www.comitato-antimafia-lt.org
Open in
urlscan Pro
89.46.105.28
Public Scan
URL:
https://www.comitato-antimafia-lt.org/
Submission: On January 10 via manual — Scanned from IT
Submission: On January 10 via manual — Scanned from IT
Form analysis
1 forms found in the DOMName: searchform — GET https://www.comitato-antimafia-lt.org/
<form class="art-search" method="get" name="searchform" action="https://www.comitato-antimafia-lt.org/">
<div><input class="art-search-text" name="s" type="text" value=""></div>
<input class="art-search-button" type="submit" value="">
</form>
Text Content
MENÙ * Appelli * Articoli * Comunicati * Convegni * Documenti * Esposti * Interrogazioni * Lettere * Relazioni * Video LINK CONSIGLIATI * Home Page * Chi Siamo * Consiglio Direttivo * Link consigliati OMICIDIO FAVA – SULL’AGGUATO UNA LUNGA CONFESSIONE MA SENZA RISCONTRI Pubblicato 10 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Sull’agguato una lunga confessione ma senza riscontri A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA 09 gennaio 2022 • 19:00 Punto per punto, ecco tutte le dichiarazioni di Avola che non hanno portato riscontri. Eppure il suo racconto “originale” sconfessa apertamente ed in maniera insanabile le parole del pentito Grancagnolo, finendo per infliggere una vera e propria picconata all’impianto accusatorio in quello che è l’omicidio più eclatante ricollegato alla famiglia catanese di Cosa Nostra. Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata all’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania. Nel 2003 la Cassazione condanna il boss Nitto Santapaola all’ergastolo perché ritenuto il mandante dell’omicidio. Mentre Aldo Ercolano e Maurizio Avola (reo confesso) sono stati condannati come i killer dell’omicidio. Per quanto riguarda il profilo della attendibilità intrinseca della propalazione di Avola osserva, innanzi tutto, la Corte che l’autonomia del dictum di Avola rispetto alle dichiarazioni degli altri collaboranti non può essere minimamente posta in discussione, poiché egli, pur conoscendo espressamente la dichiarazione di Grancagnolo fatta al pm il 20.3.1993 riportata in seno alla ordinanza di custodia cautelare notificatagli in carcere il 17.12.1993 per il reato associativo e peraltro integralmente depositata presso il Tribunale della Libertà di Catania adito da Avola in sede di riesame della misura restrittiva, ha fatto un racconto che, per la gran parte, è assolutamente originale, mentre con riferimento al segmento fattuale rappresentato da Grancagnolo (e cioè l’incontro al Motel Agip e la partenza dei killers) Avola si è posto in un contrasto dirompente con quanto era stato riferito da Grancagnolo, ribadito vibratamente in sede di confronto effettuato il 7.12.1994 a Torino con toni financo irridenti nei confronti di Grancagnolo per come si vedrà dettagliatamente in seguito. Non c’è alcun dubbio che, se Avola avesse voluto adeguarsi al dictum di Grancagnolo, avrebbe cercato di coniugare il suo racconto con quello di Grancagnolo, anziché sconfessarlo apertamente ed in maniera assolutamente insanabile, finendo per infliggere (anche per via della esclusione della partecipazione di Cortese) una vera e propria picconata all’impianto accusatorio in quello che è l’omicidio più eclatante ricollegato alla famiglia catanese di cosa nostra. E trattasi di rilievo che è bene memorizzare allorché si discetta della credibilità soggettiva del collaborante Avola, per sgombrare il campo dalla insinuazione, costantemente ribadita dalle difese, per cui egli non avrebbe fatto altro che adeguarsi alle dichiarazioni degli altri collaboranti e secondare le tesi accusatorie. Per quanto riguarda il profilo della autonomia del dictum di Avola rispetto alla stampa, osserva la Corte come lo stesso Avola abbia ammesso senza riserva alcuna di avere letto il giornale “La Sicilia” del 6.1.1984 (il quale riferiva, oltre che della pioggia che la sera dell’omicidio cadeva su Catania, anche i dati di cronaca relativi all’omicidio avvenuto la sera precedente, ivi comprese le notizie sul killer solitario e sulla pistola cal. 7,65 munita di silenziatore, con la quale erano stati esplosi dal lato sinistro della Renault 5, attraverso il vetro frantumato dello sportello, i cinque colpi che avevano attinto Fava, il quale aveva appena spento il motore e si accingeva a scendere dalla macchina), pur negando espressamente di avere ivi appreso il particolare del silenziatore della pistola cal. 7,65, ma non c’è dubbio che il racconto fatto da Avola è così analitico, preciso, specifico e dettagliato sull’antefatto, sulla fase esecutiva in senso stretto e sul post factum che non può, nella sua interezza, essere fondato esclusivamente sulla lettura di quanto pubblicato sulla stampa: è certamente impossibile che Avola abbia potuto apprendere dal giornale quanto egli ha riferito sui tentativi fatti in precedenza alla Villetta di S. Agata Li Battiati ed al ristorante sito sul lungomare di Catania, sull’appostamento effettuato davanti alla sede de “I Siciliani” in attesa della uscita di Fava, sul fatto che l’auto del Fava aveva quella sera uno degli stop posteriori non funzionanti; sul passaggio dalla salumeria della zia Piera, sul parcheggio della Renault 18 in via dei Cosmi, sul brindisi fatto in casa di Licciardello dove trovavasi Francesco Mangion e sulla espressione da quest’ultimo profferita per cui con la uccisione di Fava si erano presi due piccioni con una fava e quant’altro è stato dal collaborante riferito con dovizia di particolari assolutamente inediti. Sarà esaminato in seguito il profilo relativo alla genuinità del riferimento fatto dal collaborante alla intervista rilasciata da Fava a Biagi ed alla notizia che di tale intervista venne riportata sul giornale “La Sicilia” del 18.12.1994. Venendo poi all’esame delle censure specifiche che dalle difese degli imputati sono state avanzate in ordine alla attendibilità intrinseca della dichiarazione di Avola si osserva quanto segue. LA RAPIDA CARRIERA CRIMINALE DI AVOLA È stato innanzi tutto rilevato da più parti che, al momento dell’omicidio di Fava, Avola era un ragazzo di 22 anni, il quale era stato scarcerato nell’estate del 1983 da appena quattro mesi; che in carcere egli era stato oggetto financo di violenza fisica da parte di altri detenuti più anziani (a riprova del fatto che Avola in quel momento non aveva alcun peso specifico nell’ambito della famiglia catanese di cosa nostra e più in genere della criminalità catanese), che poi in seguito per vendetta sarebbero stati uccisi; che la nomina di Avola ad uomo di onore della famiglia catanese, pur a volere dare seguito alla dichiarazione dello stesso Avola del 13.5.1996, era recentissima, risalendo alla fine del 1983 inizio del 1984 e comunque prima dell’omicidio di Fava (anche se poi, stranamente, all’udienza del 27.10.1999 dinanzi al Tribunale di Catania nel processo Ercolano Aldo +4 il collaborante non indicherà tale evento nel novero di quelli importanti che nella sua vita si erano verificati a fine del 1983 inizio del 1984 e pur a volere prescindere dalla indicazione fatta da Natale Di Raimondo, per cui Avola sarebbe divenuto uomo di onore solo nel 1987, indicazione quest’ultima che forse era strettamente dipendente dal fatto che Di Raimondo era stato nominato uomo d’onore nel 1987 e solo allora aveva avuto notizia ufficiale della composizione della famiglia; che tutto ciò era scarsamente compatibile con il fatto riferito da Avola di essere stato egli cooptato nella esecuzione dell’omicidio più eclatante commesso dalla famiglia catanese di cosa nostra, che peraltro era rimasto riservatissimo anche a livello informativo, costituendo patrimonio conoscitivo di pochissimi soggetti (che, per detta dello stesso Avola, non eccedevano il numero corrispondente alle dita di una mano). Ora tutto ciò, seppure corrisponde a verità, non può essere di per se stesso indice di una aprioristica inattendibilità intrinseca della dichiarazione di Avola, perché nulla di strano vi è nel fatto che Avola, le cui doti di killer efferato e spietato evidentemente erano già emerse tanto prepotentemente nell’ambito della famiglia (in occasione della sua partecipazione all’omicidio di Andrea Finocchiaro commesso tre mesi circa prima dell’omicidio di Fava) da consentirgli di fare poi una carriera criminale rapidissima, possa essere stato, non appena nominato uomo di onore, cooptato nella esecuzione del delitto in esame da D’Agata Marcello, che era personaggio di assoluto rilievo in seno alla consorteria e che (nel dictum di Avola) aveva curato la organizzazione dell’omicidio: egli certamente conosceva bene Avola, il quale (anche se a quel tempo non erano stati ancora costituiti i vari gruppi territoriali in cui si venne poi ad articolare sul territorio la organizzazione della famiglia catanese di cosa nostra) gravitava indubitabilmente intorno al Motel Agip, di cui era gestore D’Agata stesso, il quale, da autentico scopritore di talenti emergenti, aveva intravisto in Avola le doti di killer superiori alla media ed il notevole spessore criminale dello stesso, il che lo aveva convinto ad avvalersi dell’opera del giovane talento per la esecuzione dell’omicidio di Fava, essendo stato deciso in sostanza nell’ambito della strategia organizzativa dell’omicidio di operare una giusta miscellanea tra l’esperienza (assicurata dalla presenza di D’Agata e di Enzo Santapaola) e la efficienza, assicurata dalla presenza di Avola e di Ercolano, altro giovane elemento destinato ad un cursus velocissimo. LE PRIME INFORMAZIONI RACCOLTE SU FAVA […] Si è discusso molto tra le parti in ordine alla circostanza riferita da Avola, per cui D’Agata ed Ercolano avevano acquisito le prime informazioni sul conto di Fava (e cioè sul luogo di residenza anagrafica e sui movimenti dello stesso) a mezzo di un certo Claudio Balsamo, che il collaborante aveva indicato come un soggetto romagnolo più alto di Avola e con i capelli lunghi e brizzolati, amico di D’Agata e cognato del titolare del negozio di arredamento per bagni denominato Belford (rectius: Elford) sito in via Asiago; che abitava prima ad Ognina vicino il ristorante Costa Azzurra e poi in via Mollica di Cannizzaro vicino al ristorante Selene; che aveva fatto da basista per una rapina commessa a Bologna, cui aveva partecipato lo stesso Avola; che aveva avuto un ruolo nella estorsione subita dal cognato e che una volta aveva incontrato il Fava in Tribunale e lo aveva indicato a D’Agata. Ora in tema va detto che, nel corso delle indagini, gli inquirenti mostrarono alla moglie di Fava (Corridore Elena) un album contenente le fotografie di vari soggetti aventi per cognome Balsamo e venne individuato in un primo tempo dalla Corridore un certo Stefano Balsamo, che frequentava il Club della Stampa ed una sera aveva aveva accompagnato la moglie di Fava dal Club della Stampa a casa della stessa, sita al Corso Italia n. 213 di Catania, per come dalla stessa Corridore dichiarato al pm l’1.12.1994, ma tale ricognizione in effetti (per come dedotto dalla Pubblica Accusa) è del tutto irrilevante perché lo Stefano Balsamo riconosciuto dalla Corridore non ha nulla a che vedere con il soggetto indicato da Avola, che da parte sua il 7.12.1994 ha espressamente negato che lo Stefano Balsamo fosse la persona cui egli aveva fatto riferimento. In data 6.5.1995 venne sentito dagli inquirenti Stella Salvatore, titolare del magazzino Elford, e tale dichiarazione consentì di individuare il soggetto indicato da Avola (ed anche da Grancagnolo) come “Claudio Balsamo” in Claudio Bassi. Stella ha ammesso di conoscere Marcello D’Agata; di avere un cognato di nome Claudio Bassi che a sua volta era amico del D’Agata, il quale veniva nel suo negozio e chiedeva lo sconto adducendo di essere amico del Bassi; che egli aveva subito una estorsione preceduta dalla collocazione di un ordigno davanti al suo negozio; di essere stato socio del Club della Stampa dal 1989 grazie alla presentazione del giornalista Filippo Galatà e di Tony Zermo (il che non esclude che lo Stella abbia frequentato il detto Club della Stampa come ospite anche in epoca precedente, dati i rapporti di amicizia che intercorrevano tra lo Stella ed il figlio di Filippo Galatà, socio di detto Club e conoscente di Fava oltre che di Benedetto Santapaola, se è vero che risulta essere stato fotografato assieme a quest’ultimo). Ciò premesso reputa la Corte che dalle risultanze processuali acquisite non emerga un riscontro pieno al dictum di Avola, ma neppure può dirsi che il racconto di Avola sia stato smentito. […] In questa situazione può concludersi solamente che, sulla base della dichiarazione di Avola, non può essere affatto esclusa la circostanza che D’Agata abbia sfruttato la sua conoscenza con il Bassi per ottenere informazioni, sia pure minimali, sul conto del Fava ed avere, in occasione dell’incontro al Tribunale, una certa contezza sull’aspetto fisico del Fava, di poi visto anche al rifornimento Agip del D’Agata, il tutto in funzione dello svolgimento di una attività di controllo dei movimenti del Fava, senza però che sulla eventualità suddetta vi sia stato riscontro oggettivo pieno in atti. La difesa di D’Agata ha poi osservato che quanto riferito da Avola in ordine alla perlustrazione fatta assieme a D’Agata nei pressi del palazzo sito al Corso Italia 213, dove Fava abitava, sarebbe smentito dal fatto che già nell’ottobre 1983 il giornalista si era separato dalla moglie e viveva altrove assieme