa nostra.

E trattasi di rilievo che è bene memorizzare allorché si discetta della
credibilità soggettiva del collaborante Avola, per sgombrare il campo dalla
insinuazione, costantemente ribadita dalle difese, per cui egli non avrebbe
fatto altro che adeguarsi alle dichiarazioni degli altri collaboranti e
secondare le tesi accusatorie.

Per quanto riguarda il profilo della autonomia del dictum di Avola rispetto alla
stampa, osserva la Corte come lo stesso Avola abbia ammesso senza riserva alcuna
di avere letto il giornale “La Sicilia” del 6.1.1984 (il quale riferiva, oltre
che della pioggia che la sera dell’omicidio cadeva su Catania, anche i dati di
cronaca relativi all’omicidio avvenuto la sera precedente, ivi comprese le
notizie sul killer solitario e sulla pistola cal. 7,65 munita di silenziatore,
con la quale erano stati esplosi dal lato sinistro della Renault 5, attraverso
il vetro frantumato dello sportello, i cinque colpi che avevano attinto Fava, il
quale aveva appena spento il motore e si accingeva a scendere dalla macchina),
pur negando espressamente di avere ivi appreso il particolare del silenziatore
della pistola cal. 7,65, ma non c’è dubbio che il racconto fatto da Avola è così
analitico, preciso, specifico e dettagliato sull’antefatto, sulla fase esecutiva
in senso stretto e sul post factum che non può, nella sua interezza, essere
fondato esclusivamente sulla lettura di quanto pubblicato sulla stampa: è
certamente impossibile che Avola abbia potuto apprendere dal giornale quanto
egli ha riferito sui tentativi fatti in precedenza alla Villetta di S. Agata Li
Battiati ed al ristorante sito sul lungomare di Catania, sull’appostamento
effettuato davanti alla sede de “I Siciliani” in attesa della uscita di Fava,
sul fatto che l’auto del Fava aveva quella sera uno degli stop posteriori non
funzionanti; sul passaggio dalla salumeria della zia Piera, sul parcheggio della
Renault 18 in via dei Cosmi, sul brindisi fatto in casa di Licciardello dove
trovavasi Francesco Mangion e sulla espressione da quest’ultimo profferita per
cui con la uccisione di Fava si erano presi due piccioni con una fava e
quant’altro è stato dal collaborante riferito con dovizia di particolari
assolutamente inediti.

Sarà esaminato in seguito il profilo relativo alla genuinità del riferimento
fatto dal collaborante alla intervista rilasciata da Fava a Biagi ed alla
notizia che di tale intervista venne riportata sul giornale “La Sicilia” del
18.12.1994.

Venendo poi all’esame delle censure specifiche che dalle difese degli imputati
sono state avanzate in ordine alla attendibilità intrinseca della dichiarazione
di Avola si osserva quanto segue.

LA RAPIDA CARRIERA CRIMINALE DI AVOLA

È stato innanzi tutto rilevato da più parti che, al momento dell’omicidio di
Fava, Avola era un ragazzo di 22 anni, il quale era stato scarcerato nell’estate
del 1983 da appena quattro mesi; che in carcere egli era stato oggetto financo
di violenza fisica da parte di altri detenuti più anziani (a riprova del fatto
che Avola in quel momento non aveva alcun peso specifico nell’ambito della
famiglia catanese di cosa nostra e più in genere della criminalità catanese),
che poi in seguito per vendetta sarebbero stati uccisi; che la nomina di Avola
ad uomo di onore della famiglia catanese, pur a volere dare seguito alla
dichiarazione dello stesso Avola del 13.5.1996, era recentissima, risalendo alla
fine del 1983 inizio del 1984 e comunque prima dell’omicidio di Fava (anche se
poi, stranamente, all’udienza del 27.10.1999 dinanzi al Tribunale di Catania nel
processo Ercolano Aldo +4 il collaborante non indicherà tale evento nel novero
di quelli importanti che nella sua vita si erano verificati a fine del 1983
inizio del 1984 e pur a volere prescindere dalla indicazione fatta da Natale Di
Raimondo, per cui Avola sarebbe divenuto uomo di onore solo nel 1987,
indicazione quest’ultima che forse era strettamente dipendente dal fatto che Di
Raimondo era stato nominato uomo d’onore nel 1987 e solo allora aveva avuto
notizia ufficiale della composizione della famiglia; che tutto ciò era
scarsamente compatibile con il fatto riferito da Avola di essere stato egli
cooptato nella esecuzione dell’omicidio più eclatante commesso dalla famiglia
catanese di cosa nostra, che peraltro era rimasto riservatissimo anche a livello
informativo, costituendo patrimonio conoscitivo di pochissimi soggetti (che, per
detta dello stesso Avola, non eccedevano il numero corrispondente alle dita di
una mano).

Ora tutto ciò, seppure corrisponde a verità, non può essere di per se stesso
indice di una aprioristica inattendibilità intrinseca della dichiarazione di
Avola, perché nulla di strano vi è nel fatto che Avola, le cui doti di killer
efferato e spietato evidentemente erano già emerse tanto prepotentemente
nell’ambito della famiglia (in occasione della sua partecipazione all’omicidio
di Andrea Finocchiaro commesso tre mesi circa prima dell’omicidio di Fava) da
consentirgli di fare poi una carriera criminale rapidissima, possa essere stato,
non appena nominato uomo di onore, cooptato nella esecuzione del delitto in
esame da D’Agata Marcello, che era personaggio di assoluto rilievo in seno alla
consorteria e che (nel dictum di Avola) aveva curato la organizzazione
dell’omicidio: egli certamente conosceva bene Avola, il quale (anche se a quel
tempo non erano stati ancora costituiti i vari gruppi territoriali in cui si
venne poi ad articolare sul territorio la organizzazione della famiglia catanese
di cosa nostra) gravitava indubitabilmente intorno al Motel Agip, di cui era
gestore D’Agata stesso, il quale, da autentico scopritore di talenti emergenti,
aveva intravisto in Avola le doti di killer superiori alla media ed il notevole
spessore criminale dello stesso, il che lo aveva convinto ad avvalersi
dell’opera del giovane talento per la esecuzione dell’omicidio di Fava, essendo
stato deciso in sostanza nell’ambito della strategia organizzativa dell’omicidio
di operare una giusta miscellanea tra l’esperienza (assicurata dalla presenza di
D’Agata e di Enzo Santapaola) e la efficienza, assicurata dalla presenza di
Avola e di Ercolano, altro giovane elemento destinato ad un cursus velocissimo.

LE PRIME INFORMAZIONI RACCOLTE SU FAVA

[…] Si è discusso molto tra le parti in ordine alla circostanza riferita da
Avola, per cui D’Agata ed Ercolano avevano acquisito le prime informazioni sul
conto di Fava (e cioè sul luogo di residenza anagrafica e sui movimenti dello
stesso) a mezzo di un certo Claudio Balsamo, che il collaborante aveva indicato
come un soggetto romagnolo più alto di Avola e con i capelli lunghi e
brizzolati, amico di D’Agata e cognato del titolare del negozio di arredamento
per bagni denominato Belford (rectius: Elford) sito in via Asiago; che abitava
prima ad Ognina vicino il ristorante Costa Azzurra e poi in via Mollica di
Cannizzaro vicino al ristorante Selene; che aveva fatto da basista per una
rapina commessa a Bologna, cui aveva partecipato lo stesso Avola; che aveva
avuto un ruolo nella estorsione subita dal cognato e che una volta aveva
incontrato il Fava in Tribunale e lo aveva indicato a D’Agata.

Ora in tema va detto che, nel corso delle indagini, gli inquirenti mostrarono
alla moglie di Fava (Corridore Elena) un album contenente le fotografie di vari
soggetti aventi per cognome Balsamo e venne individuato in un primo tempo dalla
Corridore un certo Stefano Balsamo, che frequentava il Club della Stampa ed una
sera aveva aveva accompagnato la moglie di Fava dal Club della Stampa a casa
della stessa, sita al Corso Italia n. 213 di Catania, per come dalla stessa
Corridore dichiarato al pm l’1.12.1994, ma tale ricognizione in effetti (per
come dedotto dalla Pubblica Accusa) è del tutto irrilevante perché lo Stefano
Balsamo riconosciuto dalla Corridore non ha nulla a che vedere con il soggetto
indicato da Avola, che da parte sua il 7.12.1994 ha espressamente negato che lo
Stefano Balsamo fosse la persona cui egli aveva fatto riferimento.

In data 6.5.1995 venne sentito dagli inquirenti Stella Salvatore, titolare del
magazzino Elford, e tale dichiarazione consentì di individuare il soggetto
indicato da Avola (ed anche da Grancagnolo) come “Claudio Balsamo” in Claudio
Bassi. Stella ha ammesso di conoscere Marcello D’Agata; di avere un cognato di
nome Claudio Bassi che a sua volta era amico del D’Agata, il quale veniva nel
suo negozio e chiedeva lo sconto adducendo di essere amico del Bassi; che egli
aveva subito una estorsione preceduta dalla collocazione di un ordigno davanti
al suo negozio; di essere stato socio del Club della Stampa dal 1989 grazie alla
presentazione del giornalista Filippo Galatà e di Tony Zermo (il che non esclude
che lo Stella abbia frequentato il detto Club della Stampa come ospite anche in
epoca precedente, dati i rapporti di amicizia che intercorrevano tra lo Stella
ed il figlio di Filippo Galatà, socio di detto Club e conoscente di Fava oltre
che di Benedetto Santapaola, se è vero che risulta essere stato fotografato
assieme a quest’ultimo).

Ciò premesso reputa la Corte che dalle risultanze processuali acquisite non
emerga un riscontro pieno al dictum di Avola, ma neppure può dirsi che il
racconto di Avola sia stato smentito.

[…] In questa situazione può concludersi solamente che, sulla base della
dichiarazione di Avola, non può essere affatto esclusa la circostanza che
D’Agata abbia sfruttato la sua conoscenza con il Bassi per ottenere
informazioni, sia pure minimali, sul conto del Fava ed avere, in occasione
dell’incontro al Tribunale, una certa contezza sull’aspetto fisico del Fava, di
poi visto anche al rifornimento Agip del D’Agata, il tutto in funzione dello
svolgimento di una attività di controllo dei movimenti del Fava, senza però che
sulla eventualità suddetta vi sia stato riscontro oggettivo pieno in atti.

La difesa di D’Agata ha poi osservato che quanto riferito da Avola in ordine
alla perlustrazione fatta assieme a D’Agata nei pressi del palazzo sito al Corso
Italia 213, dove Fava abitava, sarebbe smentito dal fatto che già nell’ottobre
1983 il giornalista si era separato dalla moglie e viveva altrove assieme ai
genitori in via Generale San Marzano (per come è emerso dalle dichiarazioni rese
dai testi Mario Giusti, Claudio Fava e Quasimodo Giovanna).

Ora in tema devesi rilevare che la separazione personale dei coniugi
Fava-Corridore non era affatto nota alla consorteria, trattandosi di una
separazione di fatto risalente peraltro a poco tempo prima e d’altra parte Fava
aveva mantenuto ancora al Corso Italia 213 la residenza per così dire formale ed
ufficiale (quale si poteva evincere agevolmente per esempio dall’elenco
telefonico ovvero dai nominativi segnati sui pulsanti dei citofoni), per cui è
perfettamente logico che ivi vennero fatte le perlustrazioni ed è anche provato
il fatto che Fava, pur essendosi separato dalla moglie, spesso si recasse lo
stesso in Corso Italia 213 per ivi incontrare la moglie (con la quale
intratteneva buoni rapporti) ed i figli: se quindi il dato ufficiale si
coniugava perfettamente (tenuto conto ovviamente del fatto che gli appostamenti
presso l’abitazione del Corso Italia 213 erano saltuari) con la circostanza che
il Fava veniva pur sempre notato a volte al Corso Italia 213, non si comprende
perché mai Avola ed i suoi amici avrebbero dovuto sospettare che il Fava si
fosse separato dalla moglie e di conseguenza dirottare le perlustrazioni nel
luogo in cui il Fava si era trasferito (via Generale San Marzano) che
verosimilmente era rimasto ignoto alla cosca.

L’INTERVISTA RILASCIATA AD ENZO BIAGI

Va esaminato poi il segmento della dichiarazione di Avola relativo alla
intervista che Giuseppe Fava aveva rilasciato ad Enzo Biagi il 17.12.1983 negli
studi televisivi di Lugano di Retequattro in occasione di un dibattito cui
avevano partecipato Nando Dalla Chiesa ed il difensore dei fratelli Greco,
intervista andata in onda su detta rete televisiva il 29.12.1983, che da Avola è
stata indicata come l’evento che ha costituito la causa ultima dell’omicidio di
Giuseppe Fava.

[…] Contrariamente a quanto è stato sostenuto dalla difesa di Aldo Ercolano la
intervista de qua non è stata affatto generica e non può dirsi che non conteneva
nulla che non avesse potuto turbare gli animi dei soggetti chiamati in causa.

Ed, invece, si era trattata di una intervista che indubbiamente aveva lasciato
il segno, poiché Fava aveva trattato duramente il tema della mafia infiltrata
nel sistema bancario come strumento di riciclaggio delle ricchezze acquisite
illecitamente ovvero penetrata all’interno del Parlamento e della politica,
tanto da auspicare sotto questo profilo una rifondazione del sistema politico,
con l’avvento di una seconda Repubblica che avesse solo delle leggi ed una
struttura democratica, in cui il politico non fosse più succube di se stesso o
della ferocia degli altri, ma solo un professionista della politica; nella
intervista de qua Fava poi trattò la vicenda sentimentale di Luciano Liggio e
Leoluchina Sorisi (di cui si è detto sopra) come emblematica della arroganza di
un mafioso come Liggio manifestata anche nell’ambito dei rapporti personali.