ai genitori in via Generale San Marzano (per come è emerso dalle dichiarazioni rese dai testi Mario Giusti, Claudio Fava e Quasimodo Giovanna). Ora in tema devesi rilevare che la separazione personale dei coniugi Fava-Corridore non era affatto nota alla consorteria, trattandosi di una separazione di fatto risalente peraltro a poco tempo prima e d’altra parte Fava aveva mantenuto ancora al Corso Italia 213 la residenza per così dire formale ed ufficiale (quale si poteva evincere agevolmente per esempio dall’elenco telefonico ovvero dai nominativi segnati sui pulsanti dei citofoni), per cui è perfettamente logico che ivi vennero fatte le perlustrazioni ed è anche provato il fatto che Fava, pur essendosi separato dalla moglie, spesso si recasse lo stesso in Corso Italia 213 per ivi incontrare la moglie (con la quale intratteneva buoni rapporti) ed i figli: se quindi il dato ufficiale si coniugava perfettamente (tenuto conto ovviamente del fatto che gli appostamenti presso l’abitazione del Corso Italia 213 erano saltuari) con la circostanza che il Fava veniva pur sempre notato a volte al Corso Italia 213, non si comprende perché mai Avola ed i suoi amici avrebbero dovuto sospettare che il Fava si fosse separato dalla moglie e di conseguenza dirottare le perlustrazioni nel luogo in cui il Fava si era trasferito (via Generale San Marzano) che verosimilmente era rimasto ignoto alla cosca. L’INTERVISTA RILASCIATA AD ENZO BIAGI Va esaminato poi il segmento della dichiarazione di Avola relativo alla intervista che Giuseppe Fava aveva rilasciato ad Enzo Biagi il 17.12.1983 negli studi televisivi di Lugano di Retequattro in occasione di un dibattito cui avevano partecipato Nando Dalla Chiesa ed il difensore dei fratelli Greco, intervista andata in onda su detta rete televisiva il 29.12.1983, che da Avola è stata indicata come l’evento che ha costituito la causa ultima dell’omicidio di Giuseppe Fava. […] Contrariamente a quanto è stato sostenuto dalla difesa di Aldo Ercolano la intervista de qua non è stata affatto generica e non può dirsi che non conteneva nulla che non avesse potuto turbare gli animi dei soggetti chiamati in causa. Ed, invece, si era trattata di una intervista che indubbiamente aveva lasciato il segno, poiché Fava aveva trattato duramente il tema della mafia infiltrata nel sistema bancario come strumento di riciclaggio delle ricchezze acquisite illecitamente ovvero penetrata all’interno del Parlamento e della politica, tanto da auspicare sotto questo profilo una rifondazione del sistema politico, con l’avvento di una seconda Repubblica che avesse solo delle leggi ed una struttura democratica, in cui il politico non fosse più succube di se stesso o della ferocia degli altri, ma solo un professionista della politica; nella intervista de qua Fava poi trattò la vicenda sentimentale di Luciano Liggio e Leoluchina Sorisi (di cui si è detto sopra) come emblematica della arroganza di un mafioso come Liggio manifestata anche nell’ambito dei rapporti personali. L’intervista era stata per certi versi dirompente ed era stata tale da irritare i protagonisti delle consorterie mafiose, e ciò è reso palese da quanto affermato da Fava in chiusura della intervista: “in questo tipo di società la protezione è indispensabile se qualcuno non vuole condurre la vita di lupo solitario, che può anche essere una scelta, può anche essere affascinante per essere soli nella vita e non avere né aderenze né protezioni di alcuna, parte orgogliosamente soli fino all’ultimo”. La suddetta intervista poi non fu assolutamente la causa scatenate dell’omicidio in quanto essa ha avuto solamente la funzione di accelerare (rendendola assolutamente improcrastinabile) la fase strettamente esecutiva dell’omicidio, che già da tempo era stato concepito, deciso e programmato (sin da quando Benedetto Santapaola era molto arrabbiato e furibondo in casa della Amato a Siracusa a dicembre del 1982 per la lettura della rivista “I Siciliani”, che denunciava all’opinione pubblica l’intreccio mafia politica affari), decisione omicidiaria che era rimasta sempre valida, efficace ed attuale in seno alla consorteria, tanto che tra gli affiliati non si perdeva occasione per boicottare ed insultare Fava; il disprezzo che in seno alla famiglia catanese e palermitana si era diffuso nei confronti di Giuseppe Fava è un dato certo nel processo, avendo di ciò riferito tutti i collaboranti esaminati nel processo (ivi compresi i palermitani Siino e Mutolo) ed Avola in particolare ha detto che Ercolano e D’Agata “già da diverso tempo parlavano della necessità di eliminare il giornalista per i suoi articoli contro la mafia” ed inoltre che D’Agata, ogni qual volta leggeva la rivista “I Siciliani”, diceva che Fava era un “fituso” perché parlava male della mafia e doveva essere eliminato. La difesa di D’Agata poi ha rilevato che il riferimento di Avola alla intervista de qua non sarebbe affatto genuino ed autonomo, perché Avola non avrebbe riferito un dato che si apparteneva al suo patrimonio conoscitivo genetico, ma si sarebbe solo appropriato di una circostanza che era stata pubblicata nel giornale “La Sicilia” del 18.12.1993, ed esattamente il giorno successivo a quello in cui era stata eseguita la operazione Orsa Maggiore. […] Un segmento della narrazione di Avola sul quale è stata misurata la attendibilità intrinseca della dichiarazione del collaborante suddetto è costituito dai tentativi di uccisione del Fava effettuati presso il bar La Villetta di S. Agata Li Battiati e presso il ristorante “Grand Canyon” sito sul lungomare di Catania. […] In seno alle dichiarazioni rese al pm il 10 e 16.3.1994 Avola ha collocato chiaramente i due episodi suddetti dopo l’intervista concessa dal Fava ad Enzo Biagi ed andata in onda su Retequattro il 29.12.1983, che avrebbe costituito la causa scatenante dell’omicidio, per come ora detto. In sede di esame dibattimentale del 28 e 29.11.1996 a seguito del controesame della difesa di D’Agata, che fece constare al collaborante come la suindicata intervista fosse stata trasmessa in televisione il 29.12.1983, Avola dichiarò di ricordare meglio, assumendo che i tentativi in questione si erano verificati prima della intervista suddetta, per poi tornare infine alla versione originaria allorché il PM ebbe a contestargli le dichiarazioni originarie, inducendo così la difesa a rilevare che tra il 29.12.1983 ed il 5.1.1984 vi sarebbe una eccessiva concentrazione di eventi scarsamente credibile. LA PISTOLA SILENZIATA […] Un’altra circostanza sulla quale si è discusso a lungo e molto vivacemente tra le parti, con riferimento al tema della attendibilità intrinseca della dichiarazione di Avola, è stata quella relativa all’utilizzo di una pistola silenziata con la quale sarebbe stato consumato l’omicidio, secondo quanto è stato riferito dal collaborante sin dalla dichiarazione resa al pm il 16.3.1994. Va subito detto che il quotidiano “La Sicilia” del 6.1.1984 riportò subito, riferendo della dinamica dell’agguato fatto la sera precedente a Giuseppe Fava, la notizia che l’assassino solitario aveva sparato con una pistola cal. 7,65 munita di silenziatore (verosimilmente sulla base della constatazione del fatto che le persone compulsate nell’immediato avevano dichiarato di avere sentito poco o nulla). Avola ha ammesso di avere letto il giornale suddetto, ma di non avere letto invece del silenziatore, il che è dato inverosimile perché del silenziatore suddetto si faceva cenno in seno al vistoso sottotitolo di un articolo a nove colonne, che è versato in atti. […] Avola al dibattimento ha precisato che l’opera di silenziamento fu realizzata in tempi molto rapidi e che non era assolutamente certo che la detta opera fosse stata concretamente realizzata da Sgroi ovvero da altra persona cui lo stesso Sgroi si fosse rivolto. Le risultanze processuali acquisite non consentono di potere affermare che la dichiarazione di Avola in ordine al segmento relativo alla pistola silenziata sia stata riscontrata e confermata dalle stesse, ma le stesse non consentono neppure di potere affermare che il dictum del collaborante sia stato smentito. Orbene Sgroi Cosimo, esaminato in dibattimento, ha smentito l’assunto di Avola ed i due sono stati posti a confronto all’udienza del 7.3.1997, all’esito del quale ognuno dei due ha confermato la propria versione. […] Non c’è dubbio quindi che il dictum di Avola in ordine all’attività svolta per ottenere il silenziamento della pistola cal. 7,65 non è stato riscontrato e parimenti nulla è emerso con riferimento all’arma usata in occasione dell’omicidio di Andrea Finocchiaro commesso appena tre mesi prima dell’omicidio di Fava, per il quale Avola ha detto che sarebbe stato usato lo stesso silenziatore, seppure la filettatura sulla canna non sarebbe stata fatta da Sgroi, non risultando dagli atti del processo che siano stati sottoposti ad alcun accertamento peritale eventuali reperti relativi all’omicidio di Andrea Finocchiaro e che sia stato opportunamente investigato, sul punto del silenziamento dell’arma, il soggetto che viaggiava in macchina accanto ad Andrea Finocchiaro; il fatto che Sgroi non fosse stato officiato per la filettatura della pistola usata per detto omicidio non appare un elemento significativo, poiché è naturale che la consorteria avesse a sua disposizione diversi artigiani a cui rivolgersi per la filettatura a seconda dei casi, delle necessità e delle contingenze. L’utilizzo di una pistola silenziata è stata poi esclusa dalla perizia che nella immediatezza del fatto, in sede di indagini preliminari, è stata espletata su incarico del PM dal Prof. Compagnini, il quale ha detto chiaramente che i proiettili repertati non avevano traccia di silenziatore […] seppure il giornale “La Sicilia” del 6.1.1984 avesse espressamente parlato di un killer solitario armato di pistola munita di silenziatore. […] Parimenti ritiene la Corte che nessun dato certo possa dedursi sul punto del silenziamento della pistola dalla prova testimoniale espletata, poiché le risultanze emergenti da detta prova appaiono tra loro contrastanti e non univoche. Fonte: https://www.editorialedomani.it/fatti/blog-mafie-omicidio-pippo-fava-agguato-confessione-senza-riscontri-q6vmftti Pubblicato in Articoli RINASCITA SCOTT, FRANCE 24 E IL RACCONTO DELLA ‘NDRANGHETA. GRATTERI: «INDAGINI SEMPRE PIÙ IN PROFONDITÀ» Pubblicato 10 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Rinascita Scott, France 24 e il racconto della ‘ndrangheta. Gratteri: «Indagini sempre più in profondità» Il reportage tra processo e attività investigativa. Le immagini con la cattura di Bonavota. Il coraggio di Zappia. «Denunciare è necessario» Pubblicato il: 09/01/2022 – 15:50 CATANZARO Si intitola “‘Ndrangheta, un processo per la storia” il reportage che l’emittente France24 ha dedicato alla criminalità organizzata in Calabria partendo dal maxiprocesso Rinascita, istruito dalla Dda di Catanzaro contro le cosche di Vibo Valentia. Se l’Italia tace, la stampa estera manda i propri giornalisti in Calabria per costruire lunghi e articolati servizi. E per la Francia questo non è il primo reportage se, tra gli articoli della stampa d’oltralpe, contiamo pure il documentario in fase di realizzazione prodotto dalla Disney. France24 ha inviato in Calabria i propri corrispondenti da Roma, tra i quali la giornalista Louise Malnoy, a seguire l’attività di contrasto alla criminalità organizzata guidata dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. I francesi partono dal mostrare la vita blindata del magistrato il quale racconta la propria sotto scorta dal 1989. Una scorta che si è fatta ancora più stretta e stringente negli ultimi anni, con le nuove minacce contro il procuratore intercettate dagli investigatori. Gratteri spiega come le misure di sicurezza siano diventate più attente e siamo aumentati i controlli durante i percorsi. Il paragone, che ricostruisce France 24, è con le stragi che hanno ucciso i giudici Falcone e Borsellino. GRATTERI: «I RISCHI AUMENTANO, MA LE NOSTRE INDAGINI VANNO FINO IN FONDO» Le prime immagini sono girate negli uffici della Procura di Catanzaro e raccontano una comunicazione tra Nicola Gratteri e i suoi pm. Direttamente al cuore delle attività investigative: «I rischi sono aumentati negli ultimi tempi – spiega il procuratore –, quando abbiamo spinto più in là, e sempre più in profondità, le nostre indagini». Le telecamere si soffermano sulle effigi di Falcone e Borsellino nello studio del magistrato. E le sue parole tornano all’attentato progettato contro uno dei suoi figli: «Ha una moto, avevano programmato di ucciderlo facendolo sembrare un banale incidente». LA CATTURA DI DOMENICO BONAVOTA France 24 mostra il lavoro dei carabinieri di Vibo Valentia. E attraverso la voce del capitano Alessandro Bui, racconta l’arresto del latitante Domenico Bonavota: «Avevamo solo cinque minuti per entrare in azione. Nei pressi della casa c’erano persone per garantire una copertura al latitante mentre lui era nascosto sotto il letto». IL CORAGGIO DI ZAPPIA. «DIFFICILE MA NECESSARIO» A Nicotera, l’inviata Louise Malnoy incontra Carmine Zappia, imprenditore che ha deciso di denunciare. «Non è facile, ma ne vale la pena – dice –. Abbiamo bisogno di cambiare, e questo comporta sacrifici ma è necessario». Il suo negozio di tabacchi era costretto a pagare il pizzo. «Pagavo 15mila euro ogni tre mesi. A un certo punto ho capito che non avrebbero mai smesso. E non avevo più un euro per pagare». Ogni