L’intervista era stata per certi versi dirompente ed era stata tale da irritare
i protagonisti delle consorterie mafiose, e ciò è reso palese da quanto
affermato da Fava in chiusura della intervista: “in questo tipo di società la
protezione è indispensabile se qualcuno non vuole condurre la vita di lupo
solitario, che può anche essere una scelta, può anche essere affascinante per
essere soli nella vita e non avere né aderenze né protezioni di alcuna, parte
orgogliosamente soli fino all’ultimo”.

La suddetta intervista poi non fu assolutamente la causa scatenate dell’omicidio
in quanto essa ha avuto solamente la funzione di accelerare (rendendola
assolutamente improcrastinabile) la fase strettamente esecutiva dell’omicidio,
che già da tempo era stato concepito, deciso e programmato (sin da quando
Benedetto Santapaola era molto arrabbiato e furibondo in casa della Amato a
Siracusa a dicembre del 1982 per la lettura della rivista “I Siciliani”, che
denunciava all’opinione pubblica l’intreccio mafia politica affari), decisione
omicidiaria che era rimasta sempre valida, efficace ed attuale in seno alla
consorteria, tanto che tra gli affiliati non si perdeva occasione per boicottare
ed insultare Fava; il disprezzo che in seno alla famiglia catanese e palermitana
si era diffuso nei confronti di Giuseppe Fava è un dato certo nel processo,
avendo di ciò riferito tutti i collaboranti esaminati nel processo (ivi compresi
i palermitani Siino e Mutolo) ed Avola in particolare ha detto che Ercolano e
D’Agata “già da diverso tempo parlavano della necessità di eliminare il
giornalista per i suoi articoli contro la mafia” ed inoltre che D’Agata, ogni
qual volta leggeva la rivista “I Siciliani”, diceva che Fava era un “fituso”
perché parlava male della mafia e doveva essere eliminato.

La difesa di D’Agata poi ha rilevato che il riferimento di Avola alla intervista
de qua non sarebbe affatto genuino ed autonomo, perché Avola non avrebbe
riferito un dato che si apparteneva al suo patrimonio conoscitivo genetico, ma
si sarebbe solo appropriato di una circostanza che era stata pubblicata nel
giornale “La Sicilia” del 18.12.1993, ed esattamente il giorno successivo a
quello in cui era stata eseguita la operazione Orsa Maggiore.

[…] Un segmento della narrazione di Avola sul quale è stata misurata la
attendibilità intrinseca della dichiarazione del collaborante suddetto è
costituito dai tentativi di uccisione del Fava effettuati presso il bar La
Villetta di S. Agata Li Battiati e presso il ristorante “Grand Canyon” sito sul
lungomare di Catania.

[…] In seno alle dichiarazioni rese al pm il 10 e 16.3.1994 Avola ha collocato
chiaramente i due episodi suddetti dopo l’intervista concessa dal Fava ad Enzo
Biagi ed andata in onda su Retequattro il 29.12.1983, che avrebbe costituito la
causa scatenante dell’omicidio, per come ora detto.

In sede di esame dibattimentale del 28 e 29.11.1996 a seguito del controesame
della difesa di D’Agata, che fece constare al collaborante come la suindicata
intervista fosse stata trasmessa in televisione il 29.12.1983, Avola dichiarò di
ricordare meglio, assumendo che i tentativi in questione si erano verificati
prima della intervista suddetta, per poi tornare infine alla versione originaria
allorché il PM ebbe a contestargli le dichiarazioni originarie, inducendo così
la difesa a rilevare che tra il 29.12.1983 ed il 5.1.1984 vi sarebbe una
eccessiva concentrazione di eventi scarsamente credibile.

LA PISTOLA SILENZIATA

[…] Un’altra circostanza sulla quale si è discusso a lungo e molto vivacemente
tra le parti, con riferimento al tema della attendibilità intrinseca della
dichiarazione di Avola, è stata quella relativa all’utilizzo di una pistola
silenziata con la quale sarebbe stato consumato l’omicidio, secondo quanto è
stato riferito dal collaborante sin dalla dichiarazione resa al pm il 16.3.1994.

Va subito detto che il quotidiano “La Sicilia” del 6.1.1984 riportò subito,
riferendo della dinamica dell’agguato fatto la sera precedente a Giuseppe Fava,
la notizia che l’assassino solitario aveva sparato con una pistola cal. 7,65
munita di silenziatore (verosimilmente sulla base della constatazione del fatto
che le persone compulsate nell’immediato avevano dichiarato di avere sentito
poco o nulla).

Avola ha ammesso di avere letto il giornale suddetto, ma di non avere letto
invece del silenziatore, il che è dato inverosimile perché del silenziatore
suddetto si faceva cenno in seno al vistoso sottotitolo di un articolo a nove
colonne, che è versato in atti.

[…] Avola al dibattimento ha precisato che l’opera di silenziamento fu
realizzata in tempi molto rapidi e che non era assolutamente certo che la detta
opera fosse stata concretamente realizzata da Sgroi ovvero da altra persona cui
lo stesso Sgroi si fosse rivolto.

Le risultanze processuali acquisite non consentono di potere affermare che la
dichiarazione di Avola in ordine al segmento relativo alla pistola silenziata
sia stata riscontrata e confermata dalle stesse, ma le stesse non consentono
neppure di potere affermare che il dictum del collaborante sia stato smentito.

Orbene Sgroi Cosimo, esaminato in dibattimento, ha smentito l’assunto di Avola
ed i due sono stati posti a confronto all’udienza del 7.3.1997, all’esito del
quale ognuno dei due ha confermato la propria versione.

[…] Non c’è dubbio quindi che il dictum di Avola in ordine all’attività svolta
per ottenere il silenziamento della pistola cal. 7,65 non è stato riscontrato e
parimenti nulla è emerso con riferimento all’arma usata in occasione
dell’omicidio di Andrea Finocchiaro commesso appena tre mesi prima dell’omicidio
di Fava, per il quale Avola ha detto che sarebbe stato usato lo stesso
silenziatore, seppure la filettatura sulla canna non sarebbe stata fatta da
Sgroi, non risultando dagli atti del processo che siano stati sottoposti ad
alcun accertamento peritale eventuali reperti relativi all’omicidio di Andrea
Finocchiaro e che sia stato opportunamente investigato, sul punto del
silenziamento dell’arma, il soggetto che viaggiava in macchina accanto ad Andrea
Finocchiaro; il fatto che Sgroi non fosse stato officiato per la filettatura
della pistola usata per detto omicidio non appare un elemento significativo,
poiché è naturale che la consorteria avesse a sua disposizione diversi artigiani
a cui rivolgersi per la filettatura a seconda dei casi, delle necessità e delle
contingenze.

L’utilizzo di una pistola silenziata è stata poi esclusa dalla perizia che nella
immediatezza del fatto, in sede di indagini preliminari, è stata espletata su
incarico del PM dal Prof. Compagnini, il quale ha detto chiaramente che i
proiettili repertati non avevano traccia di silenziatore […] seppure il giornale
“La Sicilia” del 6.1.1984 avesse espressamente parlato di un killer solitario
armato di pistola munita di silenziatore. […] Parimenti ritiene la Corte che
nessun dato certo possa dedursi sul punto del silenziamento della pistola dalla
prova testimoniale espletata, poiché le risultanze emergenti da detta prova
appaiono tra loro contrastanti e non univoche.

Fonte:
https://www.editorialedomani.it/fatti/blog-mafie-omicidio-pippo-fava-agguato-confessione-senza-riscontri-q6vmftti


Pubblicato in Articoli



RINASCITA SCOTT, FRANCE 24 E IL RACCONTO DELLA ‘NDRANGHETA. GRATTERI: «INDAGINI
SEMPRE PIÙ IN PROFONDITÀ»

Pubblicato 10 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Rinascita Scott, France 24 e il racconto della ‘ndrangheta. Gratteri: «Indagini
sempre più in profondità»

Il reportage tra processo e attività investigativa. Le immagini con la cattura
di Bonavota. Il coraggio di Zappia. «Denunciare è necessario»

Pubblicato il: 09/01/2022 – 15:50

CATANZARO Si intitola “‘Ndrangheta, un processo per la storia” il reportage che
l’emittente France24 ha dedicato alla criminalità organizzata in Calabria
partendo dal maxiprocesso Rinascita, istruito dalla Dda di Catanzaro contro le
cosche di Vibo Valentia. Se l’Italia tace, la stampa estera manda i propri
giornalisti in Calabria per costruire lunghi e articolati servizi. E per la
Francia questo non è il primo reportage se, tra gli articoli della stampa
d’oltralpe, contiamo pure il documentario in fase di realizzazione prodotto
dalla Disney.
France24 ha inviato in Calabria i propri corrispondenti da Roma, tra i quali la
giornalista Louise Malnoy, a seguire l’attività di contrasto alla criminalità
organizzata guidata dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. I francesi
partono dal mostrare la vita blindata del magistrato il quale racconta la
propria sotto scorta dal 1989. Una scorta che si è fatta ancora più stretta e
stringente negli ultimi anni, con le nuove minacce contro il procuratore
intercettate dagli investigatori. Gratteri spiega come le misure di sicurezza
siano diventate più attente e siamo aumentati i controlli durante i percorsi. Il
paragone, che ricostruisce France 24, è con le stragi che hanno ucciso i giudici
Falcone e Borsellino.


GRATTERI: «I RISCHI AUMENTANO, MA LE NOSTRE INDAGINI VANNO FINO IN FONDO»

Le prime immagini sono girate negli uffici della Procura di Catanzaro e
raccontano una comunicazione tra Nicola Gratteri e i suoi pm. Direttamente al
cuore delle attività investigative: «I rischi sono aumentati negli ultimi tempi
– spiega il procuratore –, quando abbiamo spinto più in là, e sempre più in
profondità, le nostre indagini». Le telecamere si soffermano sulle effigi di
Falcone e Borsellino nello studio del magistrato. E le sue parole tornano
all’attentato progettato contro uno dei suoi figli: «Ha una moto, avevano
programmato di ucciderlo facendolo sembrare un banale incidente».


LA CATTURA DI DOMENICO BONAVOTA

France 24 mostra il lavoro dei carabinieri di Vibo Valentia. E attraverso la
voce del capitano Alessandro Bui, racconta l’arresto del latitante Domenico
Bonavota: «Avevamo solo cinque minuti per entrare in azione. Nei pressi della
casa c’erano persone per garantire una copertura al latitante mentre lui era
nascosto sotto il letto».


IL CORAGGIO DI ZAPPIA. «DIFFICILE MA NECESSARIO»

A Nicotera, l’inviata Louise Malnoy incontra Carmine Zappia, imprenditore che ha
deciso di denunciare. «Non è facile, ma ne vale la pena – dice –. Abbiamo
bisogno di cambiare, e questo comporta sacrifici ma è necessario». Il suo
negozio di tabacchi era costretto a pagare il pizzo. «Pagavo 15mila euro ogni
tre mesi. A un certo punto ho capito che non avrebbero mai smesso. E non avevo
più un euro per pagare». Ogni mattina le minacce diventavano più pesanti, fino a
quando Zappia non ha deciso di denunciare «e due mesi dopo i miei aguzzini sono
stati arrestati». Anche se la sfida ai clan gli è costata parecchi clienti.
«Dobbiamo ringraziare il Signore che lo abbia fatto, perché non è facile. Ci
leviamo il cappello davanti al signor Zappia», dice uno degli avventori.


LA COCA AL PORTO DI GIOIA TAURO. «NE ARRIVA A TONNELLATE»

I riflettori si spostano sul porto di Gioia Tauro, legato – spiega l’inviata –
alla crescita del boss Luigi Mancuso nei ranghi della ‘ndrangheta che conta.
Giorgio Pugliese, responsabile antifrode dell’Ufficio Dogane spiega: «In questo
porto passano ogni anno tonnellate di cocaina, non chili. Nel 2020 il nostro
ufficio ne ha sequestrato circa sette tonnellate». Sono una quarantina i
container ispezionati ogni giorno e soltanto il 10-15% della droga importata
viene intercettata dai controlli. «È come trovare un ago in un pagliaio», dice
Loris Spadafora, uno dei responsabili delle verifiche.


FILIPPO CERAVOLO E IL SOGNO DI ANDARE A VEDERE LA JUVENTUS

France24 arriva a Soriano Calabro, piccolo centro delle Preserre vibonesi
stretto nella morsa di una guerra di mafia tra le cosche Loielo ed Emanuele. La
tv entra in casa di Martino Ceravolo, un commerciante, un padre al quale oggi
non resta che mostrare i ricordi di suo figlio Filippo, morto a soli 19 anni,
vittima innocente di un agguato di mafia il 25 ottobre 2012. Casa di Martino è
un santuario dedicato a Filippo. Martino ha incorniciato anche il biglietto del
treno che avrebbe dovuto portare Filippo a vedere a Pescara la partita della sua
squadra del cuore, la Juventus. Un sogno che il ragazzo non ha mai realizzato.
La vita di questo padre è protesa a mantenere viva la lotta per ottenere
giustizia e verità. E a ricordare a tutta la popolazione la morte di un
innocente in un agguato destinato a un altro, c’è un monumento al centro di
Soriano che svetta contro il cielo e porta un medaglione al centro col viso del
19enne.

Fonte:
https://www.corrieredellacalabria.it/2022/01/09/rinascita-scott-france-24-e-il-racconto-della-ndrangheta-gratteri-indagini-sempre-piu-in-profondita/


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RINASCITA SCOTT SULLA TV FRANCESE: IL MAXIPROCESSO IGNORATO DALLA STAMPA
ITALIANA MA NON DA QUELLA INTERNAZIONALE

Pubblicato 10 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Rinascita Scott sulla tv francese: il maxiprocesso ignorato dalla stampa
italiana ma non da quella internazionale

Il reportage di France24 nella provincia di Vibo Valentia: le interviste al
procuratore Gratteri e al capitano Bui, ma anche le storie di resistenza e
coraggio di Carmine Zappia e Martino Ceravolo

di Redazione

9 gennaio 2022 15:12

“Italy’s ‘Ndrangheta mafia: a trial for the history books”. È il titolo del
reportage in lingua inglese trasmesso nella serata di ieri da France24, colosso
multimediale francese, a cura di Louise Malnoy, in collaborazione con Charlotte
Davan Wetton, Lorenza  Penza e Natalia Mendoza. Un viaggio nella ‘ndrangheta che
parte dall’ufficio del procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, che narra
del maxiprocesso Rinascita Scott (sempre più ignorato dai media italiani ma di
nuovo al centro dell’attenzione internazionale) e che attraversa la provincia di
Vibo Valentia. Lo speciale inizia con l’intervista al capo della Dda di
Catanzaro, il quale racconta la sua storia sotto scorta, il significato
dell’inchiesta Rinascita Scott ed il valore, anche simbolico, dell’aula bunker
di Catanzaro.

La troupe di France 24 sale anche a bordo dell’auto blindata del magistrato
simbolo della lotta alla ‘ndrangheta, accompagna i carabinieri di Vibo Valentia
in un servizio di controllo del territorio e intervista il capitano Alessandro
Bui, comandante del Nucleo investigativo di Vibo Valentia.

“Italy’s ‘Ndrangheta mafia: a trial for the history books” mostra anche
l’impegno dell’associazione Libera nel territorio di Vibo Valentia e, in
particolare, del referente provinciale Giuseppe Borrello, che animò la storica
manifestazione del 24 dicembre 2019, quando circa duemila cittadini, cinque
giorni dopo la maxioperazione, scesero in strada per esprimere la loro
gratitudine alla magistratura e ai carabinieri, del Ros di Catanzaro e Roma e
del Comando provinciale di Vibo Valentia.

Le giornaliste francesi intervistano, tra gli altri, due figure emblematiche
della storia recente della Calabria, ovvero Carmine Zappia, imprenditore e
testimone di giustizia, e Martino Ceravolo, il papà di Filippo, vittima
innocente della criminalità organizzata, ucciso la sera del 25 ottobre 2012.

Il reportage dell’emittente francese fa anche tappa davanti all’abitazione di
Luigi Mancuso, il Supremo, e nel porto di Gioia Tauro. Intervista il
collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura e mostra immagini esclusive, come
quelle inerenti la cattura di Domenico Bonavota, il boss di Sant’Onofrio tra i
principali imputati di Sant’Onofrio.

Del maxiprocesso Rinascita Scott si è occupata anche LaC con una trasmissione
dedicata, articolata in due stagioni, volta a rompere il silenzio e raccontare
uno dei più grandi processi contro la criminalità organizzata (RIVEDI QUI LE
PUNTATE)

Fonte:
https://www.lacnews24.it/cronaca/rinascita-scott-sulla-tv-francese-il-maxiprocesso-ignorato-dalla-stampa-italiana-ma-non-da-quella-internazionale_148569/


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BARDELLINO AVEVA APPARTAMENTI A GAETA,FORMIA,PISA ED  ANCHE UN OSPEDALE PRIVATO
NEL CASERTANO

Pubblicato 10 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Il boss Bardellino aveva anche un ospedale privato

9 Gennaio 2022

Di Redazione


LA STORIA DELLA CAMORRA – GIÀ NEGLI ANNI ’80 SI REGISTRARONO INFILTRAZIONI
CAMORRISTICHE NEL SISTEMA SANITARIO

Le indagini contro la camorra hanno dimostrato come i clan, negli anni, abbiano
provato a mettere le mani sulla sanità campana. Per esempio una recente indagine
sui clan del Vomero hanno svelato un ingente giro d’affari illegale attorno agli
appalti indetti dai maggiori ospedali napoletani. Ma l’interesse per questo
settore non è una cosa recente.

Già negli anni ‘80, quando in Campania imperversava la faida tra Nuova camorra
organizzata e Nuova famiglia, si registrarono infiltrazioni camorristiche nel
sistema sanitario. Addirittura il boss Antonio Bardellino riuscì a ottenere la
gestione di un ospedale. A dicembre del 1985 i giudici della terza sezione
penale del tribunale di Napoli emisero un’ordinanza di sequestro per un
nosocomio nel Casertano.

Secondo le indagini svolte all’epoca dalla Criminalpol, alcuni dei soci della
società che gestiva il presidio sarebbero stati affiliati del fondatore del clan
dei Casalesi, all’epoca latitante perché colpito da mandato di cattura per
associazione per delinquere di stampo camorristico e per numerosi altri reati.

Con la stessa ordinanza i giudici disposero il sequestro di alcuni beni di
Bardellino intestati alla sua convivente e ad alcuni parenti: parte di due
fabbricati e un appartamento di Gaeta, un altro a Pisa, due case, due terreni,
un locale e una villa a Formia in base alla legge antimafia che prevede il
sequestro e poi la confisca dei beni di pregiudicati sottoposti a indagini che
non siano in grado di dimostrarne la legittima provenienza.

Fonte:
https://www.stylo24.it/il-boss-bardellino-aveva-anche-un-ospedale-privato/


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LA FAMIGLIA DI SANDOKAN ACCUSA ORLANDO DIANA: “ERA L’UOMO DI ZAGARIA SUL COMUNE”

Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


La famiglia di Sandokan accusa Orlando Diana: “Era l’uomo di Zagaria sul Comune”

E’ stato consigliere dal 2004 al 2012. Schiavone: “Nascondeva le armi di
Caterino”

Di Giuseppe Tallino -7 Gennaio 2022

SAN CIPRIANO D’AVERSA – Sarebbero stati Orlando Diana, 41enne, ex consigliere
comunale, e Maurizio Zippo, 57enne, a rappresentare gli interessi del clan dei
Casalesi nel business delle cooperative sociali: è la tesi su cui, da circa tre
anni, sta lavorando la Squadra mobile di Caserta. E se la Procura distrettuale
di Napoli, che coordina l’indagine, le sta dando credito, al netto di
intercettazioni e riscontri documentali, è anche per le diverse dichiarazioni
fatte dai collaboratori di giustizia sui due personaggi (indagati a piede libero
per associazione mafiosa). Tra i pentiti ascoltati dai magistrati c’è Nicola
Schiavone, primogenito del capoclan Francesco Sandokan: “Sono andato anche in
vacanza con Orlando Diana – ha raccontato nel 2018 al pm Maurizio Giordano -.
Tra i vari viaggi ricordo uno a Montecatini e un altro a Malta. […] I suoi
rapporti con Michele Zagaria sono molto buoni, al punto che posso
tranquillamente affermare, per mia scienza diretta, che mi deriva da tale
intensità di frequentazione con costui, che Diana era la faccia pulita di
Zagaria sul Comune di San Cipriano d’Aversa quando intraprese anche un’attività
politica durante la sindacatura Martinelli”. La parentesi amministrativa di
Diana, iniziata nel 2004, si è chiusa nel 2012. Ora a sedere in Assise c’è la
moglie, Giuseppina Barbato (estranea all’inchiesta).

“Il rapporto tra me e lui – ha proseguito Schiavone – è durato alcuni anni,
almeno fino al 2005-2006”. A farlo incrinare, ha riferito il pentito, sarebbero
state, poi, questioni di donne. “Era fidanzato con la sorella di Mario Barbato,
ma intraprese una relazione con la cognata, fidanzata del fratello di Mario.
Quando seppi questa cosa, reagii mettendolo in cattiva luce, allontanandolo dal
mio gruppo”.

Diana, stando a quanto sostenuto da Schiavone, era legato pure a Oreste Caterino
e quest’ultimo “era solito nascondere le armi all’interno della sua abitazione”

Finito l’idillio con Schiavone, il sanciprianese si sarebbe avvicinato
definitivamente agli Zagaria: “Più volte ospitò Michele a casa”. Il 41enne è
anche parente a Francesco Zagaria, alias Ciccio ‘a benzina, defunto marito di
Elvira Zagaria, sorella del capoclan Michele, e ritenuto dagli inquirenti il
principale collegamento della cosca di Casapesenna con i politici e con il mondo
della Sanità.
Il primogenito di Sandokan alla Dda ha parlato anche di Maurizio Zippo. “E’
detto Zippetiello, si frequentava con Ernesto De Luca del clan Iovine”.

A fornire informazioni alla Procura distrettuale su Orlando Diana è stata anche
Giuseppina Nappa, ex moglie di Sandokan, dal 2018 sottoposta al programma di
protezione offertole per la collaborazione con la giustizia intrapresa dal
figlio Nicola. “Si tratta di una persona che è stata molto vicina a Zagaria,
ospitandolo anche durante la sua latitanza Tale notizia – ha riferito nel 2020
al pm Simona Belluccio – mi è stata data dal fratello della moglie di Orlando
Diana”.

Accuse pesanti che non rappresentano verità assolute: alla Dda il compito di
valutarle e riscontrarle. Del resto, l’indagine sul mondo delle cooperative è
ancora in corso. Al momento è sfociata solo in perquisizioni presso le sedi di
svariate società, attive nel ‘Terzo settore’, e presso le casa di Diana, Zippo e
di altri 15 indagati. Ha acceso i riflettori sulle coop che orbitano intorno
agli imprenditori Pasquale Capriglione, di Falciano del Massico, Luigi
Lagravanese, di Aversa, i già citati Diana, Zippo e alla commercialista Eufrasia
Del Vecchio, residente a Casapulla e sorella del ras Carlo del Vecchio: stando
alla tesi degli investigatori si sarebbero aggiudicate in questi anni appalti su
appalti da Comuni e Ambiti territoriali grazie a procedure illecite messe in
atto con la complicità di politici e dipendenti pubblici. Il tutto, dice
l’accusa, all’ombra del clan dei Casalesi.

Rifiuti e clan dei Casalesi, Cassandra: “Graziano presentò Zagaria a Savoia”

Bandi di gara cuciti su misura. Smantellato il sistema Savoia: sei arresti e
tredici…

Fonte:
https://cronachedi.it/la-famiglia-di-sandokan-accusa-orlando-diana-era-luomo-di-zagaria-sul-comune/


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INFILTRAZIONI CRIMINALI, PNRR E RUOLO DELLE PREFETTURE. INCONTRO FORMATIVO A
COSENZA

Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Infiltrazioni criminali, Pnrr e ruolo delle Prefetture. Incontro formativo a
Cosenza

Il 14 gennaio giornata per imprese, professionisti e dipendenti pubblici.
Appuntamento alla Camera di Commercio di Cosenza

Pubblicato il: 07/01/2022 – 15:58

COSENZA L’illegalità economica, ancor più se esercitata in forma organizzata e
strutturata, distorcendo le normali regole del mercato, abbatte i potenziali di
crescita di un Paese che, già fiaccato da numerosi anni di recessione e stallo
economico, è stato messo a dura prova dall’emergenza sanitaria, economica e
sociale generata dalla pandemia.
Emergenza che ancora una volta rappresenta un’opportunità per le mafie per
infiltrarsi ancora di più nel tessuto economico, proponendosi come welfare
alternativo e offrendo le proprie risorse finanziarie in un momento di crisi di
liquidità.
Questo il tema che sarà affrontato il prossimo 14 gennaio – dalle 10,30 – dal
presidente della Sezione II del Tar Campania, Nicola Durante, nell’evento
formativo gratuito online e in presenza – nel rispetto delle normative vigenti e
fino alla capienza dei posti prevista – organizzato dalla Camera di Commercio di
Cosenza, con l’intervento dei presidenti degli ordini professionali aderenti.
Il recente intervento normativo dello scorso novembre, che ha interessato il
Codice antimafia su aspetti di rilievo come, ad esempio, la cosiddetta
“prevenzione collaborativa”, apre nuove prospettive all’attività dello Stato dal
punto di vista della prevenzione degli eventi criminali, soprattutto con
riferimento alle infiltrazioni di tipo mafioso. Un intervento che, in termini
generali, può produrre effetti di portata più ampia sull’intero sistema, essendo
idoneo a dar vita ad un nuovo e più costruttivo rapporto tra Prefetture,
autonomie locali e mondo delle imprese.
«L’incontro formativo rappresenterà un’occasione di approfondimento – afferma il
Presidente Klaus Algieri – e l’opportunità di osservare il fenomeno da
prospettive diverse, per comprendere insieme cosa si può migliorare nel
contrasto alle mafie e nella nostra legislazione antimafia, perché la libertà di
impresa, la sicurezza e la trasparenza del mercato sono precondizioni
imprescindibili di una economia sana».