mattina le minacce diventavano più pesanti, fino a quando Zappia non ha deciso di denunciare «e due mesi dopo i miei aguzzini sono stati arrestati». Anche se la sfida ai clan gli è costata parecchi clienti. «Dobbiamo ringraziare il Signore che lo abbia fatto, perché non è facile. Ci leviamo il cappello davanti al signor Zappia», dice uno degli avventori. LA COCA AL PORTO DI GIOIA TAURO. «NE ARRIVA A TONNELLATE» I riflettori si spostano sul porto di Gioia Tauro, legato – spiega l’inviata – alla crescita del boss Luigi Mancuso nei ranghi della ‘ndrangheta che conta. Giorgio Pugliese, responsabile antifrode dell’Ufficio Dogane spiega: «In questo porto passano ogni anno tonnellate di cocaina, non chili. Nel 2020 il nostro ufficio ne ha sequestrato circa sette tonnellate». Sono una quarantina i container ispezionati ogni giorno e soltanto il 10-15% della droga importata viene intercettata dai controlli. «È come trovare un ago in un pagliaio», dice Loris Spadafora, uno dei responsabili delle verifiche. FILIPPO CERAVOLO E IL SOGNO DI ANDARE A VEDERE LA JUVENTUS France24 arriva a Soriano Calabro, piccolo centro delle Preserre vibonesi stretto nella morsa di una guerra di mafia tra le cosche Loielo ed Emanuele. La tv entra in casa di Martino Ceravolo, un commerciante, un padre al quale oggi non resta che mostrare i ricordi di suo figlio Filippo, morto a soli 19 anni, vittima innocente di un agguato di mafia il 25 ottobre 2012. Casa di Martino è un santuario dedicato a Filippo. Martino ha incorniciato anche il biglietto del treno che avrebbe dovuto portare Filippo a vedere a Pescara la partita della sua squadra del cuore, la Juventus. Un sogno che il ragazzo non ha mai realizzato. La vita di questo padre è protesa a mantenere viva la lotta per ottenere giustizia e verità. E a ricordare a tutta la popolazione la morte di un innocente in un agguato destinato a un altro, c’è un monumento al centro di Soriano che svetta contro il cielo e porta un medaglione al centro col viso del 19enne. Fonte: https://www.corrieredellacalabria.it/2022/01/09/rinascita-scott-france-24-e-il-racconto-della-ndrangheta-gratteri-indagini-sempre-piu-in-profondita/ Pubblicato in Articoli RINASCITA SCOTT SULLA TV FRANCESE: IL MAXIPROCESSO IGNORATO DALLA STAMPA ITALIANA MA NON DA QUELLA INTERNAZIONALE Pubblicato 10 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Rinascita Scott sulla tv francese: il maxiprocesso ignorato dalla stampa italiana ma non da quella internazionale Il reportage di France24 nella provincia di Vibo Valentia: le interviste al procuratore Gratteri e al capitano Bui, ma anche le storie di resistenza e coraggio di Carmine Zappia e Martino Ceravolo di Redazione 9 gennaio 2022 15:12 “Italy’s ‘Ndrangheta mafia: a trial for the history books”. È il titolo del reportage in lingua inglese trasmesso nella serata di ieri da France24, colosso multimediale francese, a cura di Louise Malnoy, in collaborazione con Charlotte Davan Wetton, Lorenza Penza e Natalia Mendoza. Un viaggio nella ‘ndrangheta che parte dall’ufficio del procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, che narra del maxiprocesso Rinascita Scott (sempre più ignorato dai media italiani ma di nuovo al centro dell’attenzione internazionale) e che attraversa la provincia di Vibo Valentia. Lo speciale inizia con l’intervista al capo della Dda di Catanzaro, il quale racconta la sua storia sotto scorta, il significato dell’inchiesta Rinascita Scott ed il valore, anche simbolico, dell’aula bunker di Catanzaro. La troupe di France 24 sale anche a bordo dell’auto blindata del magistrato simbolo della lotta alla ‘ndrangheta, accompagna i carabinieri di Vibo Valentia in un servizio di controllo del territorio e intervista il capitano Alessandro Bui, comandante del Nucleo investigativo di Vibo Valentia. “Italy’s ‘Ndrangheta mafia: a trial for the history books” mostra anche l’impegno dell’associazione Libera nel territorio di Vibo Valentia e, in particolare, del referente provinciale Giuseppe Borrello, che animò la storica manifestazione del 24 dicembre 2019, quando circa duemila cittadini, cinque giorni dopo la maxioperazione, scesero in strada per esprimere la loro gratitudine alla magistratura e ai carabinieri, del Ros di Catanzaro e Roma e del Comando provinciale di Vibo Valentia. Le giornaliste francesi intervistano, tra gli altri, due figure emblematiche della storia recente della Calabria, ovvero Carmine Zappia, imprenditore e testimone di giustizia, e Martino Ceravolo, il papà di Filippo, vittima innocente della criminalità organizzata, ucciso la sera del 25 ottobre 2012. Il reportage dell’emittente francese fa anche tappa davanti all’abitazione di Luigi Mancuso, il Supremo, e nel porto di Gioia Tauro. Intervista il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura e mostra immagini esclusive, come quelle inerenti la cattura di Domenico Bonavota, il boss di Sant’Onofrio tra i principali imputati di Sant’Onofrio. Del maxiprocesso Rinascita Scott si è occupata anche LaC con una trasmissione dedicata, articolata in due stagioni, volta a rompere il silenzio e raccontare uno dei più grandi processi contro la criminalità organizzata (RIVEDI QUI LE PUNTATE) Fonte: https://www.lacnews24.it/cronaca/rinascita-scott-sulla-tv-francese-il-maxiprocesso-ignorato-dalla-stampa-italiana-ma-non-da-quella-internazionale_148569/ Pubblicato in Articoli BARDELLINO AVEVA APPARTAMENTI A GAETA,FORMIA,PISA ED ANCHE UN OSPEDALE PRIVATO NEL CASERTANO Pubblicato 10 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Il boss Bardellino aveva anche un ospedale privato 9 Gennaio 2022 Di Redazione LA STORIA DELLA CAMORRA – GIÀ NEGLI ANNI ’80 SI REGISTRARONO INFILTRAZIONI CAMORRISTICHE NEL SISTEMA SANITARIO Le indagini contro la camorra hanno dimostrato come i clan, negli anni, abbiano provato a mettere le mani sulla sanità campana. Per esempio una recente indagine sui clan del Vomero hanno svelato un ingente giro d’affari illegale attorno agli appalti indetti dai maggiori ospedali napoletani. Ma l’interesse per questo settore non è una cosa recente. Già negli anni ‘80, quando in Campania imperversava la faida tra Nuova camorra organizzata e Nuova famiglia, si registrarono infiltrazioni camorristiche nel sistema sanitario. Addirittura il boss Antonio Bardellino riuscì a ottenere la gestione di un ospedale. A dicembre del 1985 i giudici della terza sezione penale del tribunale di Napoli emisero un’ordinanza di sequestro per un nosocomio nel Casertano. Secondo le indagini svolte all’epoca dalla Criminalpol, alcuni dei soci della società che gestiva il presidio sarebbero stati affiliati del fondatore del clan dei Casalesi, all’epoca latitante perché colpito da mandato di cattura per associazione per delinquere di stampo camorristico e per numerosi altri reati. Con la stessa ordinanza i giudici disposero il sequestro di alcuni beni di Bardellino intestati alla sua convivente e ad alcuni parenti: parte di due fabbricati e un appartamento di Gaeta, un altro a Pisa, due case, due terreni, un locale e una villa a Formia in base alla legge antimafia che prevede il sequestro e poi la confisca dei beni di pregiudicati sottoposti a indagini che non siano in grado di dimostrarne la legittima provenienza. Fonte: https://www.stylo24.it/il-boss-bardellino-aveva-anche-un-ospedale-privato/ Pubblicato in Articoli LA FAMIGLIA DI SANDOKAN ACCUSA ORLANDO DIANA: “ERA L’UOMO DI ZAGARIA SUL COMUNE” Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 La famiglia di Sandokan accusa Orlando Diana: “Era l’uomo di Zagaria sul Comune” E’ stato consigliere dal 2004 al 2012. Schiavone: “Nascondeva le armi di Caterino” Di Giuseppe Tallino -7 Gennaio 2022 SAN CIPRIANO D’AVERSA – Sarebbero stati Orlando Diana, 41enne, ex consigliere comunale, e Maurizio Zippo, 57enne, a rappresentare gli interessi del clan dei Casalesi nel business delle cooperative sociali: è la tesi su cui, da circa tre anni, sta lavorando la Squadra mobile di Caserta. E se la Procura distrettuale di Napoli, che coordina l’indagine, le sta dando credito, al netto di intercettazioni e riscontri documentali, è anche per le diverse dichiarazioni fatte dai collaboratori di giustizia sui due personaggi (indagati a piede libero per associazione mafiosa). Tra i pentiti ascoltati dai magistrati c’è Nicola Schiavone, primogenito del capoclan Francesco Sandokan: “Sono andato anche in vacanza con Orlando Diana – ha raccontato nel 2018 al pm Maurizio Giordano -. Tra i vari viaggi ricordo uno a Montecatini e un altro a Malta. […] I suoi rapporti con Michele Zagaria sono molto buoni, al punto che posso tranquillamente affermare, per mia scienza diretta, che mi deriva da tale intensità di frequentazione con costui, che Diana era la faccia pulita di Zagaria sul Comune di San Cipriano d’Aversa quando intraprese anche un’attività politica durante la sindacatura Martinelli”. La parentesi amministrativa di Diana, iniziata nel 2004, si è chiusa nel 2012. Ora a sedere in Assise c’è la moglie, Giuseppina Barbato (estranea all’inchiesta). “Il rapporto tra me e lui – ha proseguito Schiavone – è durato alcuni anni, almeno fino al 2005-2006”. A farlo incrinare, ha riferito il pentito, sarebbero state, poi, questioni di donne. “Era fidanzato con la sorella di Mario Barbato, ma intraprese una relazione con la cognata, fidanzata del fratello di Mario. Quando seppi questa cosa, reagii mettendolo in cattiva luce, allontanandolo dal mio gruppo”. Diana, stando a quanto sostenuto da Schiavone, era legato pure a Oreste Caterino e quest’ultimo “era solito nascondere le armi all’interno della sua abitazione” Finito l’idillio con Schiavone, il sanciprianese si sarebbe avvicinato definitivamente agli Zagaria: “Più volte ospitò Michele a casa”. Il 41enne è anche parente a Francesco Zagaria, alias Ciccio ‘a benzina, defunto marito di Elvira Zagaria, sorella del capoclan Michele, e ritenuto dagli inquirenti il principale collegamento della cosca di Casapesenna con i politici e con il mondo della Sanità. Il primogenito di Sandokan alla Dda ha parlato anche di Maurizio Zippo. “E’ detto Zippetiello, si frequentava con Ernesto De Luca del clan Iovine”. A fornire informazioni alla Procura distrettuale su Orlando Diana è stata anche Giuseppina Nappa, ex moglie di Sandokan, dal 2018 sottoposta al programma di protezione offertole per la collaborazione con la giustizia intrapresa dal figlio Nicola. “Si tratta di una persona che è stata molto vicina a Zagaria, ospitandolo anche durante la sua latitanza Tale notizia – ha riferito nel 2020 al pm Simona Belluccio – mi è stata data dal fratello della moglie di Orlando Diana”. Accuse pesanti che non rappresentano verità assolute: alla Dda il compito di valutarle e riscontrarle. Del resto, l’indagine sul mondo delle cooperative è ancora in corso. Al momento è sfociata solo in perquisizioni presso le sedi di svariate società, attive nel ‘Terzo settore’, e presso le casa di Diana, Zippo e di altri 15 indagati. Ha acceso i riflettori sulle coop che orbitano intorno agli imprenditori Pasquale Capriglione, di Falciano del Massico, Luigi Lagravanese, di Aversa, i già citati Diana, Zippo e alla commercialista Eufrasia Del Vecchio, residente a Casapulla e sorella del ras Carlo del Vecchio: stando alla tesi degli investigatori si sarebbero aggiudicate in questi anni appalti su appalti da Comuni e Ambiti territoriali grazie a procedure illecite messe in atto con la complicità di politici e dipendenti pubblici. Il tutto, dice l’accusa, all’ombra del clan dei Casalesi. Rifiuti e clan dei Casalesi, Cassandra: “Graziano presentò Zagaria a Savoia” Bandi di gara cuciti su misura. Smantellato il sistema Savoia: sei arresti e tredici… Fonte: https://cronachedi.it/la-famiglia-di-sandokan-accusa-orlando-diana-era-luomo-di-zagaria-sul-comune/ Pubblicato in Articoli INFILTRAZIONI CRIMINALI, PNRR E RUOLO DELLE PREFETTURE. INCONTRO FORMATIVO A COSENZA Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Infiltrazioni criminali, Pnrr e ruolo delle Prefetture. Incontro formativo a Cosenza Il 14 gennaio giornata per imprese, professionisti e dipendenti pubblici. Appuntamento alla Camera di Commercio di Cosenza Pubblicato il: 07/01/2022 – 15:58 COSENZA L’illegalità economica, ancor più se esercitata in forma organizzata e strutturata, distorcendo le normali regole del mercato, abbatte i potenziali di crescita di un Paese che, già fiaccato da numerosi anni di recessione e stallo economico, è stato messo a dura prova dall’emergenza sanitaria, economica e sociale generata dalla pandemia. Emergenza che ancora una volta rappresenta un’opportunità per le mafie per infiltrarsi ancora di più nel tessuto economico, proponendosi come welfare alternativo e offrendo le proprie risorse finanziarie in un momento di crisi di liquidità. Questo il tema che sarà affrontato il prossimo 14 gennaio – dalle 10,30 – dal presidente della Sezione II del Tar Campania, Nicola Durante, nell’evento formativo gratuito online e in presenza – nel rispetto delle normative vigenti e fino alla capienza dei posti prevista – organizzato dalla Camera di Commercio di Cosenza, con l’intervento dei presidenti degli ordini professionali aderenti. Il recente intervento normativo dello scorso novembre, che ha interessato il Codice antimafia su aspetti di rilievo come, ad esempio, la cosiddetta “prevenzione collaborativa”, apre nuove prospettive all’attività dello Stato dal punto di vista della prevenzione degli eventi criminali, soprattutto