Fonte:
https://www.corrieredellacalabria.it/2022/01/07/infiltrazioni-criminali-pnrr-e-ruolo-delle-prefetture-incontro-formativo-a-cosenza/


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IL FOGGIANO È SOTTO ASSEDIO. ALTRA BOMBA NELLA NOTTE: È LA 4° INTIMIDAZIONE
NELL’ARCO DI POCHI GIORNI

Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Il Foggiano è sotto assedio. Altra bomba nella notte: è la 4° intimidazione
nell’arco di pochi giorni

07 Gennaio 2022

Ancora un boato, ancora una bomba. Potrebbe essere, se accertato, la quarta
intimidazione registrata nel foggiano dall’inizio del nuovo anno dopo le tre
bombe di cui, due a San Severo e una nel capoluogo da uno. Fiamme nel quartiere
Cep dove ignoti hanno fatto saltare in aria un furgone della “New Coffee 0861”,
società che distribuisce caffè. L’incendio ha danneggiato anche una parte della
palazzina sotto la quale era parcheggiato il veicolo. Sul posto la Polizia di
Stato per le indagini.

Per l’azienda del caffè non è il primo caso di cronaca. Nel 2018 finì nel mirino
della malavita il “Bar Lume New Coffee 0861” in Piazza Cavour, pieno centro
cittadino. Un episodio che fece ipotizzare una sorta di “guerra del caffè” per
il controllo della distribuzione in città. Quello della scorsa notte è il quarto
attentato in Capitanata dopo le due bombe a San Severo e quella ad un fioraio di
Foggia.

Il fatto è successo nella notte: le fiamme hanno avvolto la parte anteriore di
un furgoncino dell’azienda, parcheggiato in strada. Immediato l’allarme lanciato
a vigili del fuoco e carabinieri: i primi hanno subito spento il rogo, i secondi
hanno avviato le indagini del caso. Al vaglio dei militari la presenza di
telecamere utili in zona. Non si esclude la matrice dolosa del gesto.

Fonte:
https://puglia.gazzettadelsud.it/articoli/cronaca/2022/01/07/il-foggiano-e-sotto-assedio-altra-bomba-nella-notte-e-la-4-intimidazione-nellarco-di-pochi-giorni-055229f8-73d7-417f-b515-97cb91ff6fd6/


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OMICIDIO ALFANO, ASSOSTAMPA SICILIA: ”ISTITUZIONI VIGILINO SU SUA MEMORIA”

Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Omicidio Alfano, Assostampa Sicilia: ”Istituzioni vigilino su sua memoria”

AMDuemila

08 Gennaio 2022

Anche Assostampa Siciliana ricorda oggi Beppe Alfano, cronista ucciso ventinove
anni fa, l’8 gennaio 1993, a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) a colpi di arma
da fuoco. Di mestiere faceva l’insegnante – aveva insegnato per anni anche a
Cavedine, in Trentino – ma svolgeva attività di cronaca e di inchiesta per le
emittenti locali e come corrispondente del quotidiano “La Sicilia” di Catania.
“Con i suoi articoli – scrive in una nota il sindacato unitario dei giornalisti
siciliani – Beppe Alfano rivelò la presenza della criminalità organizzata in
quella parte di Sicilia, la cosiddetta mafia dei Nebrodi. Le sue inchieste
fecero emergere storie di appalti irregolari, un traffico di stupefacenti e di
armi, intrecci tra cosche, amministrazioni locali e massoneria”. Nel 29/mo
anniversario si alza però il grido di allarme della figlia di Beppe Alfano,
Sonia, che grazie all’intervento dell’associazione ‘Ossigeno per
l’informazione’, ha ricostruito quello che sta avvenendo negli ultimi mesi. Per
l’assassinio di Alfano nel 2006 sono stati condannati Nino Merlino quale
esecutore materiale e il boss Giuseppe Gullotti come mandante. Nel 2019 la Corte
d’appello di Reggio Calabria ha acconsentito alla revisione del processo, su
istanza dei legali di Gullotti.
“Sebbene sia prevista dal nostro ordinamento giuridico – dice -, questa
revisione è uno scandalo perché è stata disposta esclusivamente su richiesta del
mandante dell’omicidio di mio padre, senza che il giudice vagliasse, come da
procedura, l’esistenza e la validità di eventuali nuove prove. Il processo va
avanti nel totale silenzio delle istituzioni. Adesso siamo in prossimità della
sentenza, che potrebbe arrivare prima della conclusione del procedimento per
corruzione contro il magistrato Olindo Canali, accusato di essere stato pagato
dal boss Gullotti per fargli ottenere la revisione del processo”.
In corso anche le indagini, riaperte a dicembre 2020, sull’arma del delitto.
Oggi è stata deposta una corona d’alloro sulla stele alla memoria di Beppe
Alfano eretta a Barcellona Pozzo di Gotto in via Marconi. “Non partecipo a
questa commemorazione a causa della recrudescenza dei contagi da Covid-19”, ha
spiegato Sonia Alfano, che sottolinea di essere, in generale, “delusa e
arrabbiata” nei confronti dello Stato “che non ha dimostrato in questi lunghi
anni di volere davvero onorare la memoria di mio padre. E’ avvilente constatare
che esistono vittime di mafia per le quali le commemorazioni si sprecano mentre
altre vittime sono dimenticate”.  “Ringrazio ‘Ossigeno’ – sottolinea Sonia
Alfano – perché prova a ricordare tutti i giornalisti italiani uccisi dalle
mafie, dal terrorismo e dalle guerre. Ciascuno di loro aveva una storia umana,
oltre che professionale, che va tramandata in onore della dignità di queste
persone che, nella maggior parte dei casi, attendono ancora giustizia. E’
importante che l’operazione della memoria parta dai giornalisti, se così non
fosse sarebbe avvilente per l’intera categoria”. Assostampa Sicilia, nel
raccogliere l’allarme lanciato da Sonia, fa appello a tutte le istituzioni
affinché “si vigili sulla memoria del collega Beppe Alfano”.

Fonte:
https://www.antimafiaduemila.com/home/di-la-tua/239-parla/87519-omicidio-alfano-assostampa-sicilia-istituzioni-vigilino-su-sua-memoria.html


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ANTOCI A UNOMATTINA: MAFIE SI COMBATTONO CON LAVORO E SVILUPPO

Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Antoci a Unomattina: mafie si combattono con lavoro e sviluppo

AMDuemila 08 Gennaio 2022

Il presidente Antoci ospite al programma di Rai Uno

Questa mattina Giuseppe Antoci, Presidente Onorario della Fondazione Caponnetto
ed ex Presidente del Parco dei Nebrodi, sfuggito ad un agguato mafioso nel
maggio del 2016, ospite su Rai Uno della trasmissione Unomattina.
Si è parlato dell’attentato incendiario che il 23 dicembre 2016 ridusse in
cenere il Centro Informativo del Parco dei Nebrodi a San Fratello, allocato
nella struttura del Centro Polifunzionale del Cavallo Sanfratellano, che a
cinque anni da quel tragico evento, proprio il 23 dicembre scorso, è stato
ricostruito ed inaugurato attraverso una nuova struttura rimodernata e ampliata.
Antoci a Unomattina, in diretta da San Fratello insieme al Sindaco Salvatore
Sidoti, ricorda quei momenti e le sue parole al TG1: “Lo ricostruiremo più
grande e più bello”. Una scommessa vinta dall’allora Presidente del Parco dei
Nebrodi.
Alle domande dei due conduttori Marco Frittella e Monica Giandotti, che hanno
ricordato che proprio in quell’anno il Presidente e la sua scorta furono oggetto
di un grave attentato mafioso, Antoci ha risposto:
“Quello è stato un anno complicato e quel 23 dicembre è stato veramente un
brutto regalo di Natale. Proprio ai microfoni del TG1 dissi quella mattina, con
le ceneri ancora fumanti: Lo rifaremo più grande e più bello. Trovammo i fondi e
li abbiamo affidati al Comune di San Fratello; i lavori sono andati avanti e
quest’anno, il 23 dicembre, lo abbiamo inaugurato insieme al Sindaco Salvatore
Sidoti e alle Autorità dello Stato. Abbiamo inaugurato questa rinascita. Questi
cavalli Sanfratellani che si erano salvati dalle fiamme quel giorno, con quegli
occhi impauriti ma fieri, mi diedero la forza proprio di dire lo rifaremo più
grande e più bello. Ecco, questa è una pagina di vittoria, in quell’anno
complicato, è una pagina di vittoria perché le mafie e la criminalità si
combattono prioritariamente con lo sviluppo, con il lavoro, con l’ambiente, con
le tante persone perbene che popolano questo territorio e alle quali questa
struttura è dedicata. Qui ci sono dei segnali importanti come quello di Luciano
Pavarotti che regalò tutti i box dei cavalli oggi dentro questa struttura. Una
sala dove i ragazzi potranno venire a studiare questo “Re dei Nebrodi”, il
cavallo Sanfratellano che è il vero vincitore di questa vicenda. Ma questa
struttura darà la possibilità, proprio in sella a questo cavallo Sanfratellano,
di girare i Nebrodi, di fare escursionismo e soprattutto darà la possibilità a
tanti ragazzi di avvicinarsi all’equitazione e di frequente questi luoghi.
Questo è un territorio così bello dove ci sono luoghi dai quali si può vedere
alle spalle l’Etna, di fronte i boschi, i laghi, il mare e le Isole Eolie
contemporaneamente. E’ un posto stupendo che qualcuno pensava di poter tenere
sotto scacco e invece il lavoro che abbiamo fatto insieme ai sindaci, insieme
alle persone, insieme alla Magistratura alle Forze dell’Ordine hanno portato
questa struttura a rinascere, mentre coloro che tentavano di sottometterla sono
oggi imputati in uno dei più grandi maxi processi mai celebrati in Sicilia, il
maxi processo Nebrodi, con le prime condanne pesantissime all’abbreviato. Ci
aspettiamo in primavera le altre sentenze e anche per queste ci auguriamo delle
pene esemplari. Ecco, vedete, il tempo rimette sempre a posto le cose: noi siamo
qui a celebrare una vittoria, loro sono dove devono stare a pagare il conto alla
giustizia per quello che hanno fatto.
E quando il conduttore dice: “Comunque, dottor Antoci, per concludere,
ricordiamo sempre questo suo messaggio fondamentale e cioè che per battere la
criminalità organizzata serve lo sviluppo, serve l’occupazione, serve il lavoro,
serve dare le prospettive ai giovani”, Antoci chiude dicendo: “Assolutamente,
questo è il segnale che parte da questa vicenda”.
Insomma, una bella storia di rinascita, di impegno e soprattutto di speranza e,
da quelle ceneri, parte oggi un bel segnale di legalità e promozione del
territorio.

Fonte:
https://www.antimafiaduemila.com/home/rassegna-stampa-sp-2087084558/114-mafia-flash/87518-antoci-a-unomattina-mafie-si-combattono-con-lavoro-e-sviluppo.html


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OMICIDIO FAVA – AVOLA SI AUTOACCUSA DELL’OMICIDIO E RACCONTA DEL BRINDISI DOPO
L’AGGUATO

Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Avola si autoaccusa dell’omicidio e racconta del brindisi dopo l’agguato

A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA

08 gennaio 2022 • 19:00

Maurizio Avola ha dichiarato che gli esecutori materiali erano stati lui stesso,
Aldo Ercolano, Marcello D’Agata, Enzo Santapaola e Franco Giammuso. La sera del
delitto il gruppo era arrivato vicinissimo alla redazione de “I Siciliani” per
eseguire un sopralluogo. Avendo visto Fava uscire da solo, prendere l’auto e
dirigersi verso Catania, con le loro macchine lo avevano seguito

Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo
su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto
al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è
dedicata all’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, direttore de “I Siciliani”,
ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania. Nel 2003 la
Cassazione condanna il boss Nitto Santapaola all’ergastolo perché ritenuto il
mandante dell’omicidio. Mentre Aldo Ercolano e Maurizio Avola (reo confesso)
sono stati condannati come i killer dell’omicidio.

Avola Maurizio ha dichiarato che gli esecutori materiali erano stati lui stesso,
Aldo Ercolano, Marcello D’Agata, Enzo Santapaola e Franco Giammuso.

Nel 1982-1983, all’interno dell’organizzazione, era maturato il progetto di
uccidere il Fava e si era incominciata anche un’attività di individuazione del
giornalista e di acquisizione di notizie circa le sue abitudini, il luogo di
abitazione, la sua attività lavorativa, i movimenti.

Le prime notizie sul Fava le aveva avute Marcello d’Agata, tramite un suo amico
di Faenza, tale Claudio Balsamo, del cui apporto si avvaleva per commettere
rapine a Bologna. Era stato proprio Claudio Balsamo che aveva informato D’Agata
della presenza del Fava al palazzo di Giustizia di Catania e lo stesso D’Agata
insieme a Claudio Balsamo aveva individuato il giornalista.

Successivamente D’Agata aveva rivisto il Fava al Motel Agip. Il collaboratore ha
fornito puntuali dichiarazioni in ordine a Claudio Balsamo e, pur mostrando di
non ricordarne esattamente il cognome – indicato come “Balsamo”- ha specificato
che abitava vicino al Selene, nello stesso immobile dove abitava, all’epoca, il
gioielliere Avolio e che, prima di trasferirsi in tale immobile, aveva abitato
in un appartamento sito dopo la Costa Azzurra. Ha descritto il “Balsamo”
indicandolo come soggetto un pò più alto di lui, capelli lunghi, sfrontato,
brizzolato, bianco. Ha aggiunto che era cognato del titolare di un esercizio di
vendita di ceramiche e arredamenti per bagni, la ditta Eldford sito in via
Asiago, e ha, anche, precisato ulteriormente che era a conoscenza di questa
particolare attività del cognato del Balsamo, perchè, nel 1983, questi aveva
chiesto al D’Agata di collocare un ordigno esplosivo alla Eldford, in modo che,
poi, sarebbe stato lo stesso Claudio “a sistemare l’estorsione”.