con riferimento alle infiltrazioni di tipo mafioso. Un intervento che, in termini generali, può produrre effetti di portata più ampia sull’intero sistema, essendo idoneo a dar vita ad un nuovo e più costruttivo rapporto tra Prefetture, autonomie locali e mondo delle imprese. «L’incontro formativo rappresenterà un’occasione di approfondimento – afferma il Presidente Klaus Algieri – e l’opportunità di osservare il fenomeno da prospettive diverse, per comprendere insieme cosa si può migliorare nel contrasto alle mafie e nella nostra legislazione antimafia, perché la libertà di impresa, la sicurezza e la trasparenza del mercato sono precondizioni imprescindibili di una economia sana». Fonte: https://www.corrieredellacalabria.it/2022/01/07/infiltrazioni-criminali-pnrr-e-ruolo-delle-prefetture-incontro-formativo-a-cosenza/ Pubblicato in Articoli IL FOGGIANO È SOTTO ASSEDIO. ALTRA BOMBA NELLA NOTTE: È LA 4° INTIMIDAZIONE NELL’ARCO DI POCHI GIORNI Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Il Foggiano è sotto assedio. Altra bomba nella notte: è la 4° intimidazione nell’arco di pochi giorni 07 Gennaio 2022 Ancora un boato, ancora una bomba. Potrebbe essere, se accertato, la quarta intimidazione registrata nel foggiano dall’inizio del nuovo anno dopo le tre bombe di cui, due a San Severo e una nel capoluogo da uno. Fiamme nel quartiere Cep dove ignoti hanno fatto saltare in aria un furgone della “New Coffee 0861”, società che distribuisce caffè. L’incendio ha danneggiato anche una parte della palazzina sotto la quale era parcheggiato il veicolo. Sul posto la Polizia di Stato per le indagini. Per l’azienda del caffè non è il primo caso di cronaca. Nel 2018 finì nel mirino della malavita il “Bar Lume New Coffee 0861” in Piazza Cavour, pieno centro cittadino. Un episodio che fece ipotizzare una sorta di “guerra del caffè” per il controllo della distribuzione in città. Quello della scorsa notte è il quarto attentato in Capitanata dopo le due bombe a San Severo e quella ad un fioraio di Foggia. Il fatto è successo nella notte: le fiamme hanno avvolto la parte anteriore di un furgoncino dell’azienda, parcheggiato in strada. Immediato l’allarme lanciato a vigili del fuoco e carabinieri: i primi hanno subito spento il rogo, i secondi hanno avviato le indagini del caso. Al vaglio dei militari la presenza di telecamere utili in zona. Non si esclude la matrice dolosa del gesto. Fonte: https://puglia.gazzettadelsud.it/articoli/cronaca/2022/01/07/il-foggiano-e-sotto-assedio-altra-bomba-nella-notte-e-la-4-intimidazione-nellarco-di-pochi-giorni-055229f8-73d7-417f-b515-97cb91ff6fd6/ Pubblicato in Articoli OMICIDIO ALFANO, ASSOSTAMPA SICILIA: ”ISTITUZIONI VIGILINO SU SUA MEMORIA” Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Omicidio Alfano, Assostampa Sicilia: ”Istituzioni vigilino su sua memoria” AMDuemila 08 Gennaio 2022 Anche Assostampa Siciliana ricorda oggi Beppe Alfano, cronista ucciso ventinove anni fa, l’8 gennaio 1993, a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) a colpi di arma da fuoco. Di mestiere faceva l’insegnante – aveva insegnato per anni anche a Cavedine, in Trentino – ma svolgeva attività di cronaca e di inchiesta per le emittenti locali e come corrispondente del quotidiano “La Sicilia” di Catania. “Con i suoi articoli – scrive in una nota il sindacato unitario dei giornalisti siciliani – Beppe Alfano rivelò la presenza della criminalità organizzata in quella parte di Sicilia, la cosiddetta mafia dei Nebrodi. Le sue inchieste fecero emergere storie di appalti irregolari, un traffico di stupefacenti e di armi, intrecci tra cosche, amministrazioni locali e massoneria”. Nel 29/mo anniversario si alza però il grido di allarme della figlia di Beppe Alfano, Sonia, che grazie all’intervento dell’associazione ‘Ossigeno per l’informazione’, ha ricostruito quello che sta avvenendo negli ultimi mesi. Per l’assassinio di Alfano nel 2006 sono stati condannati Nino Merlino quale esecutore materiale e il boss Giuseppe Gullotti come mandante. Nel 2019 la Corte d’appello di Reggio Calabria ha acconsentito alla revisione del processo, su istanza dei legali di Gullotti. “Sebbene sia prevista dal nostro ordinamento giuridico – dice -, questa revisione è uno scandalo perché è stata disposta esclusivamente su richiesta del mandante dell’omicidio di mio padre, senza che il giudice vagliasse, come da procedura, l’esistenza e la validità di eventuali nuove prove. Il processo va avanti nel totale silenzio delle istituzioni. Adesso siamo in prossimità della sentenza, che potrebbe arrivare prima della conclusione del procedimento per corruzione contro il magistrato Olindo Canali, accusato di essere stato pagato dal boss Gullotti per fargli ottenere la revisione del processo”. In corso anche le indagini, riaperte a dicembre 2020, sull’arma del delitto. Oggi è stata deposta una corona d’alloro sulla stele alla memoria di Beppe Alfano eretta a Barcellona Pozzo di Gotto in via Marconi. “Non partecipo a questa commemorazione a causa della recrudescenza dei contagi da Covid-19”, ha spiegato Sonia Alfano, che sottolinea di essere, in generale, “delusa e arrabbiata” nei confronti dello Stato “che non ha dimostrato in questi lunghi anni di volere davvero onorare la memoria di mio padre. E’ avvilente constatare che esistono vittime di mafia per le quali le commemorazioni si sprecano mentre altre vittime sono dimenticate”. “Ringrazio ‘Ossigeno’ – sottolinea Sonia Alfano – perché prova a ricordare tutti i giornalisti italiani uccisi dalle mafie, dal terrorismo e dalle guerre. Ciascuno di loro aveva una storia umana, oltre che professionale, che va tramandata in onore della dignità di queste persone che, nella maggior parte dei casi, attendono ancora giustizia. E’ importante che l’operazione della memoria parta dai giornalisti, se così non fosse sarebbe avvilente per l’intera categoria”. Assostampa Sicilia, nel raccogliere l’allarme lanciato da Sonia, fa appello a tutte le istituzioni affinché “si vigili sulla memoria del collega Beppe Alfano”. Fonte: https://www.antimafiaduemila.com/home/di-la-tua/239-parla/87519-omicidio-alfano-assostampa-sicilia-istituzioni-vigilino-su-sua-memoria.html Pubblicato in Articoli ANTOCI A UNOMATTINA: MAFIE SI COMBATTONO CON LAVORO E SVILUPPO Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Antoci a Unomattina: mafie si combattono con lavoro e sviluppo AMDuemila 08 Gennaio 2022 Il presidente Antoci ospite al programma di Rai Uno Questa mattina Giuseppe Antoci, Presidente Onorario della Fondazione Caponnetto ed ex Presidente del Parco dei Nebrodi, sfuggito ad un agguato mafioso nel maggio del 2016, ospite su Rai Uno della trasmissione Unomattina. Si è parlato dell’attentato incendiario che il 23 dicembre 2016 ridusse in cenere il Centro Informativo del Parco dei Nebrodi a San Fratello, allocato nella struttura del Centro Polifunzionale del Cavallo Sanfratellano, che a cinque anni da quel tragico evento, proprio il 23 dicembre scorso, è stato ricostruito ed inaugurato attraverso una nuova struttura rimodernata e ampliata. Antoci a Unomattina, in diretta da San Fratello insieme al Sindaco Salvatore Sidoti, ricorda quei momenti e le sue parole al TG1: “Lo ricostruiremo più grande e più bello”. Una scommessa vinta dall’allora Presidente del Parco dei Nebrodi. Alle domande dei due conduttori Marco Frittella e Monica Giandotti, che hanno ricordato che proprio in quell’anno il Presidente e la sua scorta furono oggetto di un grave attentato mafioso, Antoci ha risposto: “Quello è stato un anno complicato e quel 23 dicembre è stato veramente un brutto regalo di Natale. Proprio ai microfoni del TG1 dissi quella mattina, con le ceneri ancora fumanti: Lo rifaremo più grande e più bello. Trovammo i fondi e li abbiamo affidati al Comune di San Fratello; i lavori sono andati avanti e quest’anno, il 23 dicembre, lo abbiamo inaugurato insieme al Sindaco Salvatore Sidoti e alle Autorità dello Stato. Abbiamo inaugurato questa rinascita. Questi cavalli Sanfratellani che si erano salvati dalle fiamme quel giorno, con quegli occhi impauriti ma fieri, mi diedero la forza proprio di dire lo rifaremo più grande e più bello. Ecco, questa è una pagina di vittoria, in quell’anno complicato, è una pagina di vittoria perché le mafie e la criminalità si combattono prioritariamente con lo sviluppo, con il lavoro, con l’ambiente, con le tante persone perbene che popolano questo territorio e alle quali questa struttura è dedicata. Qui ci sono dei segnali importanti come quello di Luciano Pavarotti che regalò tutti i box dei cavalli oggi dentro questa struttura. Una sala dove i ragazzi potranno venire a studiare questo “Re dei Nebrodi”, il cavallo Sanfratellano che è il vero vincitore di questa vicenda. Ma questa struttura darà la possibilità, proprio in sella a questo cavallo Sanfratellano, di girare i Nebrodi, di fare escursionismo e soprattutto darà la possibilità a tanti ragazzi di avvicinarsi all’equitazione e di frequente questi luoghi. Questo è un territorio così bello dove ci sono luoghi dai quali si può vedere alle spalle l’Etna, di fronte i boschi, i laghi, il mare e le Isole Eolie contemporaneamente. E’ un posto stupendo che qualcuno pensava di poter tenere sotto scacco e invece il lavoro che abbiamo fatto insieme ai sindaci, insieme alle persone, insieme alla Magistratura alle Forze dell’Ordine hanno portato questa struttura a rinascere, mentre coloro che tentavano di sottometterla sono oggi imputati in uno dei più grandi maxi processi mai celebrati in Sicilia, il maxi processo Nebrodi, con le prime condanne pesantissime all’abbreviato. Ci aspettiamo in primavera le altre sentenze e anche per queste ci auguriamo delle pene esemplari. Ecco, vedete, il tempo rimette sempre a posto le cose: noi siamo qui a celebrare una vittoria, loro sono dove devono stare a pagare il conto alla giustizia per quello che hanno fatto. E quando il conduttore dice: “Comunque, dottor Antoci, per concludere, ricordiamo sempre questo suo messaggio fondamentale e cioè che per battere la criminalità organizzata serve lo sviluppo, serve l’occupazione, serve il lavoro, serve dare le prospettive ai giovani”, Antoci chiude dicendo: “Assolutamente, questo è il segnale che parte da questa vicenda”. Insomma, una bella storia di rinascita, di impegno e soprattutto di speranza e, da quelle ceneri, parte oggi un bel segnale di legalità e promozione del territorio. Fonte: https://www.antimafiaduemila.com/home/rassegna-stampa-sp-2087084558/114-mafia-flash/87518-antoci-a-unomattina-mafie-si-combattono-con-lavoro-e-sviluppo.html Pubblicato in Articoli OMICIDIO FAVA – AVOLA SI AUTOACCUSA DELL’OMICIDIO E RACCONTA DEL BRINDISI DOPO L’AGGUATO Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Avola si autoaccusa dell’omicidio e racconta del brindisi dopo l’agguato A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA 08 gennaio 2022 • 19:00 Maurizio Avola ha dichiarato che gli esecutori materiali erano stati lui stesso, Aldo Ercolano, Marcello D’Agata, Enzo Santapaola e Franco Giammuso. La sera del delitto il gruppo era arrivato vicinissimo alla redazione de “I Siciliani” per eseguire un sopralluogo. Avendo visto Fava uscire da solo, prendere l’auto e dirigersi verso Catania, con le loro macchine lo avevano seguito Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata all’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania. Nel 2003 la Cassazione condanna il boss Nitto Santapaola all’ergastolo perché ritenuto il mandante dell’omicidio. Mentre Aldo Ercolano e Maurizio Avola (reo confesso) sono stati condannati come i killer dell’omicidio. Avola Maurizio ha dichiarato che gli esecutori materiali erano stati lui stesso, Aldo Ercolano, Marcello D’Agata, Enzo Santapaola e Franco Giammuso. Nel 1982-1983, all’interno dell’organizzazione, era maturato il progetto di uccidere il Fava e si era incominciata anche un’attività di individuazione del giornalista e di acquisizione di notizie circa le sue abitudini, il luogo di abitazione, la sua attività lavorativa, i movimenti. Le prime notizie sul Fava le aveva avute Marcello d’Agata, tramite un suo amico di Faenza, tale Claudio Balsamo, del cui apporto si avvaleva per commettere rapine a Bologna. Era stato proprio Claudio Balsamo che aveva informato D’Agata della presenza del Fava al palazzo di Giustizia di Catania e lo stesso D’Agata insieme a Claudio Balsamo aveva individuato il giornalista. Successivamente D’Agata aveva rivisto il Fava al Motel Agip. Il collaboratore ha fornito puntuali dichiarazioni in ordine a Claudio Balsamo e, pur mostrando di non ricordarne esattamente il cognome – indicato come “Balsamo”- ha specificato che abitava vicino al Selene, nello stesso immobile dove abitava, all’epoca, il gioielliere Avolio e che, prima di trasferirsi in tale immobile, aveva abitato in un appartamento sito dopo la Costa Azzurra. Ha descritto il “Balsamo” indicandolo come soggetto un pò più alto di lui, capelli lunghi, sfrontato, brizzolato, bianco. Ha aggiunto che era cognato del titolare di un esercizio di vendita di ceramiche e arredamenti per bagni, la ditta Eldford sito in via Asiago, e ha, anche, precisato ulteriormente che era a conoscenza di questa particolare attività del cognato del Balsamo, perchè, nel 1983, questi aveva chiesto al D’Agata di collocare un ordigno esplosivo alla Eldford, in modo che, poi, sarebbe stato lo stesso Claudio “a sistemare l’estorsione”. Sempre il Claudio aveva fatto da basista per una