Sempre il Claudio aveva fatto da basista per una rapina a Bologna, organizzata
da Avola. Il Claudio, infatti, che era originario di Faenza, aveva parenti a
Bologna. Avola ha aggiunto che, prima della consumazione dell’omicidio, c’erano
stati altri tentativi di uccidere il Fava e che lui stesso vi aveva preso parte
insieme al D’Agata. Una prima puntata era stata effettuata alla fine del 1983,
nel Bar “La Villetta”, sito nella piazza centrale di Sant’Agata Li Battiati,
vicino alla redazione de “I Siciliani”. In quell’occasione, l’Avola si trovava
insieme a Marcello D’Agata, ma non si era fatto niente, perchè, nel momento in
cui Avola stava entrando all’interno del Bar, aveva visto uscire un carabiniere.
Una seconda volta, il solo Avola aveva visto il giornalista mentre si trovava al
Ristorante “Il Palmento” sito sul lungomare di Catania.

Avola ha puntualmente descritto il locale, dichiarando: “c’erano delle scale
esterne, sono salito, c’era la sala, c’era la bocca diciamo della pizzeria ed
entrando il Fava era seduto a capotavola sulla destra, che mi dava le spalle
entrando dalla porta io. Ho girato verso la pizzeria e l’ho visto di fronte”. In
quella circostanza, si era accorto della presenza del Fava perché aveva visto la
sua auto posteggiata di fronte al ristorante, accorgendosi anche che dentro la
macchina del giornalista c’era il giornale dei “I Siciliani”. Era andato ad
informare Marcello D’Agata al Motel e, poi, era ritornato sul posto con una
pistola cal. 38, ma l’omicidio non era stato commesso perché c’era troppa
confusione e poteva essere rischioso. Il D’Agata era rimasto ad aspettarlo in
una traversina nei pressi del locale.

In sede di controesame, ha chiarito di avere visto l’auto del Fava nel posteggio
del ristorante, percorrendo la strada che è sopraelevata rispetto al locale. In
quell’occasione, la certezza che si trattasse della macchina del Fava era
derivata anche dal ricordo del primo numero della targa che era il 39. Seduta
accanto al Fava, all’interno del ristorante ed esattamente alla destra del
giornalista, c’era una donna, forse sua moglie. Dopo il fallimento dei primi
tentativi, finalmente si era incominciato ad organizzare l’operazione
definitiva.

Avola era in possesso di una pistola cal. 7,65, rubata da tale Fresta Salvatore,
un ragazzo vicino al gruppo di Ognina, poi, morto per malattia. È stato
contestato all’Avola che, nelle dichiarazioni rese il 10/3/1993, aveva indicato
tale Di Giacomo come la persona che gli aveva consegnato l’arma e sul punto il
collaboratore di giustizia ha precisato che aveva parlato del Di Giacomo per non
coinvolgere il Fresta, malato di Aids in fase terminale e, poi, infatti,
deceduto. Il D’Agata era in possesso di un silenziatore artigianale che già era
stato utilizzato per l’omicidio di Andrea Finocchiaro, verificatosi tre mesi
prima dell’omicidio Fava.

LA RICOSTRUZIONE DELL’OMICIDIO

Si trattava di un silenziatore artigianale che D’Agata teneva custodito presso
un garage di sua pertinenza sito in via Feudo Grande ad Ognina (di proprietà di
tale Macaluso, amico del D’Agata). Avola si era, quindi, recato da un meccanico,
tale Sgroi, titolare di un’officina sita in via Messina, per portargli la canna
della pistola e il silenziatore artigianale e lo Sgroi aveva provveduto alla
filettatura della canna; dopo qualche giorno, Avola insieme al D’Agata, si era
recato dallo Sgroi per ritirare la canna. In ordine allo Sgroi, Avola ha
specificato che lo conosceva da tempo, perché si trattava del meccanico del
quartiere e che, comunque, si trattava di persona amica del D’Agata, il quale
spesso si rivolgeva a lui per fare riparare i motorini delle proprie figlie.

Lo Sgroi, anzi, aveva già predisposto la filettatura di un’altra canna ma Avola
non ha ricordato in quale occasione. Avola, in compagnia del D’Agata, si era,
quindi, recato a Cannizzaro, dove si era verificata la funzionalità dell’arma,
esplodendo due colpi contro un cartello autostradale. Era pomeriggio ma già si
era fatto buio. Nonostante la predisposizione del silenziatore, l’arma si era
rivelata rumorosa, sicché, per ovviare a quest’inconveniente, lo stesso Avola e
il D’Agata avevano messo, all’interno del silenziatore, un po’ di ovatta e
qualche gommino.

Avola, nel corso dell’esame, ha puntualmente descritto le modalità di
fabbricazione di un silenziatore artigianale e, poi, proseguendo nel suo
racconto, ha descritto le fasi salienti dell’omicidio. Ha dichiarato che, nel
pomeriggio (prima serata), si era incontrato con Aldo Ercolano e Santapaola
Vincenzo presso il rifornimento Agip e, all’interno dello scantinato, Ercolano
aveva effettuato una prova di sparo esplodendo due colpi contro il muro.

Dopo la prova di sparo anzi erano rimasti due buchi nel muro, tanto che lo
stesso Avola, anni dopo, esattamente nel 1990, aveva consigliato al D’Agata di
far ripulire la parete per eliminare eventuali tracce, anche perché, essendo il
periodo in cui erano iniziate alcune collaborazioni con l’autorità giudiziaria,
si era creato, in ambito associativo, un clima di tensione.

D’Agata aveva fatto ripulire il muro da tale Cannavò, un amico dello stesso
D’Agata, con il quale anzi era in rapporti societari, ma aveva informato Avola
che tracce di proiettili non ne erano state rinvenute.

Quanto ai movimenti della serata del 5/1/1984, immediatamente precedenti
l’uccisione del Fava, Avola ha ricordato che, dopo l’effettuazione della prova
di sparo, al Motel era sopraggiunto Giammuso, che ancora non era a conoscenza
del piano, ma che, informato dal D’Agata, aveva messo immediatamente a sua
disposizione la sua autovettura, una Renault 18 bianca.

L’altra autovettura utilizzata dal gruppo omicidiario era la Fiat 131 del
D’Agata. Il gruppo era partito dal rifornimento verso le ore 20.00.

Avola, a specifica contestazione del Pm, ha, poi, precisato che la partenza era
avvenuta intorno alle ore 19.00-20.00. Circa la composizione degli equipaggi a
bordo delle due autovetture, Avola ha specificato che, sulla Fiat 131, avevano
preso posto lui stesso e il D’Agata, mentre sulla Renault 18 di Giammuso, il
quale era al posto di guida, Santapaola Vincenzo e Aldo Ercolano. Durante il
tragitto, Ercolano aveva proposto una sosta presso la salumeria di sua zia,
Piera Santapaola, sposata con Franco Filloramo. Il gruppo si era fermato presso
la salumeria per circa un quarto d’ora per, poi, spostarsi nell’appartamento dei
Filloramo, sito in una traversa distante circa un chilometro dalla salumeria e,
comunque, raggiungibile a piedi in cinque minuti.

Nella casa dei Filloramo, Aldo Ercolano aveva provveduto alla sostituzione dei
proiettili. Avola ha, anzi, specificato di avere, poi, saputo, dopo la
commissione dell’omicidio, che la sig.ra Santapaola si era lamentata con il
nipote perché quella sera c’era stato troppo movimento. La zia di Aldo Ercolano
aveva manifestato soprattutto preoccupazione per il fatto che persone della zona
avessero potuto vedere il gruppo sotto casa sua e potessero essersi insospettite
per il movimento di macchine che c’era stato.

COSÌ I SICARI INSEGUIRONO FAVA

Proseguendo nel suo racconto, Avola ha aggiunto che il gruppo era arrivato
vicinissimo alla redazione de “I Siciliani” intorno alle ore 21.00. D’Agata e
Avola erano scesi dalla macchina e si erano messi in una traversa, nelle
vicinanze di una pizzeria, mentre gli altri erano rimasti in macchina. Avola,
dopo avere precisato di essere già stato, prima dell’omicidio presso la
redazione de “I Siciliani”, allo scopo di eseguire un sopralluogo, ha così
descritto l’esterno dell’edificio: «c’è una scivola e….c’è un cortile, uno
spiazzo e poi ci sono tipo due banchine, una più bassa, che fa parte della
strada e una più alta, che va verso “I Siciliani”, tipo uno spiazzo, dove si
posteggiano le macchine la sera diciamo quelli che abitano nello stabile».

Avevano visto il Fava uscire da solo, prendere l’auto, posteggiata lungo una
scivola all’interno del cortile della redazione e dirigersi verso Catania e, con
le loro macchine lo avevano seguito. Fava aveva, quindi, posteggiato l’auto di
fronte al teatro sulla sinistra con due ruote sul marciapiedi. L’autovettura, a
bordo della quale si trovavano D’Agata e Avola era stata posteggiata un paio di
metri prima del teatro, dopo la Renault di Fava, sulla destra e in doppia fila.
Avola ha, poi, fornito ulteriori indicazioni circa i movimenti successivi del
gruppo di fuoco.

In particolare, ha così dichiarato: «Noi altri (Avola e il D’Agata) ci siamo
messi un po’ più avanti, quasi vicino il teatro e, invece, Giammuso posteggia la
macchina nella traversina sulla destra (a circa 10/15 m. di distanza), diciamo
che costeggia lo stabile del teatro e da lì vedo sbucare Aldo e svoltandoci si
vede che lui sale sulla panchina ed esplode il primo colpo, si sente più forte
perché manda in frantumi il vetro e poi gli altri molto proprio silenziosi, che
neanche si capiva che erano colpi di pistola. Sempre Aldo se ne torna indietro,
frazione di secondi è stata, noialtri spostiamo con la macchina e lui con la
Renault 18 con Giammuso verso un’altra strada».

In sede di controesame, Avola ha chiarito che Ercolano gli aveva riferito di
avere esploso esattamente cinque colpi e ha confermato che aveva udito il primo
colpo più forte e gli altri più attutiti.

Da Aldo Ercolano o da Marcello D’Agata aveva saputo, la stessa sera
dell’omicidio o l’indomani, che Fava, prima di essere ucciso, stava per estrarre
le chiavi dal cruscotto.

Nella circostanza Ercolano era vestito con un giubbotto verde, un pantalone
verde scuro, una camicia chiara e una cravatta sul verde, lo stesso
abbigliamento con cui era ritratto in una foto esposta nella casa di sua madre,
in via dei Villini a mare.

Prima dell’omicidio, Avola aveva seguito i movimenti di Ercolano e, voltandosi,
lo aveva visto passare dalla strada e dirigersi verso la macchina del Fava.

DOPO L’AGGUATO

Dopo l’agguato, le autovetture si erano divise: l’auto guidata dal Giammuso
aveva proseguito la sua marcia lungo la traversina ove era posteggiata, mentre
Avola aveva percorso il v.le M. Rapisardi e si era disfatto dei proiettili che
deteneva e che erano rimasti nella sua disponibilità dopo il cambio avvenuto in
casa del Filloramo; temeva, infatti, un controllo della polizia che, tra
l’altro, aveva visto arrivare, quando, una volta consumato l’omicidio, insieme
al D’Agata, si era fermato all’incrocio, prima di imboccare il v.le M.
Rapisardi.

Dopo l’omicidio, si erano, poi, incontrati in casa del Licciardello, cognato di
Mangion, che, in quel periodo, ospitava quest’ultimo durante la sua latitanza.
Il Mangion aveva commentato l’omicidio dicendo che “con una fava si erano presi
due piccioni, nel senso che avevamo fatto questo favore ai Palermitani e l’altro
ai Cavalieri”.

In quella stessa circostanza era stata aperta una bottiglia di champagne per
brindare e successivamente il Licciardello si era disfatto della pistola
compresa di silenziatore e di tutto, dicendo poi, quand’era ritornato
nell’appartamento, che l’aveva buttata in un tombino vicino casa sua. Dopo circa
un’ora, i partecipi alla spedizione omicidiaria erano andati via.

Fonte:
https://www.editorialedomani.it/fatti/blog-mafie-omicidio-pippo-fava-avola-si-autoaccusa-racconta-brindisi-agguato-o4dkto1o


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GIORNATA NAZIONALE CONTRO IL RACKET E L’USURA, CUOMO: «IMPORTANTE SOSTEGNO PER
LOTTA ALLE MAFIE»

Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Giornata nazionale contro il racket e l’usura, Cuomo: «Importante sostegno per
lotta alle mafie»

Sabato 8 Gennaio 2022

«Sosteniamo la proposta di istituire il 10 gennaio la giornata nazionale contro
il racket e l’usura nel nostro Paese avanzata da Lino Busà, responsabile
nazionale del “Centro studi Temi per la legalità”, organismo dell’associazione
“Sos Impresa-rete per la legalità Aps”. Il 10 gennaio del 1991 compare sul
“Giornale di Sicilia”, la “Lettera al caro estorsore” nella quale l’imprenditore
palermitano Libero Grassi, rivolgendosi a chi gli chiedeva il pizzo dichiarava
“io non vi pago”.

L’opportunità di istituire una giornata nazionale contro il racket e l’usura nel
nostro Paese è un tema sul quale la nostra organizzazione nazionale sta
ragionando da tempo». Lo afferma, in una nota, Luigi Cuomo, presidente nazionale
di “Sos Impresa-rete per la legalità Aps” che ricorda come l’omicidio di Libero
Grassi sia stato il germoglio della nascita del movimento antiracket che oggi
compie 30 anni.