rapina a Bologna, organizzata da Avola. Il Claudio, infatti, che era originario di Faenza, aveva parenti a Bologna. Avola ha aggiunto che, prima della consumazione dell’omicidio, c’erano stati altri tentativi di uccidere il Fava e che lui stesso vi aveva preso parte insieme al D’Agata. Una prima puntata era stata effettuata alla fine del 1983, nel Bar “La Villetta”, sito nella piazza centrale di Sant’Agata Li Battiati, vicino alla redazione de “I Siciliani”. In quell’occasione, l’Avola si trovava insieme a Marcello D’Agata, ma non si era fatto niente, perchè, nel momento in cui Avola stava entrando all’interno del Bar, aveva visto uscire un carabiniere. Una seconda volta, il solo Avola aveva visto il giornalista mentre si trovava al Ristorante “Il Palmento” sito sul lungomare di Catania. Avola ha puntualmente descritto il locale, dichiarando: “c’erano delle scale esterne, sono salito, c’era la sala, c’era la bocca diciamo della pizzeria ed entrando il Fava era seduto a capotavola sulla destra, che mi dava le spalle entrando dalla porta io. Ho girato verso la pizzeria e l’ho visto di fronte”. In quella circostanza, si era accorto della presenza del Fava perché aveva visto la sua auto posteggiata di fronte al ristorante, accorgendosi anche che dentro la macchina del giornalista c’era il giornale dei “I Siciliani”. Era andato ad informare Marcello D’Agata al Motel e, poi, era ritornato sul posto con una pistola cal. 38, ma l’omicidio non era stato commesso perché c’era troppa confusione e poteva essere rischioso. Il D’Agata era rimasto ad aspettarlo in una traversina nei pressi del locale. In sede di controesame, ha chiarito di avere visto l’auto del Fava nel posteggio del ristorante, percorrendo la strada che è sopraelevata rispetto al locale. In quell’occasione, la certezza che si trattasse della macchina del Fava era derivata anche dal ricordo del primo numero della targa che era il 39. Seduta accanto al Fava, all’interno del ristorante ed esattamente alla destra del giornalista, c’era una donna, forse sua moglie. Dopo il fallimento dei primi tentativi, finalmente si era incominciato ad organizzare l’operazione definitiva. Avola era in possesso di una pistola cal. 7,65, rubata da tale Fresta Salvatore, un ragazzo vicino al gruppo di Ognina, poi, morto per malattia. È stato contestato all’Avola che, nelle dichiarazioni rese il 10/3/1993, aveva indicato tale Di Giacomo come la persona che gli aveva consegnato l’arma e sul punto il collaboratore di giustizia ha precisato che aveva parlato del Di Giacomo per non coinvolgere il Fresta, malato di Aids in fase terminale e, poi, infatti, deceduto. Il D’Agata era in possesso di un silenziatore artigianale che già era stato utilizzato per l’omicidio di Andrea Finocchiaro, verificatosi tre mesi prima dell’omicidio Fava. LA RICOSTRUZIONE DELL’OMICIDIO Si trattava di un silenziatore artigianale che D’Agata teneva custodito presso un garage di sua pertinenza sito in via Feudo Grande ad Ognina (di proprietà di tale Macaluso, amico del D’Agata). Avola si era, quindi, recato da un meccanico, tale Sgroi, titolare di un’officina sita in via Messina, per portargli la canna della pistola e il silenziatore artigianale e lo Sgroi aveva provveduto alla filettatura della canna; dopo qualche giorno, Avola insieme al D’Agata, si era recato dallo Sgroi per ritirare la canna. In ordine allo Sgroi, Avola ha specificato che lo conosceva da tempo, perché si trattava del meccanico del quartiere e che, comunque, si trattava di persona amica del D’Agata, il quale spesso si rivolgeva a lui per fare riparare i motorini delle proprie figlie. Lo Sgroi, anzi, aveva già predisposto la filettatura di un’altra canna ma Avola non ha ricordato in quale occasione. Avola, in compagnia del D’Agata, si era, quindi, recato a Cannizzaro, dove si era verificata la funzionalità dell’arma, esplodendo due colpi contro un cartello autostradale. Era pomeriggio ma già si era fatto buio. Nonostante la predisposizione del silenziatore, l’arma si era rivelata rumorosa, sicché, per ovviare a quest’inconveniente, lo stesso Avola e il D’Agata avevano messo, all’interno del silenziatore, un po’ di ovatta e qualche gommino. Avola, nel corso dell’esame, ha puntualmente descritto le modalità di fabbricazione di un silenziatore artigianale e, poi, proseguendo nel suo racconto, ha descritto le fasi salienti dell’omicidio. Ha dichiarato che, nel pomeriggio (prima serata), si era incontrato con Aldo Ercolano e Santapaola Vincenzo presso il rifornimento Agip e, all’interno dello scantinato, Ercolano aveva effettuato una prova di sparo esplodendo due colpi contro il muro. Dopo la prova di sparo anzi erano rimasti due buchi nel muro, tanto che lo stesso Avola, anni dopo, esattamente nel 1990, aveva consigliato al D’Agata di far ripulire la parete per eliminare eventuali tracce, anche perché, essendo il periodo in cui erano iniziate alcune collaborazioni con l’autorità giudiziaria, si era creato, in ambito associativo, un clima di tensione. D’Agata aveva fatto ripulire il muro da tale Cannavò, un amico dello stesso D’Agata, con il quale anzi era in rapporti societari, ma aveva informato Avola che tracce di proiettili non ne erano state rinvenute. Quanto ai movimenti della serata del 5/1/1984, immediatamente precedenti l’uccisione del Fava, Avola ha ricordato che, dopo l’effettuazione della prova di sparo, al Motel era sopraggiunto Giammuso, che ancora non era a conoscenza del piano, ma che, informato dal D’Agata, aveva messo immediatamente a sua disposizione la sua autovettura, una Renault 18 bianca. L’altra autovettura utilizzata dal gruppo omicidiario era la Fiat 131 del D’Agata. Il gruppo era partito dal rifornimento verso le ore 20.00. Avola, a specifica contestazione del Pm, ha, poi, precisato che la partenza era avvenuta intorno alle ore 19.00-20.00. Circa la composizione degli equipaggi a bordo delle due autovetture, Avola ha specificato che, sulla Fiat 131, avevano preso posto lui stesso e il D’Agata, mentre sulla Renault 18 di Giammuso, il quale era al posto di guida, Santapaola Vincenzo e Aldo Ercolano. Durante il tragitto, Ercolano aveva proposto una sosta presso la salumeria di sua zia, Piera Santapaola, sposata con Franco Filloramo. Il gruppo si era fermato presso la salumeria per circa un quarto d’ora per, poi, spostarsi nell’appartamento dei Filloramo, sito in una traversa distante circa un chilometro dalla salumeria e, comunque, raggiungibile a piedi in cinque minuti. Nella casa dei Filloramo, Aldo Ercolano aveva provveduto alla sostituzione dei proiettili. Avola ha, anzi, specificato di avere, poi, saputo, dopo la commissione dell’omicidio, che la sig.ra Santapaola si era lamentata con il nipote perché quella sera c’era stato troppo movimento. La zia di Aldo Ercolano aveva manifestato soprattutto preoccupazione per il fatto che persone della zona avessero potuto vedere il gruppo sotto casa sua e potessero essersi insospettite per il movimento di macchine che c’era stato. COSÌ I SICARI INSEGUIRONO FAVA Proseguendo nel suo racconto, Avola ha aggiunto che il gruppo era arrivato vicinissimo alla redazione de “I Siciliani” intorno alle ore 21.00. D’Agata e Avola erano scesi dalla macchina e si erano messi in una traversa, nelle vicinanze di una pizzeria, mentre gli altri erano rimasti in macchina. Avola, dopo avere precisato di essere già stato, prima dell’omicidio presso la redazione de “I Siciliani”, allo scopo di eseguire un sopralluogo, ha così descritto l’esterno dell’edificio: «c’è una scivola e….c’è un cortile, uno spiazzo e poi ci sono tipo due banchine, una più bassa, che fa parte della strada e una più alta, che va verso “I Siciliani”, tipo uno spiazzo, dove si posteggiano le macchine la sera diciamo quelli che abitano nello stabile». Avevano visto il Fava uscire da solo, prendere l’auto, posteggiata lungo una scivola all’interno del cortile della redazione e dirigersi verso Catania e, con le loro macchine lo avevano seguito. Fava aveva, quindi, posteggiato l’auto di fronte al teatro sulla sinistra con due ruote sul marciapiedi. L’autovettura, a bordo della quale si trovavano D’Agata e Avola era stata posteggiata un paio di metri prima del teatro, dopo la Renault di Fava, sulla destra e in doppia fila. Avola ha, poi, fornito ulteriori indicazioni circa i movimenti successivi del gruppo di fuoco. In particolare, ha così dichiarato: «Noi altri (Avola e il D’Agata) ci siamo messi un po’ più avanti, quasi vicino il teatro e, invece, Giammuso posteggia la macchina nella traversina sulla destra (a circa 10/15 m. di distanza), diciamo che costeggia lo stabile del teatro e da lì vedo sbucare Aldo e svoltandoci si vede che lui sale sulla panchina ed esplode il primo colpo, si sente più forte perché manda in frantumi il vetro e poi gli altri molto proprio silenziosi, che neanche si capiva che erano colpi di pistola. Sempre Aldo se ne torna indietro, frazione di secondi è stata, noialtri spostiamo con la macchina e lui con la Renault 18 con Giammuso verso un’altra strada». In sede di controesame, Avola ha chiarito che Ercolano gli aveva riferito di avere esploso esattamente cinque colpi e ha confermato che aveva udito il primo colpo più forte e gli altri più attutiti. Da Aldo Ercolano o da Marcello D’Agata aveva saputo, la stessa sera dell’omicidio o l’indomani, che Fava, prima di essere ucciso, stava per estrarre le chiavi dal cruscotto. Nella circostanza Ercolano era vestito con un giubbotto verde, un pantalone verde scuro, una camicia chiara e una cravatta sul verde, lo stesso abbigliamento con cui era ritratto in una foto esposta nella casa di sua madre, in via dei Villini a mare. Prima dell’omicidio, Avola aveva seguito i movimenti di Ercolano e, voltandosi, lo aveva visto passare dalla strada e dirigersi verso la macchina del Fava. DOPO L’AGGUATO Dopo l’agguato, le autovetture si erano divise: l’auto guidata dal Giammuso aveva proseguito la sua marcia lungo la traversina ove era posteggiata, mentre Avola aveva percorso il v.le M. Rapisardi e si era disfatto dei proiettili che deteneva e che erano rimasti nella sua disponibilità dopo il cambio avvenuto in casa del Filloramo; temeva, infatti, un controllo della polizia che, tra l’altro, aveva visto arrivare, quando, una volta consumato l’omicidio, insieme al D’Agata, si era fermato all’incrocio, prima di imboccare il v.le M. Rapisardi. Dopo l’omicidio, si erano, poi, incontrati in casa del Licciardello, cognato di Mangion, che, in quel periodo, ospitava quest’ultimo durante la sua latitanza. Il Mangion aveva commentato l’omicidio dicendo che “con una fava si erano presi due piccioni, nel senso che avevamo fatto questo favore ai Palermitani e l’altro ai Cavalieri”. In quella stessa circostanza era stata aperta una bottiglia di champagne per brindare e successivamente il Licciardello si era disfatto della pistola compresa di silenziatore e di tutto, dicendo poi, quand’era ritornato nell’appartamento, che l’aveva buttata in un tombino vicino casa sua. Dopo circa un’ora, i partecipi alla spedizione omicidiaria erano andati via. Fonte: https://www.editorialedomani.it/fatti/blog-mafie-omicidio-pippo-fava-avola-si-autoaccusa-racconta-brindisi-agguato-o4dkto1o Pubblicato in Articoli GIORNATA NAZIONALE CONTRO IL RACKET E L’USURA, CUOMO: «IMPORTANTE SOSTEGNO PER LOTTA ALLE MAFIE» Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Giornata nazionale contro il racket e l’usura, Cuomo: «Importante sostegno per lotta alle mafie» Sabato 8 Gennaio 2022 «Sosteniamo la proposta di istituire il 10 gennaio la giornata nazionale contro il racket e l’usura nel nostro Paese avanzata da Lino Busà, responsabile nazionale del “Centro studi Temi per la legalità”, organismo dell’associazione “Sos Impresa-rete per la legalità Aps”. Il 10 gennaio del 1991 compare sul “Giornale di Sicilia”, la “Lettera al caro estorsore” nella quale l’imprenditore palermitano Libero Grassi, rivolgendosi a chi gli chiedeva il pizzo dichiarava “io non vi pago”. L’opportunità di istituire una giornata nazionale contro il racket e l’usura nel nostro Paese è un tema sul quale la nostra organizzazione nazionale sta ragionando da tempo». Lo afferma, in una nota, Luigi Cuomo, presidente nazionale di “Sos Impresa-rete per la legalità Aps” che ricorda come l’omicidio di Libero Grassi sia stato il germoglio della nascita del movimento antiracket che oggi compie 30 anni. «Nel 1992 nascono le prime esperienze di Sos Impresa, in Sicilia, a Roma, a Torino, Bari, Genova, Milano e Napoli – sottolinea Cuomo – da quella stagione e da quel patrimonio di esperienze abbiamo nel tempo contribuito a migliorare le strategie di prevenzione e contrasto al racket e all’usura in tutt’Italia. Un lavoro quotidiano, rigoroso e attento che si fonda su un sistema associativo antiracket e antiusura più moderno, connesso e sinergico con le istituzioni e della partecipazione delle vittime». «L’istituzione di una giornata nazionale contro il racket e l’usura nel nostro Paese in coincidenza con la data del 10 gennaio di ogni anno – conclude Cuomo – consentirebbe un importante sostegno alla lotta alle mafie che, attraverso il racket e l’usura, consolidano il loro potere nel sistema economico nazionale nella quasi indifferenza dell’opinione pubblica. Oltre ad avere uno straordinario valore simbolico, di memoria e di rafforzamento delle iniziative di prevenzione e contrasto, potrebbe sancire un importante salto di qualità dell’intera comunità nazionale verso una consapevolezza responsabile ed attiva perché questi due crimini riguardano tutti e non solo quelli che hanno la disavventura di subirli». Fonte: https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/giornata_antiracket_antiusura_luigi_cuomo_sos_impresa-6426931.html Pubblicato in Articoli ARZANO. “MILLE EURO PER LA TRANQUILLITÀ” MA IL COMMERCIANTE LO DENUNCIA: ARRESTATO Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Arzano. “Mille euro per la tranquillità” ma il commerciante lo denuncia: arrestato Di Alberto Raucci 8 Gennaio 2022 Ieri sera ad Arzano i Carabinieri della locale tenenza hanno arrestato per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso Davide Abate, 35enne del posto già noto alle forze dell’ordine. L’uomo aveva presentato la sua richiesta estorsiva ad un negoziante del luogo in cambio della “tranquillità”. Mille euro il prezzo. Il commerciante però non ha voluto sottostare a questa prepotenza ed ha chiesto aiuto ai Carabinieri. In poche ore i militari hanno organizzato un servizio ad hoc facendo in modo di assistere al momento in cui dovesse essere pagata la “tassa”. L’appuntamento fissato prevedeva l’incontro nel centro della città. Non c’è stato scampo per il 35enne che in pochi minuti si è visto circondato dai Carabinieri. Bloccato ed arrestato, l’uomo è stato tradotto al carcere di Secondigliano in attesa di giudizio. Fonte: https://internapoli.it/arzano-mille-euro-per-la-tranquillita-35enne-arrestato/?fbclid=IwAR3G6SLL2IdnTyOeR9–ZqOvOJblF2lK7kUW7oCtgPmsiWfiP15YVoe04cA Pubblicato in Articoli EX PRO INFANTIA, ASS. CAPONNETTO: “CI COSTITUIREMO PARTE CIVILE AL PROCESSO” Pubblicato 9 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 EX PRO INFANTIA, ASS. CAPONNETTO: “CI COSTITUIREMO PARTE CIVILE AL PROCESSO” di Redazione 8 Gennaio 2022 L’associazione contro le mafie e le illegalità “Antonino Caponnetto” annuncia che si costituirà parte civild al processo sulla Ex Pro Infantia “Martedi 11 gennaio presso il Tribunale di Latina inizierà il processo contro gli imputati per l’abuso edilizio, area ed immobile ancora oggi sotto sequestro, che vede tra gli imputati il fratello dell’Assessore del Comune di Terracina Emanuela Zappone, il Vice Sindaco Marcuzzi, due tecnici comunali e rappresentanti della ditta titolare dell’intervento edilizio. Come è noto il Comune di Terracina, benché qualificato come parte offesa, ha deciso di non costituirsi parte civile in tale processo. Cioè, coloro che sono stati, dal suffragio popolare, eletti a tutelare l’interesse della collettività locale, hanno deciso di non costituirsi parte civile al fine di tutelare la collettività tradendo in questo modo il mandato popolare. Non entriamo nella polemica tra partiti che ne è seguita, ma mantenendo fede ai propri principi statutari che ne caratterizzano la propria attività, di difesa degli interessi della legalità, della collettività, che si caratterizzano sostanzialmente e principalmente nell’aiutare la popolazione italiana a prendere atto dell’esistenza nel nostro tessuto sociale di grande organizzazioni criminali, mafiose e non mafiose, di far crescere nelle coscienze dei giovani, in particolare, di una cultura antimafia, di denunciare laddove ne ricorrono le condizioni le illegalità, il malaffare e la corruzione nella Pubblica Amministrazione a tutela degli interessi generali, e di costituzione di parte civile nei processi che colpiscono gli interessi dei cittadini e della collettività. E’ dentro questo filone di ragionamento che la nostra associazione si è costituita nei processi più importanti che si stanno svolgendo a Latina, mafiosi e non, che ha fatto diverse denunce per il malaffare nella Pubblica Amministrazione e che ci ha portato a decidere di COSTITUIRCI PARTE CIVILE ANCHE NEL PROCESSO PRO INFANTIA. Così come è nostra intenzione costituirci parte civile nelle prossime vicende giudiziarie che riguardano il Comune di Sezze per la questione Cimitero. Non riteniamo opportuno elencare i risultati delle nostre iniziative al fine di non sminuire il nostro ruolo e non far strumentalizzare la nostra attività da parte di chicchessia, se in futuro lo riterremo utile, sempre al fine di migliorare la nostra attività”. Così, in una nota, l’Associazione antimafia “Antonino Caponnetto”. Fonte: https://latinatu.it/ex-pro-infantia-ass-caponnetto-ci-costituiremo-parte-civile-al-processo/ Pubblicato in Articoli PALERMO, SVOLTA ALLA DIREZIONE DISTRETTUALE ANTIMAFIA: GUIDO COORDINATORE UNICO Pubblicato 8 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Palermo, svolta alla Direzione distrettuale antimafia: Guido coordinatore unico 07 Gennaio 2022 Per la prima volta la delega alla guida della Dda viene assegnata ad un solo aggiunto. Guido dirigeva già le inchieste sui clan di Trapani e Agrigento, ora seguirà anche quelle sul capoluogo della Sicilia Il procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido coordinerà la Direzione distrettuale antimafia. Lo prevede la delega che il procuratore uscente Francesco Lo Voi, nelle scorse settimane nominato dal Csm alla guida della Procura della Capitale, quindi in procinto di lasciare la Sicilia, firmerà oggi. Guido, 55 anni, calabrese, in magistratura dal 1995, aveva il coordinamento delle indagini sulla mafia trapanese ed agrigentina. Da oggi si occuperà anche delle inchieste sui clan palermitani. È la prima volta che la delega al coordinamento della Dda viene assegnata ad un solo procuratore aggiunto: una decisione determinata dalla scelta di garantire una visione complessiva e unitaria al fenomeno mafioso nel territorio. Una grandissima esperienza di indagini di mafia, per anni sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia, Guido dal 2017 ha la delega sulle indagini per la cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro. Fonte: https://palermo.gds.it/articoli/cronaca/2022/01/07/procura-di-palermo-guido-sara-unico-coordinatore-della-direzione-distrettuale-antimafia-d0636f44-bb47-452e-a51d-34c93a96de42/ Pubblicato in Articoli MAFIA, ASSOLTO L’EX PRESIDENTE DELLA REGIONE RAFFAELE LOMBARDO Pubblicato 8 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Mafia, assolto l’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo di Redazione Pubblicato il Gen 7, 2022 La Corte d’appello di Catania ha assolto l’ex presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, per concorso esterno all’associazione e corruzione elettorale. Alla lettura della sentenza l’ex leader del Mpa non era in aula. L’inchiesta che in dieci anni di udienze ha portato a due sentenze ‘contrastanti’ e a un annullamento con rinvio della Cassazione si basa su indagini dei carabinieri del Ros di Catania su rapporti tra politica, imprenditori, ‘colletti bianchi’ e Cosa nostra. Per la Procura Lombardo avrebbe favorito clan e ricevuto voti alle regionali del 2008, quando fu eletto governatore. Accuse che lui ha sempre respinto. La Corte ha assolto Lombardo dall’accusa di concorso esterno perche’ il fatto non sussiste e da quella di reato elettorale aggravato dall’avere favorito la mafia per non avere commesso il fatto. La Procura, con i Pm Sabrina Gambino e Agata Santonocito, aveva chiesto la condanna di Raffaele Lombardo, a sette anni e quattro mesi di reclusione, per l’accesso al rito abbreviato. Al centro del processo i presunti contatti di Raffaele Lombardo con esponenti dei clan etnei che l’ex governatore ha sempre negato sostenendo di avere “nuociuto alla mafia come mai nessuno prima di me”, di “non avere incontrato esponenti” delle cosche e di avere “sempre combattuto Cosa nostra”. Per questo i suoi legali, gli avvocati Maria Licata e il professore Vincenzo Maiello, hanno chiesto l’assoluzione del loro assistito “perche’ il fatto non sussiste”. Il procedimento ha anche trattato presunti favori elettorali del clan a Raffaele Lombardo nelle regionali del 2008, in cui fu eletto governatore, e a suo fratello Angelo, per cui si procede separatamente, per le politiche dello stesso anno. La Seconda sezione penale della Cassazione, tre anni fa, ha annullato con rinvio la sentenza emessa il 31 marzo 2017 dalla Corte d’appello di Catania che aveva assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa l’ex governatore e lo aveva condannato a due anni (pena sospesa) per corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso, ma senza intimidazione e violenza. Una sentenza, quella di secondo grado, che aveva riformato quella emessa il 19 febbraio 2014, col rito abbreviato, dal Gup Marina Rizza che lo aveva condannato a sei anni e otto mesi per concorso esterno all’associazione mafiosa ritenendolo, tra l’altro, “arbitro” e “moderatore” dei rapporti tra mafia, politica e imprenditoria. Nelle motivazioni la Corte d’appello di Catania, nel riformare la sentenza di primo grado, aveva rilevato che “il summit tra i vertici mafiosi e Raffaele Lombardo nel giugno del 2003 a casa” dell’ex presidente della Regione, uno dei pilastri dell’accusa, “e’ un fatto assolutamente privo di riscontro probatorio”. Erano stati invece dimostrati, secondo i giudici di secondo grado, “i rapporti tra Lombardo e esponenti della mafia, che avrebbero agito per agevolare la sua elezione, ma dal quale non avrebbero ricevuto alcun favore”. La Corte d’appello gli aveva contestato la corruzione elettorale con l’aggravante di avere favorito la mafia, che non usa violenza ne’ intimidisce, ma compra i voti con soldi, buoni spesa e favori. Una decisione non condivisa dalla Cassazione che “in accoglimento del ricorso della Procura generale di Catania” aveva poi annullato “la sentenza con rinvio ad altra sezione” della Corte d’appello di Catania, davanti alla quale si e’ celebrato il nuovo processo. Fonte: https://www.grandangoloagrigento.it/mafia/mafia-assolto-lex-presidente-della-regione-lombardo Pubblicato in Articoli TERRACINA – PROCESSO PRO INFANTIA, IL COMUNE NON SI COSTITUISCE PARTE CIVILE. MONTA LA POLEMICA Pubblicato 8 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Processo Pro Infantia, il Comune non si costituisce parte civile. Monta la polemica di redazione -06/01/2022 A pochi giorni dall’inizio del processo per la vicenda dell’ex Pro Infantia, a Terracina ritorna la polemica politica: è scontro aperto tra Partito democratico e Fratelli d’Italia. “L’amministrazione comunale e il vicesindaco con delega all’Urbanistica, Pierpaolo Marcuzzi, dovrebbero spiegare ai cittadini se in questi anni abbiano maturato un’idea in merito al governo del territorio e allo sviluppo sostenibile della città”, dicono dal Pd. “Perché la realtà di oggi è una sequenza di permessi a costruire – spesso ‘discutibili’ e qualche volta finiti sotto sequestro dell’autorità giudiziaria – frutto della loro versione della legge regionale n. 7/2017, conosciuta come Rigenerazione urbana. Ecco perché stiamo qui a parlare dell’ecomostro residenziale nell’area ex Pro Infantia”. “Hanno mai pensato, solo per qualche istante, ad una possibilità diversa?”, si chiedono dal Pd. “Magari di acquisire la struttura ex Pro Infantia al patrimonio comunale con un progetto di sviluppo legato al turismo. Un Hub di eccellenza post scuola secondaria nell’industry della ricezione e del food. Un Hub formativo orientato alle nuove emergenti professioni del digitale. Poteva essere una opportunità per i numerosi giovani che, dopo il diploma, non sanno cosa fare in questa città. Alcuni costretti a fare le valigie per studiare altrove – quando i genitori sono in grado di sostenerli economicamente. Invece no. Meglio far fare all’iniziativa privata che non può da sola farsi carico di scelte sociali. E in concreto, il progetto edilizio ex Pro Infantia, offre nuove abitazioni di fascia alta senza risolvere il problema della casa per i giovani, mentre ancora si attendono gli esiti dei famosi ‘Stati Generali’ dell’urbanistica”. “Allora, visto che sull’area dell’ex Pro-infantia è intervenuta la Procura di Latina con un sequestro e ci sono stati rinvii a giudizio di tecnici e politici, e che l’11 gennaio si terrà la prima udienza, vorremmo sapere dalla nostra sindaca Roberta Tintari e da tutta la Giunta se intendono approvare una semplicissima delibera con la quale dare mandato all’avvocatura comunale la predisposizione di ogni atto acché il Comune di Terracina – nell’interesse di tutta la comunità – possa costituirsi nel processo come parte civile . Lo riteniamo un atto non solo opportuno ma necessario, per ricostruire un rapporto trasparente con i cittadini ed avviare una nuova stagione di rilancio dell’istituzione comunale e del suo ruolo centrale ed imprescindibile, di indirizzo e di governo delle scelte più importanti dello sviluppo della città”. La replica dei meloniani non si è fatta attendere. “Non c’è alcun motivo per il quale l’amministrazione comunale di Terracina debba costituirsi parte civile nella vicenda Pro Infantia visto che si tratta di una complessa vicenda giuridica, maturata a seguito del conflitto di competenze tra la Regione di Zingaretti e il Ministero di Franceschini. Da cui è scaturita la famosa sentenza che ha dichiarato incostituzionale il Ptpr della Regione Lazio. Questo disastro causato dal Partito democratico si è poi riverberato non solo sul Comune di Terracina, ma anche su tutti gli altri comuni della regione. Probabilmente il Partito democratico vuole nascondere la sua responsabilità, testimoniando una volta di più la propria incapacità nell’amministrazione della cosa pubblica, oltre che la solita idiosincrasia nei confronti dell’iniziativa economica