«Nel 1992 nascono le prime esperienze di Sos Impresa, in Sicilia, a Roma, a
Torino, Bari, Genova, Milano e Napoli – sottolinea Cuomo – da quella stagione e
da quel patrimonio di esperienze abbiamo nel tempo contribuito a migliorare le
strategie di prevenzione e contrasto al racket e all’usura in tutt’Italia. Un
lavoro quotidiano, rigoroso e attento che si fonda su un sistema associativo
antiracket e antiusura più moderno, connesso e sinergico con le istituzioni e
della partecipazione delle vittime».

«L’istituzione di una giornata nazionale contro il racket e l’usura nel nostro
Paese in coincidenza con la data del 10 gennaio di ogni anno – conclude Cuomo –
consentirebbe un importante sostegno alla lotta alle mafie che, attraverso il
racket e l’usura, consolidano il loro potere nel sistema economico nazionale
nella quasi indifferenza dell’opinione pubblica. Oltre ad avere uno
straordinario valore simbolico, di memoria e di rafforzamento delle iniziative
di prevenzione e contrasto, potrebbe sancire un importante salto di qualità
dell’intera comunità nazionale verso una consapevolezza responsabile ed attiva
perché questi due crimini riguardano tutti e non solo quelli che hanno la
disavventura di subirli».

Fonte:
https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/giornata_antiracket_antiusura_luigi_cuomo_sos_impresa-6426931.html

 


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ARZANO. “MILLE EURO PER LA TRANQUILLITÀ” MA IL COMMERCIANTE LO DENUNCIA:
ARRESTATO

Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Arzano. “Mille euro per la tranquillità” ma il commerciante lo denuncia:
arrestato

Di Alberto Raucci

8 Gennaio 2022

Ieri sera ad Arzano i Carabinieri della locale tenenza hanno arrestato per
tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso Davide Abate, 35enne del posto
già noto alle forze dell’ordine.

L’uomo aveva presentato la sua richiesta estorsiva ad un negoziante del luogo in
cambio della “tranquillità”. Mille euro il prezzo. Il commerciante però non ha
voluto sottostare a questa prepotenza ed ha chiesto aiuto ai Carabinieri.

In poche ore i militari hanno organizzato un servizio ad hoc facendo in modo di
assistere al momento in cui dovesse essere pagata la “tassa”. L’appuntamento
fissato prevedeva l’incontro nel centro della città. Non c’è stato scampo per il
35enne che in pochi minuti si è visto circondato dai Carabinieri. Bloccato ed
arrestato, l’uomo è stato tradotto al carcere di Secondigliano in attesa di
giudizio.

Fonte:
https://internapoli.it/arzano-mille-euro-per-la-tranquillita-35enne-arrestato/?fbclid=IwAR3G6SLL2IdnTyOeR9–ZqOvOJblF2lK7kUW7oCtgPmsiWfiP15YVoe04cA

 


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EX PRO INFANTIA, ASS. CAPONNETTO: “CI COSTITUIREMO PARTE CIVILE AL PROCESSO”

Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


EX PRO INFANTIA, ASS. CAPONNETTO: “CI COSTITUIREMO PARTE CIVILE AL PROCESSO”

di Redazione

8 Gennaio 2022

L’associazione contro le mafie e le illegalità “Antonino Caponnetto” annuncia
che si costituirà parte civild al processo sulla Ex Pro Infantia

“Martedi 11 gennaio presso il Tribunale di Latina inizierà il processo contro
gli imputati per l’abuso edilizio, area  ed immobile ancora oggi sotto
sequestro, che vede tra gli imputati il fratello dell’Assessore del Comune di
Terracina Emanuela Zappone, il Vice Sindaco Marcuzzi,  due tecnici comunali e
rappresentanti della ditta titolare dell’intervento edilizio.

Come è noto il Comune di Terracina, benché qualificato come parte offesa, ha
deciso di non costituirsi parte civile in tale processo. Cioè,  coloro che sono
stati, dal suffragio popolare, eletti a tutelare l’interesse della collettività
locale, hanno deciso di non costituirsi parte civile al fine di tutelare la
collettività tradendo in questo modo il mandato popolare.

Non entriamo nella polemica tra partiti che  ne è seguita, ma mantenendo fede ai
propri principi statutari che ne caratterizzano la propria attività, di difesa
degli interessi della legalità, della collettività, che si caratterizzano
sostanzialmente e principalmente nell’aiutare la popolazione italiana a prendere
atto dell’esistenza nel nostro tessuto sociale di grande organizzazioni
criminali, mafiose e non mafiose, di far crescere nelle coscienze dei giovani,
in particolare, di una cultura antimafia, di denunciare laddove ne ricorrono le
condizioni le illegalità, il malaffare e la corruzione nella Pubblica
Amministrazione a tutela degli interessi generali,  e di costituzione di parte
civile nei processi che colpiscono gli interessi dei cittadini e della
collettività.

E’ dentro questo filone di ragionamento che la nostra associazione si è
costituita nei processi più importanti che si stanno svolgendo a Latina, mafiosi
e non, che ha fatto diverse denunce per il malaffare nella Pubblica
Amministrazione e che ci ha portato a decidere di COSTITUIRCI PARTE CIVILE ANCHE
NEL PROCESSO  PRO INFANTIA.

Così come è nostra intenzione costituirci parte civile nelle prossime vicende
giudiziarie che riguardano il Comune di Sezze per la questione Cimitero.

Non riteniamo opportuno elencare i risultati delle nostre iniziative al fine di
non sminuire il nostro ruolo e non far strumentalizzare  la nostra attività da
parte di chicchessia, se in futuro lo riterremo utile, sempre al fine di
migliorare la nostra attività”.

Così, in una nota, l’Associazione antimafia “Antonino Caponnetto”.

Fonte:
https://latinatu.it/ex-pro-infantia-ass-caponnetto-ci-costituiremo-parte-civile-al-processo/


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PALERMO, SVOLTA ALLA DIREZIONE DISTRETTUALE ANTIMAFIA: GUIDO COORDINATORE UNICO

Pubblicato 8 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Palermo, svolta alla Direzione distrettuale antimafia: Guido coordinatore unico

07 Gennaio 2022

Per la prima volta la delega alla guida della Dda viene assegnata ad un solo
aggiunto. Guido dirigeva già le inchieste sui clan di Trapani e Agrigento, ora
seguirà anche quelle sul capoluogo della Sicilia

Il procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido coordinerà la Direzione
distrettuale antimafia. Lo prevede la delega che il procuratore uscente
Francesco Lo Voi, nelle scorse settimane nominato dal Csm alla guida della
Procura della Capitale, quindi in procinto di lasciare la Sicilia, firmerà oggi.

Guido, 55 anni, calabrese, in magistratura dal 1995, aveva il coordinamento
delle indagini sulla mafia trapanese ed agrigentina. Da oggi si occuperà anche
delle inchieste sui clan palermitani.

È la prima volta che la delega al coordinamento della Dda viene assegnata ad un
solo procuratore aggiunto: una decisione determinata dalla scelta di garantire
una visione complessiva e unitaria al fenomeno mafioso nel territorio. Una
grandissima esperienza di indagini di mafia, per anni sostituto procuratore
della direzione distrettuale antimafia, Guido dal 2017 ha la delega sulle
indagini per la cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro.

Fonte:
https://palermo.gds.it/articoli/cronaca/2022/01/07/procura-di-palermo-guido-sara-unico-coordinatore-della-direzione-distrettuale-antimafia-d0636f44-bb47-452e-a51d-34c93a96de42/


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MAFIA, ASSOLTO L’EX PRESIDENTE DELLA REGIONE RAFFAELE LOMBARDO

Pubblicato 8 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Mafia, assolto l’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo

di Redazione

Pubblicato il Gen 7, 2022

La Corte d’appello di Catania ha assolto l’ex presidente della Regione
Siciliana, Raffaele Lombardo, per concorso esterno all’associazione e corruzione
elettorale. Alla lettura della sentenza l’ex leader del Mpa non era in aula.
L’inchiesta che in dieci anni di udienze ha portato a due sentenze
‘contrastanti’ e a un annullamento con rinvio della Cassazione si basa su
indagini dei carabinieri del Ros di Catania su rapporti tra politica,
imprenditori, ‘colletti bianchi’ e Cosa nostra.

Per la Procura Lombardo avrebbe favorito clan e ricevuto voti alle regionali del
2008, quando fu eletto governatore. Accuse che lui ha sempre respinto. La Corte
ha assolto Lombardo dall’accusa di concorso esterno perche’ il fatto non
sussiste e da quella di reato elettorale aggravato dall’avere favorito la mafia
per non avere commesso il fatto. La Procura, con i Pm Sabrina Gambino e Agata
Santonocito, aveva chiesto la condanna di Raffaele Lombardo, a sette anni e
quattro mesi di reclusione, per l’accesso al rito abbreviato.

Al centro del processo i presunti contatti di Raffaele Lombardo con esponenti
dei clan etnei che l’ex governatore ha sempre negato sostenendo di avere
“nuociuto alla mafia come mai nessuno prima di me”, di “non avere incontrato
esponenti” delle cosche e di avere “sempre combattuto Cosa nostra”. Per questo i
suoi legali, gli avvocati Maria Licata e il professore Vincenzo Maiello, hanno
chiesto l’assoluzione del loro assistito “perche’ il fatto non sussiste”. Il
procedimento ha anche trattato presunti favori elettorali del clan a Raffaele
Lombardo nelle regionali del 2008, in cui fu eletto governatore, e a suo
fratello Angelo, per cui si procede separatamente, per le politiche dello stesso
anno.

La Seconda sezione penale della Cassazione, tre anni fa, ha annullato con rinvio
la sentenza emessa il 31 marzo 2017 dalla Corte d’appello di Catania che aveva
assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa l’ex governatore
e lo aveva condannato a due anni (pena sospesa) per corruzione elettorale
aggravata dal metodo mafioso, ma senza intimidazione e violenza. Una sentenza,
quella di secondo grado, che aveva riformato quella emessa il 19 febbraio 2014,
col rito abbreviato, dal Gup Marina Rizza che lo aveva condannato a sei anni e
otto mesi per concorso esterno all’associazione mafiosa ritenendolo, tra
l’altro, “arbitro” e “moderatore” dei rapporti tra mafia, politica e
imprenditoria. Nelle motivazioni la Corte d’appello di Catania, nel riformare la
sentenza di primo grado, aveva rilevato che “il summit tra i vertici mafiosi e
Raffaele Lombardo nel giugno del 2003 a casa” dell’ex presidente della Regione,
uno dei pilastri dell’accusa, “e’ un fatto assolutamente privo di riscontro
probatorio”.

Erano stati invece dimostrati, secondo i giudici di secondo grado, “i rapporti
tra Lombardo e esponenti della mafia, che avrebbero agito per agevolare la sua
elezione, ma dal quale non avrebbero ricevuto alcun favore”. La Corte d’appello
gli aveva contestato la corruzione elettorale con l’aggravante di avere favorito
la mafia, che non usa violenza ne’ intimidisce, ma compra i voti con soldi,
buoni spesa e favori. Una decisione non condivisa dalla Cassazione che “in
accoglimento del ricorso della Procura generale di Catania” aveva poi annullato
“la sentenza con rinvio ad altra sezione” della Corte d’appello di Catania,
davanti alla quale si e’ celebrato il nuovo processo.

Fonte:
https://www.grandangoloagrigento.it/mafia/mafia-assolto-lex-presidente-della-regione-lombardo


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TERRACINA – PROCESSO PRO INFANTIA, IL COMUNE NON SI COSTITUISCE PARTE CIVILE.
MONTA LA POLEMICA

Pubblicato 8 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Processo Pro Infantia, il Comune non si costituisce parte civile. Monta la
polemica

di redazione -06/01/2022

A pochi giorni dall’inizio del processo per la vicenda dell’ex Pro Infantia, a
Terracina ritorna la polemica politica: è scontro aperto tra Partito democratico
e Fratelli d’Italia.

“L’amministrazione comunale e il vicesindaco con delega all’Urbanistica,
Pierpaolo Marcuzzi, dovrebbero spiegare ai cittadini se in questi anni abbiano
maturato un’idea in merito al governo del territorio e allo sviluppo sostenibile
della città”, dicono dal Pd. “Perché la realtà di oggi è una sequenza di
permessi a costruire – spesso ‘discutibili’ e qualche volta finiti sotto
sequestro dell’autorità giudiziaria – frutto della loro versione della legge
regionale n. 7/2017, conosciuta come Rigenerazione urbana. Ecco perché stiamo
qui a parlare dell’ecomostro residenziale nell’area ex Pro Infantia”.

“Hanno mai pensato, solo per qualche istante, ad una possibilità diversa?”, si
chiedono dal Pd. “Magari di acquisire la struttura ex Pro Infantia al patrimonio
comunale con un progetto di sviluppo legato al turismo. Un Hub di eccellenza
post scuola secondaria nell’industry della ricezione e del food. Un Hub
formativo orientato alle nuove emergenti professioni del digitale. Poteva essere
una opportunità per i numerosi giovani che, dopo il diploma, non sanno cosa fare
in questa città. Alcuni costretti a fare le valigie per studiare altrove –
quando i genitori sono in grado di sostenerli economicamente. Invece no. Meglio
far fare all’iniziativa privata che non può da sola farsi carico di scelte
sociali. E in concreto, il progetto edilizio ex Pro Infantia, offre nuove
abitazioni di fascia alta senza risolvere il problema della casa per i giovani,
mentre ancora si attendono gli esiti dei famosi ‘Stati Generali’
dell’urbanistica”.