privata. Piuttosto siamo noi a chiedere al Partito democratico per quale motivo le amministrazioni locali delle province di Latina, Frosinone e Viterbo a guida Pd o con il Pd in maggioranza non si siano costituite parte civile nel processo sull’enorme scandalo del concorso pubblico della Asl. Sarebbe veramente utile comprenderne le motivazioni”. “Per quanto riguarda la possibilità di acquisizione da parte del Comune dell’immobile della Pro Infantia per attività didattiche, il Partito democratico farebbe bene a chiedere prima al Presidente della Regione Nicola Zingaretti per quale motivo non abbia mai dato seguito al suo impegno, assunto nel giugno 2017 davanti alla dirigente dell’Istituto Turistico-Alberghiero ‘Filosi’, di acquistare l’immobile in oggetto per destinarlo alle attività di quell’Istituto. La stessa cosa la si potrebbe chiedere anche per il vecchio ospedale San Francesco, struttura che la Regione Lazio, che ne ha la proprietà, potrebbe destinare alla pubblica utilità. Attendiamo fiduciosi le risposte ai nostri quesiti”. Fonte: https://www.h24notizie.com/2022/01/06/processo-pro-infantia-il-comune-non-si-costituisce-parte-civile-monta-la-polemica/?fbclid=IwAR33QtwMAmetwIWH26nWBT8MGf5VH4FIcoA6eAjkjB6kcb4IZ_SlJdRWy9o Pubblicato in Articoli CASERTA, DANARI & MONNEZZA. ECCO COME CARLO SAVOIA FECE DISTRUGGERE I FILE DELLA GARA DA 116 MILIONI DI EURO CHE AVEVA TRUCCATO INSIEME A CARLO MARINO. LA VISITA “DI CORTESIA” NELLA VILLA DI PUCCIANIELLO Pubblicato 8 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 CASERTA, DANARI & MONNEZZA. Ecco come Carlo Savoia fece distruggere i file della gara da 116 milioni di euro che aveva truccato insieme a Carlo Marino. La visita “di cortesia” nella villa di Puccianiello 6 Gennaio 2022 – 12:52 Formuliamo ulteriori valutazioni utilizzando questa stralcio dell’ordinanza che rafforza il teorema accusatorio che però, a nostro avviso, si basa su una premessa erronea che finisce per alleggerire la posizione del sindaco, che invece, sempre a nostro avviso, c’era e c’è dentro fino al collo CASERTA – (g.g.) La Dda si preoccupa di dimostrare che tra Carlo Marino e Carlo Savoia non ci fossero rapporti confidenziali. Si comprende ciò per qualificare alcuni eventi come la visita che lo stesso Savoia insieme a Pasqualino Vitale fa il 21 agosto 2018 alle 21.20, come elementi di una serie di eventi anomali che rafforzerebbero la struttura accusatoria. In poche parole, se Carlo Marino, Carlo Savoia e Pasqualino Vitale non hanno una grande confidenza e si vedono alle 9 e mezza o poco meno di sera a casa del sindaco di Caserta, vuol dire che stavano lavorando su qualcosa di losco. E siccome il losco rappresenta lo scenario descritto dalle intercettazioni e anche da diversi elementi documentali, la conseguenza è facilmente comprensibile. Come abbiamo scritto più volte in queste settimane, affermare che Carlo Marino, Carlo Savoia e Pasqualino Vitale avessero rapporti di normale conoscenza e che si videro, si incotrarono più spesso nel periodo in cui truccarono la gara d’appalto per i rifiuti, è semplicemente inesatto. Questi qua si conoscono dalla fine degli anni 90. Chi ha raccontato la politica a Caserta non ci deve pensare sopra più di tanto. Se i pm che stanno indagando su questa vicenda andassero a parlare con chi delle trame tra la politica e il malaffare si è occupato sempre in Dda nei primi anni 2000, ne troverebbero ampia dimostrazione. Carlo Marino prima di tutto, Carlo Savoia con un ruolo differente erano dei colonnelli di Forza Italia e da Forza Italia venivano continuamente valorizzati. Carlo Savoia negli enti di gestione dei rifiuti, Carlo Marino come plenipotenziario di Nicola Cosentino a Caserta, come assessore ai lavori pubblici da 1.500 voti di preferenza personali della giunta Falco. Pasqualino Vitale collezionava incarichi importanti, anzi importantissimi, quand’anche non dotati di grande visibilità, nelle direzioni generali dei ministeri, per esempio al tempo del secondo governo Berlusconi, quello venuto fuori dalle elezioni politiche del 2001. Vitale continuò a occupare posti di rilievo. Lo fece sempre e comunque in quota Forza Italia, al fianco dell’allora presidente del consiglio regionale Paolo Romano. Per quel che conta e senza minimamente voler andare al di là di una semplice esplicazione di una nostra opinione, fallibile in quanto tale, noi rimaniamo convinti che se Carlo Savoia è l’elemento catalizzatore di un vero e proprio assalto al settore degli appalti pubblici dei rifiuti, nelle province di Caserta e nell’area nord di quella di Napoli, Carlo Marino non viene reclutato, così come la Dda, nella sua costruzione logica, vuol far capire, anche con questa sua valutazione sull’appuntamento del 21 agosto delle 9 e mezza di sera che poi, andrebbe detto, quell’orario, incastrato in quella data largamente estiva, vale qualcosa in meno, anzi, più di qualcosa in meno rispetto ad un appuntamento realizzato alle 21.20 del 21 novembre. Savoia non ha reclutato Marino. D’altronde l’operazione che ha in testa è troppo grande, unica nel suo genere e senza precedenti. 7 anni, 116 milioni di euro. Una cosa del genere nasce comunque da ragionamenti in cui più persone costruiscono il pacchetto, l’occasione criminale. Noi che li conosciamo bene, vi diciamo che Carlo Savoia non poteva permettersi il lusso di cooptare Carlo Marino mettendoci addosso Pasqualino Vitale come mediatore dell’affare. Non è così. A nostro avviso, i tre svolgono una funzione paritaria. Quanto meno la svolgono Carlo Savoia e Carlo Marino. Abbiamo ribadito il concetto trovandoci di fronte a questa considerazione, esposta dalla Dda in merito all’appuntamento serale del 21 agosto a casa del sindaco di Caserta. Per il resto, la sequenza degli incontri, delle conversazioni e la relazione tra questi e gli atti amministrativi erogati, lascia poco adito a dubbi. Ci sono intercettazioni tra Savoia e Vitale. Ma anche se non ci fossero i fatti, almeno per noi sono evidenti. Fortunatamente, noi siamo un giornale, non un tribunale. Per cui non dobbiamo porci il problema dell’esistenza o della non esistenza di un ragionevole dubbio. L’unico dovere che abbiamo verso gli indagati, l’unica garanzia liberale che dobbiamo concedere loro, è, infatti, rappresentata dallo sforzo durissimo che facciamo, in ogni articolo, per sviluppare ragionamenti mai privi di argomentazione e che partono da una conoscenza approfondita, da parte nostra, del profilo storico dentro al quale si incastrano le figure dei protagonisti di questa vicenda. Poi, non abbiamo capito bene una cosa: i carabinieri si sono appostati vicino alla casa di Carlo Marino allo scopo di sorvegliare, anche di pedinare quelli che ci andavano, studiandone le mosse. Ma Carlo Marino, sindaco di Caserta, era controllato con strumenti elettronici? Nell’auto con cui girava erano state installate cimici così come era successo per l’auto o per le auto di Pasqualino Vitale e di Carlo Savoia? Perchè se non è così, torniamo al ragionamento di prima, al concetto di cooptazione, di affiliazione ad un piano criminale di cui Marino entrava a far parte, ma di cui non aveva strutturato l’elaborazione. Il primo giugno 2018 viene pubblicato il bando e uno ora pensa che essendo diventato un atto ufficiale, sacramentato da una pubblicazione, questo non debba essere toccato. E invece, un sempre concitato Carlo Savoia dice ai suoi interlocutori che bisogna ancora vedere, modificare, ritoccare. Tanto è vero che la scadenza del 13 luglio per la presentazione delle offerte viene spostata al giorno 8 agosto. Questo giusto per confermare che il tutto era piegato all’obiettivo stabilito a monte di attribuire quella super gara all’ati formata da Energetica Ambiente e la ESI di Carlo Savoia. Questi, si rivolge alla sua dipendente Anna Scognamiglio, messa pesantemente sotto pressione e i due, come fanno una coppia di ladri che dopo il colpo ha la necessità di cancellare indizi, tracce, prove, concordano la distruzione dei file presenti nelle pennette che il Savoia riceveva o andava direttamente lì a registrarsi negli uffici del comune. E anche questa, onestamente, è una prova evidente che quella gara fosse stata ampiamente taroccata. Quello che è successo dell’8 agosto in poi riguarda le operazioni di definizione della commissione aggiudicatrice, del sorteggio truccato dei numeri e sopratttutto, lo ripetiamo per la centesima volta, dell’aggiudicazione provvisoria all’ati di cui sopra che effettivamente poi vince quella gara. Carlo Marino lo annuncia personalmente ed è ripreso dal famoso video che abbiamo pubblicato più volte. Se questo grande ladrocinio, questa operazione criminale non è stata realizzata completamente è perchè, in minimissima parte CasertaCe e in “massimissima” parte la Dda hanno operato e già a novembre, cioè un mese dopo l’aggiudicazioone provvisoria avvennero quelle perquisizioni che poi costrinsero Marino, Biondi e compagnia…brutta, a trovare il modo per revocare definitivamente quell’esito. Fonte: https://casertace.net/caserta-danari-monnezza-ecco-come-carlo-savoia-fece-distruggere-i-file-della-gara-da-116-milioni-di-euro-che-aveva-truccato-insieme-a-carlo-marino-la-visita-di-cortesia-nella-villa-di-puccian/ Pubblicato in Articoli SABAUDIA: STABILIMENTO IN FIAMME, INDAGINI IN CORSO Pubblicato 8 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 SABAUDIA: STABILIMENTO IN FIAMME, INDAGINI IN CORSO di Redazione 6 Gennaio 2022 Cronaca Stabilimento balneare in fiamme a Sabaudia: l’intervento dei Vigili del Fuoco e dei Carabinieri, nessuna ipotesi esclusa Poco dopo l’una della notte appena trascorsa, il personale operativo dei Vigili del Fuoco del Comando di Latina è intervenuto, nel Comune di Sabaudia, per un incendio di una struttura in legno. Sul lungomare, la squadra dei Vigili del Fuoco di Terracina ha constatato la presenza di un incendio che ha interessato un chiosco in legno, sulla spiaggia, adibito a stabilimento balneare. Si tratta del noto locale “Duna”, molto frequentato d’estate anche dai cosiddetti vip. All’arrivo dei Vigili del Fuoco, la struttura, con un basamento di circa 200 metri quadri, e con due strutture al di sopra di circa 40 metri quadri ognuna, era completamente avvolta dalle fiamme. Da subito sono iniziate le operazioni di spegnimento che si sono protratte per alcune ore. Successivamente, in collaborazione con i Carabinieri, i Vigili hanno cercato elementi utili a stabilire le cause. Al momento non si esclude nessuna ipotesi, nonostante tutto porti a pensare che si tratti di un atto doloso. Non si registrano persone coinvolte. Fonte: https://latinatu.it/sabaudia-stabilimento-in-fiamme-indagini-in-corso/ Pubblicato in Articoli SEQUESTRI AI BOSS E ARRESTI MA ANCHE CONTROLLI ANTI COVID DELLA POLIZIA A PALERMO Pubblicato 7 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Sequestri ai boss e arresti ma anche controlli anti Covid della polizia a Palermo 06 Gennaio 2022 L’anno 2021 ha visto la Polizia di Stato impegnata a Palermo su più fronti sia con riferimento al contrasto della criminalità organizzata e diffusa sia sul fronte della tutela dell’ordine pubblico e dei controlli sul rispetto delle misure volte al contenimento dell’emergenza pandemica. E’ opportuno premettere come questo anno appena concluso ha visto un cambiamento di passo, o meglio, di prospettiva e di approccio nell’attività di contrasto al crimine, scrive la Questura in una nota, in considerazione della peculiarità di questo territorio, nel senso che gli strumenti tecnico operativi di contrasto alla criminalità debbano necessariamente integrarsi ed essere complementari tra loro: le attività investigative coordinate dall’Autorità Giudiziaria volte al contrasto del crimine, in particolare quello mafioso, debbono essere necessariamente accompagnate da una contestuale, continua ed efficace attività operativa che utilizzi i numerosi strumenti a disposizione dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, rivolti al presidio continuo e massiccio del territorio, con particolare riguardo a quei quartieri o porzioni dell’agglomerato urbano tradizionalmente infestati in modo pervasivo dalla presenza e dalla sottocultura mafiosa, sia per contrastare e reprimere tutti i fenomeni delittuosi o comunque illeciti, sia per affermare con la presenza la sovranità dello Stato e della Legge su tutto il territorio. Questo metodo di lavoro, pensato e proposto dalla Questura, è stato discusso e adottato in sede di Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica ed, in occasione del Comitato Nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica tenutosi a Palermo il giorno di Ferragosto, è stato oggetto di vivo apprezzamento. Andiamo ora ad esaminare in sintesi le due modalità di contrasto, partitamente ma con la consapevolezza che esse sono le due facce della stessa medaglia. Controlli di sicurezza ad Alto Impatto Il contrasto al crimine diffuso si è contraddistinto per i servizi straordinari di controllo del territorio rientranti nel protocollo di sicurezza denominato “Alto Impatto” disposti dal Questore della Provincia di Palermo Leopoldo Laricchia, che hanno coinvolto i quartieri più problematici del nostro capoluogo e che hanno caratterizzato il dispiegamento delle diverse articolazioni della Polizia in svariate fasce orarie, soprattutto in quelle serali. La Polizia di Stato ha proseguito il suo impegno a fianco dei cittadini all’interno di quartieri con particolari criticità ove, storicamente, si