“Allora, visto che sull’area dell’ex Pro-infantia è intervenuta la Procura di
Latina con un sequestro e ci sono stati rinvii a giudizio di tecnici e politici,
e che l’11 gennaio si terrà la prima udienza, vorremmo sapere dalla nostra
sindaca Roberta Tintari e da tutta la Giunta se intendono approvare una
semplicissima delibera con la quale dare mandato all’avvocatura comunale la
predisposizione di ogni atto acché il Comune di Terracina – nell’interesse di
tutta la comunità – possa costituirsi nel processo come parte civile .

Lo riteniamo un atto non solo opportuno ma necessario, per ricostruire un
rapporto trasparente con i cittadini ed avviare una nuova stagione di rilancio
dell’istituzione comunale e del suo ruolo centrale ed imprescindibile, di
indirizzo e di governo delle scelte più importanti dello sviluppo della città”.

La replica dei meloniani non si è fatta attendere. “Non c’è alcun motivo per il
quale l’amministrazione comunale di Terracina debba costituirsi parte civile
nella vicenda Pro Infantia visto che si tratta di una complessa vicenda
giuridica, maturata a seguito del conflitto di competenze tra la Regione di
Zingaretti e il Ministero di Franceschini. Da cui è scaturita la famosa sentenza
che ha dichiarato incostituzionale il Ptpr della Regione Lazio. Questo disastro
causato dal Partito democratico si è poi riverberato non solo sul Comune di
Terracina, ma anche su tutti gli altri comuni della regione. Probabilmente il
Partito democratico vuole nascondere la sua responsabilità, testimoniando una
volta di più la propria incapacità nell’amministrazione della cosa pubblica,
oltre che la solita idiosincrasia nei confronti dell’iniziativa economica
privata. Piuttosto siamo noi a chiedere al Partito democratico per quale motivo
le amministrazioni locali delle province di Latina, Frosinone e Viterbo a guida
Pd o con il Pd in maggioranza non si siano costituite parte civile nel processo
sull’enorme scandalo del concorso pubblico della Asl. Sarebbe veramente utile
comprenderne le motivazioni”.

“Per quanto riguarda la possibilità di acquisizione da parte del Comune
dell’immobile della Pro Infantia per attività didattiche, il Partito democratico
farebbe bene a chiedere prima al Presidente della Regione Nicola Zingaretti per
quale motivo non abbia mai dato seguito al suo impegno, assunto nel giugno 2017
davanti alla dirigente dell’Istituto Turistico-Alberghiero ‘Filosi’, di
acquistare l’immobile in oggetto per destinarlo alle attività di quell’Istituto.
La stessa cosa la si potrebbe chiedere anche per il vecchio ospedale San
Francesco, struttura che la Regione Lazio, che ne ha la proprietà, potrebbe
destinare alla pubblica utilità. Attendiamo fiduciosi le risposte ai nostri
quesiti”.

Fonte:
https://www.h24notizie.com/2022/01/06/processo-pro-infantia-il-comune-non-si-costituisce-parte-civile-monta-la-polemica/?fbclid=IwAR33QtwMAmetwIWH26nWBT8MGf5VH4FIcoA6eAjkjB6kcb4IZ_SlJdRWy9o


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CASERTA, DANARI & MONNEZZA. ECCO COME CARLO SAVOIA FECE DISTRUGGERE I FILE DELLA
GARA DA 116 MILIONI DI EURO CHE AVEVA TRUCCATO INSIEME A CARLO MARINO. LA VISITA
“DI CORTESIA” NELLA VILLA DI PUCCIANIELLO

Pubblicato 8 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


CASERTA, DANARI & MONNEZZA. Ecco come Carlo Savoia fece distruggere i file della
gara da 116 milioni di euro che aveva truccato insieme a Carlo Marino. La visita
“di cortesia” nella villa di Puccianiello

6 Gennaio 2022 – 12:52

Formuliamo ulteriori valutazioni utilizzando questa stralcio dell’ordinanza che
rafforza il teorema accusatorio che però, a nostro avviso, si basa su una
premessa erronea che finisce per alleggerire la posizione del sindaco, che
invece, sempre a nostro avviso, c’era e c’è dentro fino al collo

CASERTA – (g.g.) La Dda si preoccupa di dimostrare che tra Carlo Marino e Carlo
Savoia non ci fossero rapporti confidenziali. Si comprende ciò per qualificare
alcuni eventi come la visita che lo stesso Savoia insieme a Pasqualino Vitale fa
il 21 agosto 2018 alle 21.20, come elementi di una serie di eventi anomali che
rafforzerebbero la struttura accusatoria. In poche parole, se Carlo Marino,
Carlo Savoia e Pasqualino Vitale non hanno una grande confidenza e si vedono
alle 9 e mezza o poco meno di sera a casa del sindaco di Caserta, vuol dire che
stavano lavorando su qualcosa di losco. E siccome il losco rappresenta lo
scenario descritto dalle intercettazioni e anche da diversi elementi
documentali, la conseguenza è facilmente comprensibile.

Come abbiamo scritto più volte in queste settimane, affermare che Carlo Marino,
Carlo Savoia e Pasqualino Vitale avessero rapporti di normale conoscenza e che
si videro, si incotrarono più spesso nel periodo in cui truccarono la gara
d’appalto per i rifiuti, è semplicemente inesatto.

Questi qua si conoscono dalla fine degli anni 90. Chi ha raccontato la politica
a Caserta non ci deve pensare sopra più di tanto. Se i pm che stanno indagando
su questa vicenda andassero a parlare con chi delle trame tra la politica e il
malaffare si è occupato sempre in Dda nei primi anni 2000, ne troverebbero ampia
dimostrazione.

Carlo Marino prima di tutto, Carlo Savoia con un ruolo differente erano dei
colonnelli di Forza Italia e da Forza Italia venivano continuamente valorizzati.
Carlo Savoia negli enti di gestione dei rifiuti, Carlo Marino come
plenipotenziario di Nicola Cosentino a Caserta, come assessore ai lavori
pubblici da 1.500 voti di preferenza personali della giunta Falco.

Pasqualino Vitale collezionava incarichi importanti, anzi importantissimi,
quand’anche non dotati di grande visibilità, nelle direzioni generali dei
ministeri, per esempio al tempo del secondo governo Berlusconi, quello venuto
fuori dalle elezioni politiche del 2001. Vitale continuò a occupare posti di
rilievo. Lo fece sempre e comunque in quota Forza Italia, al fianco dell’allora
presidente del consiglio regionale Paolo Romano.

Per quel che conta e senza minimamente voler andare al di là di una semplice
esplicazione di una nostra opinione, fallibile in quanto tale, noi rimaniamo
convinti che se Carlo Savoia è l’elemento catalizzatore di un vero e proprio
assalto al settore degli appalti pubblici dei rifiuti, nelle province di Caserta
e nell’area nord di quella di Napoli, Carlo Marino non viene reclutato, così
come la Dda, nella sua costruzione logica, vuol far capire, anche con questa sua
valutazione sull’appuntamento del 21 agosto delle 9 e mezza di sera che poi,
andrebbe detto, quell’orario, incastrato in quella data largamente estiva, vale
qualcosa in meno, anzi, più di qualcosa in meno rispetto ad un appuntamento
realizzato alle 21.20 del 21 novembre.

Savoia non ha reclutato Marino. D’altronde l’operazione che ha in testa è troppo
grande, unica nel suo genere e senza precedenti. 7 anni, 116 milioni di euro.
Una cosa del genere nasce comunque da ragionamenti in cui più persone
costruiscono il pacchetto, l’occasione criminale. Noi che li conosciamo bene, vi
diciamo che Carlo Savoia non poteva permettersi il lusso di cooptare Carlo
Marino mettendoci addosso Pasqualino Vitale come mediatore dell’affare.

Non è così. A nostro avviso, i tre svolgono una funzione paritaria. Quanto meno
la svolgono Carlo Savoia e Carlo Marino.

Abbiamo ribadito il concetto trovandoci di fronte a questa considerazione,
esposta dalla Dda in merito all’appuntamento serale del 21 agosto a casa del
sindaco di Caserta. Per il resto, la sequenza degli incontri, delle
conversazioni e la relazione tra questi e gli atti amministrativi erogati,
lascia poco adito a dubbi. Ci sono intercettazioni tra Savoia e Vitale. Ma anche
se non ci fossero i fatti, almeno per noi sono evidenti.

Fortunatamente, noi siamo un giornale, non un tribunale. Per cui non dobbiamo
porci il problema dell’esistenza o della non esistenza di un ragionevole dubbio.
L’unico dovere che abbiamo verso gli indagati, l’unica garanzia liberale che
dobbiamo concedere loro, è, infatti, rappresentata dallo sforzo durissimo che
facciamo, in ogni articolo, per sviluppare ragionamenti mai privi di
argomentazione e che partono da una conoscenza approfondita, da parte nostra,
del profilo storico dentro al quale si incastrano le figure dei protagonisti di
questa vicenda.

Poi, non abbiamo capito bene una cosa: i carabinieri si sono appostati vicino
alla casa di Carlo Marino allo scopo di sorvegliare, anche di pedinare quelli
che ci andavano, studiandone le mosse. Ma Carlo Marino, sindaco di Caserta, era
controllato con strumenti elettronici? Nell’auto con cui girava erano state
installate cimici così come era successo per l’auto o per le auto di Pasqualino
Vitale e di Carlo Savoia? Perchè se non è così, torniamo al ragionamento di
prima, al concetto di cooptazione, di affiliazione ad un piano criminale di cui
Marino entrava a far parte, ma di cui non aveva strutturato l’elaborazione.

Il primo giugno 2018 viene pubblicato il bando e uno ora pensa che essendo
diventato un atto ufficiale, sacramentato da una pubblicazione, questo non debba
essere toccato. E invece, un sempre concitato Carlo Savoia dice ai suoi
interlocutori che bisogna ancora vedere, modificare, ritoccare. Tanto è vero che
la scadenza del 13 luglio per la presentazione delle offerte viene spostata al
giorno 8 agosto. Questo giusto per confermare che il tutto era piegato
all’obiettivo stabilito a monte di attribuire quella super gara all’ati formata
da Energetica Ambiente e la ESI di Carlo Savoia.

Questi, si rivolge alla sua dipendente Anna Scognamiglio, messa pesantemente
sotto pressione e i due, come fanno una coppia di ladri che dopo il colpo ha la
necessità di cancellare indizi, tracce, prove, concordano la distruzione dei
file presenti nelle pennette che il Savoia riceveva o andava direttamente lì a
registrarsi negli uffici del comune. E anche questa, onestamente, è una prova
evidente che quella gara fosse stata ampiamente taroccata.

Quello che è successo dell’8 agosto in poi riguarda le operazioni di definizione
della commissione aggiudicatrice, del sorteggio truccato dei numeri e
sopratttutto, lo ripetiamo per la centesima volta, dell’aggiudicazione
provvisoria all’ati di cui sopra che effettivamente poi vince quella gara.

Carlo Marino lo annuncia personalmente ed è ripreso dal famoso video che abbiamo
pubblicato più volte. Se questo grande ladrocinio, questa operazione criminale
non è stata realizzata completamente è perchè, in minimissima parte CasertaCe e
in “massimissima” parte la Dda hanno operato e già a novembre, cioè un mese dopo
l’aggiudicazioone provvisoria avvennero quelle perquisizioni che poi costrinsero
Marino, Biondi e compagnia…brutta, a trovare il modo per revocare
definitivamente quell’esito.

Fonte:
https://casertace.net/caserta-danari-monnezza-ecco-come-carlo-savoia-fece-distruggere-i-file-della-gara-da-116-milioni-di-euro-che-aveva-truccato-insieme-a-carlo-marino-la-visita-di-cortesia-nella-villa-di-puccian/


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SABAUDIA: STABILIMENTO IN FIAMME, INDAGINI IN CORSO

Pubblicato 8 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


SABAUDIA: STABILIMENTO IN FIAMME, INDAGINI IN CORSO

di Redazione

6 Gennaio 2022  Cronaca

Stabilimento balneare in fiamme a Sabaudia: l’intervento dei Vigili del Fuoco e
dei Carabinieri, nessuna ipotesi esclusa

Poco dopo l’una della notte appena trascorsa, il personale operativo dei Vigili
del Fuoco del Comando di Latina è intervenuto, nel Comune di Sabaudia, per un
incendio di una struttura in legno.

Sul lungomare, la squadra dei Vigili del Fuoco di Terracina ha constatato la
presenza di un incendio che ha interessato un chiosco in legno, sulla spiaggia,
adibito a stabilimento balneare. Si tratta del noto locale “Duna”, molto
frequentato d’estate anche dai cosiddetti vip.

All’arrivo dei Vigili del Fuoco, la struttura, con un basamento di circa 200
metri quadri, e con due strutture al di sopra di circa 40 metri quadri ognuna,
era completamente avvolta dalle fiamme.

Da subito sono iniziate le operazioni di spegnimento che si sono protratte per
alcune ore.
Successivamente, in collaborazione con i Carabinieri, i Vigili hanno cercato
elementi utili a stabilire le cause.
Al momento non si esclude nessuna ipotesi, nonostante tutto porti a pensare che
si tratti di un atto doloso.

Non si registrano persone coinvolte.

Fonte: https://latinatu.it/sabaudia-stabilimento-in-fiamme-indagini-in-corso/


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SEQUESTRI AI BOSS E ARRESTI MA ANCHE CONTROLLI ANTI COVID DELLA POLIZIA A
PALERMO

Pubblicato 7 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Sequestri ai boss e arresti ma anche controlli anti Covid della polizia a
Palermo

06 Gennaio 2022

L’anno 2021 ha visto la Polizia di Stato impegnata a Palermo su più fronti sia
con riferimento al contrasto della criminalità organizzata e diffusa sia sul
fronte della tutela dell’ordine pubblico e dei controlli sul rispetto delle
misure volte al contenimento dell’emergenza pandemica.

E’ opportuno premettere come questo anno appena concluso ha visto un cambiamento
di passo, o meglio, di prospettiva e di approccio nell’attività di contrasto al
crimine, scrive la Questura in una nota, in considerazione della peculiarità di
questo territorio, nel senso che gli strumenti tecnico operativi di contrasto
alla criminalità debbano necessariamente integrarsi ed essere complementari tra
loro: le attività investigative coordinate dall’Autorità Giudiziaria volte al
contrasto del crimine, in particolare quello mafioso, debbono essere
necessariamente accompagnate da una contestuale, continua ed efficace attività
operativa che utilizzi i numerosi strumenti a disposizione dell’Autorità di
Pubblica Sicurezza, rivolti al presidio continuo e massiccio del territorio, con
particolare riguardo a quei quartieri o porzioni dell’agglomerato urbano
tradizionalmente infestati in modo pervasivo dalla presenza e dalla sottocultura
mafiosa, sia per contrastare e reprimere tutti i fenomeni delittuosi o comunque
illeciti, sia per affermare con la presenza la sovranità dello Stato e della
Legge su tutto il territorio.

Questo metodo di lavoro, pensato e proposto dalla Questura, è stato discusso e
adottato in sede di Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica
ed, in occasione del Comitato Nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica
tenutosi a Palermo il giorno di Ferragosto, è stato oggetto di vivo
apprezzamento. Andiamo ora ad esaminare in sintesi le due modalità di contrasto,
partitamente ma con la consapevolezza che esse sono le due facce della stessa
medaglia.

Controlli di sicurezza ad Alto Impatto

Il contrasto al crimine diffuso si è contraddistinto per i servizi straordinari
di controllo del territorio rientranti nel protocollo di sicurezza denominato
“Alto Impatto” disposti dal Questore della Provincia di Palermo Leopoldo
Laricchia, che hanno coinvolto i quartieri più problematici del nostro capoluogo
e che hanno caratterizzato il dispiegamento delle diverse articolazioni della
Polizia in svariate fasce orarie, soprattutto in quelle serali. La Polizia di
Stato ha proseguito il suo impegno a fianco dei cittadini all’interno di
quartieri con particolari criticità ove, storicamente, si registrano episodi di
criminalità dalle sfacettate forme e che nel tempo sono diventate, per alcuni
residenti, un vero e proprio habitus culturale. In questi quartieri, la Polizia
di Stato ha voluto riaffermare la sua presenza con il duplice scopo di prevenire
e sanzionare fatti di rilievo criminale e, soprattutto, di parlare alla parte
sana della cittadinanza, trasmettendole un impegno di lotta contro ogni forma di
illegalità, che è proprio il caso di definire “senza quartiere”.

Alcuni quartieri come il Cep – S.Giovanni Apostolo – Marinella –Ballarò-
Vucciria – Zen- Borgovecchio- Brancaccio, sono stati presidiati con posti di
controllo, perquisizioni, riscontri domiciliari su pregiudicati, operazioni
antidroga, controlli anti assembramento e verifiche amministrative sugli
esercizi commerciali. I servizi hanno visto impegnate praticamente tutte le
articolazioni della Polizia di Stato: Commissariati di zona, Ufficio Prevenzione
Generale e Soccorso Pubblico con le insostituibili Unità Cinofile, Reparto
Prevenzione Crimine, Squadra Mobile e Divisione di Polizia Amministrativa e
Sociale della Questura, che hanno operato, nell’arco delle 24 ore, all’insegna
di un combinato disposto di programmazione operativa ed indagini “al dettaglio”
svolte su strada.

 

Nelle 235 operazioni effettuate sono state controllate 17.830 persone e 7.884
veicoli, 286 esercizi pubblici, 22 persone tratte in arresto e 115 indagate in
stato di libertà per vari reati. Inoltre, nel corso dei servizi, sono state
elevate 650 sanzioni per violazioni al codice della strada, 159 veicoli
sottoposti a sequestro, 279 contravvenzioni amministrative e 149 sanzioni per
violazioni alle normativa sanitaria antipademica. Infine, è stata sequestrata
Kg. 4,300 di sostanza stupefacente. Anche grazie a questa capillare attività di
contrasto al crimine diffuso, mantenendo una presenza costante sul territorio, è
stata alimentata la fondamentale attività info-investigativa, da cui poi sono
scaturite alcune delle operazioni di Polizia Giudiziaria di contrasto alla
criminalità organizzata, nell’ambito di una strategia complessiva.

 

Nell’ambito dei controlli amministrativi sono stati controllati 654 soggetti di
cui 30 denunciati all’Autorità Giudiziaria e 53 all’Autorità Amministrativa,
sono stati controllati 107 esercizi pubblici e 41 contravvenzionati mentre 12
sono stati posti sotto sequestro ed elevate sanzioni pari ad euro 121.990,08.
Infine il Questore come Autorità di P.S., in base all’art 100 ha chiuso 12
esercizi commerciali.

I blitz contro i clan mafiosi

L’attività di Polizia svolta non ha, però solo aggredito il crimine nelle
piazze, ma si è sviluppata anche attraverso lo svolgimento di operazioni di
Polizia Giudiziaria nell’ottica di una strategia complessiva al contrasto al
crimine; ad esempio, nel mese di luglio con l’operazione “TENTACOLI” la Squadra
Mobile ha dato esecuzione al Fermo di Indiziato di Delitto nei confronti di 16
soggetti ritenuti a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso ed
estorsione aggravata dal metodo mafioso, le famiglie colpite dai provvedimenti
sono quelle di Brancaccio, della Roccella e di Corso dei Mille.

Nel mese di Novembre 2021 la Squadra Mobile con l’operazione “GAME OVER 2” ha
eseguito 4 arresti per i reati di cui art. 416. 648 ter e 612 bis.

Nell’ambito dell’operazione denominata “SHOOWDOWN” nel mese di Aprile 2021 gli
agenti della Squadra Mobile hanno eseguito 8 ordinanze di custodia cautelare in
carcere nei confronti di soggetti di nazionalità nigeriana, resisi responsabili
a vario titolo dei reati di traffico illecito di sostanze stupefacenti,
sfruttamento della prostituzione e delitti contro la persona.

Nel contrasto al traffico illecito di stupefacenti diverse sono state le
operazioni concluse con successo dalla Polizia di Stato come quella effettuata
dagli agenti del Commissariato di P.S. di Bagheria “OPERAZIONE OMBRA” unitamente
ai Militari dell’Arma dei Carabinieri, che ha visto dare esecuzione ad
un’ordinanza di custodia cautelare per 4 persone e 25 persone denunciate,
responsabili a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata al
traffico di stupefacenti, trasporto, cessione, commercio e vendita di
stupefacenti.

I poliziotti del Commissariato di Partinico con l’Operazione “MIRÒ” hanno
eseguito 30 misure cautelari per i traffici delittuosi posti in essere da
soggetti abitualmente dediti all’approvvigionamento ed al conseguente smercio di
cocaina nel territorio di Partinico e di altri comuni palermitani e della
provincia di Trapani.

Anche il Commissariato di P.S. Brancaccio ha assestato un duro colpo a quella
che è considerata una delle tradizionali e più fiorenti piazze dello spaccio “al
minuto” della città e dell’intera provincia palermitana, quella allocata in via
Di Vittorio, allo Sperone con due operazioni: una nel mese di maggio denominata
“TRANSIT” con 12 misure cautelari ed l’altra nel mese di ottobre con 6 misure
cautelari.

Fatta luce su omicidi e tentati omicidi

Altro versante sul quale la squadra mobile ha ottenuto successo è stata la
risoluzione di omicidi e tentati omicidi verificatisi nel 2021.

Il 9 marzo tentato omicidio in pregiudizio di C. E.; 1 arresto. Il 23 marzo
duplice tentato omicidio in pregiudizio di C. G. e di C. A. con 6 arresti. Il 31
maggio tre arresti per l’omicidio di Emanuele Burgio. Il 23 giugno un arresto
per il tentato omicidio di T. M e il 2agosto un arresto per il tentato omicidio
di C. A. G. e S. M. C.

Inoltre nel 2021 sono stati tratti in arresto 137 rapinatori, 332 sono stati gli
spacciatori arrestati o denunciati, 35 gli arresti per il reato di
maltrattamenti in famiglia. Tra gli altri provvedimenti emessi dal Questore vi
sono 20 Ammonimenti per Stalking, 65 Ammonimenti per violenza domestica, 86
individui sono stati proposti dal Questore per l’applicazione della misura di
prevenzione della Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza, una richiesta di
limitazione della libertà personale al fine di scongiurare il compimento di
ulteriori delitti di criminalità comune o aggravati dal metodo mafioso; 51
Divieti di Accesso alle aree del centro urbano emessi nei confronti di
parcheggiatori abusivi, di pusher e 300 Avvisi Orali ed infine 18 Divieti di
Accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive.

Sequestrati oltre nove milioni alle cosche

Nell’anno preso in considerazione l’Ufficio Misure di Prevenzione Patrimoniali
della Divisione Anticrimine a seguito di indagini patrimoniale ha eseguito 11
provvedimenti di sequestro per un valore complessivo di circa 3.000.000 di euro,
di cui 7 nei confronti di soggetti appartenenti a cosa nostra e 5 provvedimenti
di confisca per un valore di circa 4.000.000 di euro, ci cui 3 nei confronti di
soggetti appartenenti a cosa nostra. In particolare si evidenza un provvedimento
di confisca, su proposta del Questore di Palermo, per 2.000.000 di euro nei
confronti di un esponente mafioso del quartiere “Acquasanta”.

I controlli anti Covid

Sotto l’aspetto delle gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica,
l’attività di Polizia si è soprattutto evidenziata nella verifica circa il
rispetto delle misure di contenimento previste dalla normativa in materia di
contenimento dell’emergenza epidemiologica: dai servizi volti a verificare, ad
inizio anno, il rispetto del lockdown, alle regole previste in “zona gialla”,
“zona arancione” e “zona rossa”, nonchè l’utilizzo dei D.P.I., ai servizi svolti
nell’ultima parte dell’anno volti a verificare il possesso della certificazione
verde “base” o “rafforzata” da parte della cittadinanza per la fruizione dei
diversi servizi e/o attività.

Due eventi in particolar modo hanno colpito l’opinione pubblica, ambedue risolti
in poco tempo dalla Polizia di Stato. Nel primo caso, gli agenti della Polizia
di Stato hanno individuato gli autori (un maggiorenne e due minorenni) di una
vile aggressione omofoba, perpetrata in pieno centro cittadino, che tanto
clamore ed indignazione aveva suscitato e che ha visto come vittime due ragazzi
giunti in visita turistica nel nostro capoluogo lo scorso 29 maggio. Nel secondo
episodio, tre soggetti con precedenti di polizia per diversi reati sono stati
ritenuti responsabili, in concorso tra loro, dell’aggressione perpetrata ai
danni di due poliziotti lo scorso 1 giugno in Piazza Magione. I fatti si erano
verificati durante i servizi di controllo straordinario del territorio disposti
dalla Questura di Palermo in diverse piazze della movida cittadina, tra le quali
piazza Magione, piazza S. Anna, piazza Caracciolo, e volti al rispetto dei
provvedimenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza
epidemiologica da Covid-19. Nella circostanza, durante un controllo di polizia i
poliziotti erano stati aggrediti con calci, pugni e spintoni da un numero
cospicuo di facinorosi che, infastiditi dall’attività di identificazione svolta
dal personale operante, avevano reagito lanciando alcune bottiglie, prelevate
dai cestini dei rifiuti.

In ultimo, si rammenta la nuova gestione dell’ordine pubblico nelle piazze
interessate dalla movida cittadina – piazza Magione, piazza S. Anna, piazza
Caracciolo – caratterizzata dalla creazione di varchi di accesso e di deflusso,
per entrare e per uscire dalle aree interessate, al fine di contingentare il
numero delle persone presenti e prevedere chiusura ad hoc, cercando di evitare
così assembramenti pericolosi per la salute pubblica.

Fonte:
https://palermo.gds.it/articoli/cronaca/2022/01/06/sequestri-ai-boss-e-arresti-ma-anche-controlli-anti-covid-della-polizia-a-palermo-d2ceb313-dcd0-443f-aede-f11bb56e609b/

 


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PRESENTAZIONE DEL LIBRO CURATO DA FRANCESCO DE NOTARIS PERCHÉ  “IL TEMPO È
SUPERIORE ALLO SPAZIO. AVERE PAROLE DI SPERANZA È GUARDARE AL TEMPO, AL FUTURO…”

Pubblicato 7 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6


Presentazione del libro curato da Francesco de Notaris perché  “Il tempo è
superiore allo spazio. Avere parole di speranza è guardare al tempo, al futuro…”
La storia di Napoli, le condizioni e i problemi della città, le sue
straordinarie bellezze sono raccontati “a più voci” dagli amici delle Assise di
Napoli e del Mezzogiorno d’Italia.
Nella raccolta degli scritti non c’è solo il ricordo di un passato da non
dimenticare per comprendere meglio il presente, ma soprattutto il segno di un
futuro da costruire.




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