registrano episodi di criminalità dalle sfacettate forme e che nel tempo sono diventate, per alcuni residenti, un vero e proprio habitus culturale. In questi quartieri, la Polizia di Stato ha voluto riaffermare la sua presenza con il duplice scopo di prevenire e sanzionare fatti di rilievo criminale e, soprattutto, di parlare alla parte sana della cittadinanza, trasmettendole un impegno di lotta contro ogni forma di illegalità, che è proprio il caso di definire “senza quartiere”. Alcuni quartieri come il Cep – S.Giovanni Apostolo – Marinella –Ballarò- Vucciria – Zen- Borgovecchio- Brancaccio, sono stati presidiati con posti di controllo, perquisizioni, riscontri domiciliari su pregiudicati, operazioni antidroga, controlli anti assembramento e verifiche amministrative sugli esercizi commerciali. I servizi hanno visto impegnate praticamente tutte le articolazioni della Polizia di Stato: Commissariati di zona, Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico con le insostituibili Unità Cinofile, Reparto Prevenzione Crimine, Squadra Mobile e Divisione di Polizia Amministrativa e Sociale della Questura, che hanno operato, nell’arco delle 24 ore, all’insegna di un combinato disposto di programmazione operativa ed indagini “al dettaglio” svolte su strada. Nelle 235 operazioni effettuate sono state controllate 17.830 persone e 7.884 veicoli, 286 esercizi pubblici, 22 persone tratte in arresto e 115 indagate in stato di libertà per vari reati. Inoltre, nel corso dei servizi, sono state elevate 650 sanzioni per violazioni al codice della strada, 159 veicoli sottoposti a sequestro, 279 contravvenzioni amministrative e 149 sanzioni per violazioni alle normativa sanitaria antipademica. Infine, è stata sequestrata Kg. 4,300 di sostanza stupefacente. Anche grazie a questa capillare attività di contrasto al crimine diffuso, mantenendo una presenza costante sul territorio, è stata alimentata la fondamentale attività info-investigativa, da cui poi sono scaturite alcune delle operazioni di Polizia Giudiziaria di contrasto alla criminalità organizzata, nell’ambito di una strategia complessiva. Nell’ambito dei controlli amministrativi sono stati controllati 654 soggetti di cui 30 denunciati all’Autorità Giudiziaria e 53 all’Autorità Amministrativa, sono stati controllati 107 esercizi pubblici e 41 contravvenzionati mentre 12 sono stati posti sotto sequestro ed elevate sanzioni pari ad euro 121.990,08. Infine il Questore come Autorità di P.S., in base all’art 100 ha chiuso 12 esercizi commerciali. I blitz contro i clan mafiosi L’attività di Polizia svolta non ha, però solo aggredito il crimine nelle piazze, ma si è sviluppata anche attraverso lo svolgimento di operazioni di Polizia Giudiziaria nell’ottica di una strategia complessiva al contrasto al crimine; ad esempio, nel mese di luglio con l’operazione “TENTACOLI” la Squadra Mobile ha dato esecuzione al Fermo di Indiziato di Delitto nei confronti di 16 soggetti ritenuti a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso ed estorsione aggravata dal metodo mafioso, le famiglie colpite dai provvedimenti sono quelle di Brancaccio, della Roccella e di Corso dei Mille. Nel mese di Novembre 2021 la Squadra Mobile con l’operazione “GAME OVER 2” ha eseguito 4 arresti per i reati di cui art. 416. 648 ter e 612 bis. Nell’ambito dell’operazione denominata “SHOOWDOWN” nel mese di Aprile 2021 gli agenti della Squadra Mobile hanno eseguito 8 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di soggetti di nazionalità nigeriana, resisi responsabili a vario titolo dei reati di traffico illecito di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione e delitti contro la persona. Nel contrasto al traffico illecito di stupefacenti diverse sono state le operazioni concluse con successo dalla Polizia di Stato come quella effettuata dagli agenti del Commissariato di P.S. di Bagheria “OPERAZIONE OMBRA” unitamente ai Militari dell’Arma dei Carabinieri, che ha visto dare esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare per 4 persone e 25 persone denunciate, responsabili a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, trasporto, cessione, commercio e vendita di stupefacenti. I poliziotti del Commissariato di Partinico con l’Operazione “MIRÒ” hanno eseguito 30 misure cautelari per i traffici delittuosi posti in essere da soggetti abitualmente dediti all’approvvigionamento ed al conseguente smercio di cocaina nel territorio di Partinico e di altri comuni palermitani e della provincia di Trapani. Anche il Commissariato di P.S. Brancaccio ha assestato un duro colpo a quella che è considerata una delle tradizionali e più fiorenti piazze dello spaccio “al minuto” della città e dell’intera provincia palermitana, quella allocata in via Di Vittorio, allo Sperone con due operazioni: una nel mese di maggio denominata “TRANSIT” con 12 misure cautelari ed l’altra nel mese di ottobre con 6 misure cautelari. Fatta luce su omicidi e tentati omicidi Altro versante sul quale la squadra mobile ha ottenuto successo è stata la risoluzione di omicidi e tentati omicidi verificatisi nel 2021. Il 9 marzo tentato omicidio in pregiudizio di C. E.; 1 arresto. Il 23 marzo duplice tentato omicidio in pregiudizio di C. G. e di C. A. con 6 arresti. Il 31 maggio tre arresti per l’omicidio di Emanuele Burgio. Il 23 giugno un arresto per il tentato omicidio di T. M e il 2agosto un arresto per il tentato omicidio di C. A. G. e S. M. C. Inoltre nel 2021 sono stati tratti in arresto 137 rapinatori, 332 sono stati gli spacciatori arrestati o denunciati, 35 gli arresti per il reato di maltrattamenti in famiglia. Tra gli altri provvedimenti emessi dal Questore vi sono 20 Ammonimenti per Stalking, 65 Ammonimenti per violenza domestica, 86 individui sono stati proposti dal Questore per l’applicazione della misura di prevenzione della Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza, una richiesta di limitazione della libertà personale al fine di scongiurare il compimento di ulteriori delitti di criminalità comune o aggravati dal metodo mafioso; 51 Divieti di Accesso alle aree del centro urbano emessi nei confronti di parcheggiatori abusivi, di pusher e 300 Avvisi Orali ed infine 18 Divieti di Accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive. Sequestrati oltre nove milioni alle cosche Nell’anno preso in considerazione l’Ufficio Misure di Prevenzione Patrimoniali della Divisione Anticrimine a seguito di indagini patrimoniale ha eseguito 11 provvedimenti di sequestro per un valore complessivo di circa 3.000.000 di euro, di cui 7 nei confronti di soggetti appartenenti a cosa nostra e 5 provvedimenti di confisca per un valore di circa 4.000.000 di euro, ci cui 3 nei confronti di soggetti appartenenti a cosa nostra. In particolare si evidenza un provvedimento di confisca, su proposta del Questore di Palermo, per 2.000.000 di euro nei confronti di un esponente mafioso del quartiere “Acquasanta”. I controlli anti Covid Sotto l’aspetto delle gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica, l’attività di Polizia si è soprattutto evidenziata nella verifica circa il rispetto delle misure di contenimento previste dalla normativa in materia di contenimento dell’emergenza epidemiologica: dai servizi volti a verificare, ad inizio anno, il rispetto del lockdown, alle regole previste in “zona gialla”, “zona arancione” e “zona rossa”, nonchè l’utilizzo dei D.P.I., ai servizi svolti nell’ultima parte dell’anno volti a verificare il possesso della certificazione verde “base” o “rafforzata” da parte della cittadinanza per la fruizione dei diversi servizi e/o attività. Due eventi in particolar modo hanno colpito l’opinione pubblica, ambedue risolti in poco tempo dalla Polizia di Stato. Nel primo caso, gli agenti della Polizia di Stato hanno individuato gli autori (un maggiorenne e due minorenni) di una vile aggressione omofoba, perpetrata in pieno centro cittadino, che tanto clamore ed indignazione aveva suscitato e che ha visto come vittime due ragazzi giunti in visita turistica nel nostro capoluogo lo scorso 29 maggio. Nel secondo episodio, tre soggetti con precedenti di polizia per diversi reati sono stati ritenuti responsabili, in concorso tra loro, dell’aggressione perpetrata ai danni di due poliziotti lo scorso 1 giugno in Piazza Magione. I fatti si erano verificati durante i servizi di controllo straordinario del territorio disposti dalla Questura di Palermo in diverse piazze della movida cittadina, tra le quali piazza Magione, piazza S. Anna, piazza Caracciolo, e volti al rispetto dei provvedimenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Nella circostanza, durante un controllo di polizia i poliziotti erano stati aggrediti con calci, pugni e spintoni da un numero cospicuo di facinorosi che, infastiditi dall’attività di identificazione svolta dal personale operante, avevano reagito lanciando alcune bottiglie, prelevate dai cestini dei rifiuti. In ultimo, si rammenta la nuova gestione dell’ordine pubblico nelle piazze interessate dalla movida cittadina – piazza Magione, piazza S. Anna, piazza Caracciolo – caratterizzata dalla creazione di varchi di accesso e di deflusso, per entrare e per uscire dalle aree interessate, al fine di contingentare il numero delle persone presenti e prevedere chiusura ad hoc, cercando di evitare così assembramenti pericolosi per la salute pubblica. Fonte: https://palermo.gds.it/articoli/cronaca/2022/01/06/sequestri-ai-boss-e-arresti-ma-anche-controlli-anti-covid-della-polizia-a-palermo-d2ceb313-dcd0-443f-aede-f11bb56e609b/ Pubblicato in Articoli PRESENTAZIONE DEL LIBRO CURATO DA FRANCESCO DE NOTARIS PERCHÉ “IL TEMPO È SUPERIORE ALLO SPAZIO. AVERE PAROLE DI SPERANZA È GUARDARE AL TEMPO, AL FUTURO…” Pubblicato 7 Gennaio 2022 | Da g0e9n2n0a0r8o0v6 Presentazione del libro curato da Francesco de Notaris perché “Il tempo è superiore allo spazio. Avere parole di speranza è guardare al tempo, al futuro…” La storia di Napoli, le condizioni e i problemi della città, le sue straordinarie bellezze sono raccontati “a più voci” dagli amici delle Assise di Napoli e del Mezzogiorno d’Italia. Nella raccolta degli scritti non c’è solo il ricordo di un passato da non dimenticare per comprendere meglio il presente, ma soprattutto il segno di un futuro da costruire. Pubblicato in Articoli ARTICOLI RECENTI * Omicidio Fava – Sull’agguato una lunga confessione ma senza riscontri * Rinascita Scott, France 24 e il racconto della ‘ndrangheta. Gratteri: «Indagini sempre più in profondità» * Rinascita Scott sulla tv francese: il maxiprocesso ignorato dalla stampa italiana ma non da quella internazionale * BARDELLINO AVEVA APPARTAMENTI A GAETA,FORMIA,PISA ED ANCHE UN OSPEDALE PRIVATO NEL CASERTANO * La famiglia di Sandokan accusa Orlando Diana: “Era l’uomo di Zagaria sul Comune” * Infiltrazioni criminali, Pnrr e ruolo delle Prefetture. Incontro formativo a Cosenza * Il Foggiano è sotto assedio. Altra bomba nella notte: è la 4° intimidazione nell’arco di pochi giorni * Omicidio Alfano, Assostampa Sicilia: ”Istituzioni vigilino su sua memoria” ARCHIVI Archivi Seleziona il mese Gennaio 2022 Dicembre 2021 Novembre 2021 Settembre 2021 Agosto 2021 Luglio 2021 Giugno 2021 Maggio 2021 Aprile 2021 Marzo 2021 Febbraio 2021 Gennaio 2021 Dicembre 2020 Novembre 2020 Ottobre 2020 Settembre 2020 Agosto 2020 Luglio 2020 Giugno 2020 Maggio 2020 Aprile 2020 Marzo 2020 Febbraio 2020 Gennaio 2020 Dicembre 2019 Novembre 2019 Ottobre 2019 Settembre 2019 Agosto 2019 Luglio 2019 Giugno 2019 Maggio 2019 Aprile 2019 Marzo 2019 Febbraio 2019 Gennaio 2019 Dicembre 2018 Novembre 2018 Ottobre 2018 Settembre 2018 Agosto 2018 Luglio 2018 Giugno 2018 Maggio 2018 Aprile 2018 Marzo 2018 Febbraio 2018 Gennaio 2018 Dicembre 2017 Novembre 2017 Ottobre 2017 Settembre 2017 Agosto 2017 Luglio 2017 Giugno 2017 Maggio 2017 Aprile 2017 Marzo 2017 Febbraio 2017 Gennaio 2017 Dicembre 2016 Novembre 2016 Ottobre 2016 Settembre 2016 Agosto 2016 Luglio 2016 Giugno 2016 Maggio 2016 Aprile 2016 Marzo 2016 Febbraio 2016 Gennaio 2016 Dicembre 2015 Novembre 2015 Ottobre 2015 Settembre 2015 Agosto 2015 Luglio 2015 Giugno 2015 Maggio 2015 Aprile 2015 Marzo 2015 Febbraio 2015 Gennaio 2015 Dicembre 2014 Novembre 2014 Ottobre 2014 Settembre 2014 Agosto 2014 Luglio 2014 Giugno 2014 Maggio 2014 Aprile 2014 Marzo 2014 Febbraio 2014 Gennaio 2014 Dicembre 2013 Novembre 2013 Ottobre 2013 Settembre 2013 Agosto 2013 Luglio 2013 Giugno 2013 Maggio 2013 Aprile 2013 Marzo 2013 Febbraio 2013 Gennaio 2013 Dicembre 2012 Novembre 2012 Ottobre 2012 Settembre 2012 Agosto 2012 Luglio 2012 Giugno 2012 Maggio 2012 Aprile 2012 Marzo 2012 Febbraio 2012 Gennaio 2012 Dicembre 2011 Novembre 2011 Ottobre 2011 Settembre 2011 Agosto 2011 Luglio 2011 Giugno 2011 Maggio 2011 Aprile 2011 Marzo 2011 Febbraio 2011 Gennaio 2011 Dicembre 2010 Novembre 2010 Ottobre 2010 Settembre 2010 Agosto 2010 Luglio 2010 Giugno 2010 Maggio 2010 Aprile 2010 Marzo 2010 Febbraio 2010 Gennaio 2010 Dicembre 2009 Novembre 2009 Ottobre 2009 Settembre 2009 Agosto 2009 Luglio 2009 Giugno 2009 Maggio 2009 Aprile 2009 Marzo 2009 Febbraio 2009 Gennaio 2009 Dicembre 2008 Novembre 2008 Ottobre 2008 Settembre 2008 Agosto 2008 Luglio 2008 Giugno 2008 Maggio 2008 Aprile 2008 Marzo 2008 Febbraio 2008 Gennaio 2008 Dicembre 2007 Novembre 2007 Ottobre 2007 Settembre 2007 Agosto 2007 Luglio 2007 Giugno 2007 Maggio 2007 Aprile 2007 Marzo 2007 Febbraio 2007 Gennaio 2007 Dicembre 2006 Novembre 2006 Ottobre 2006 Settembre 2006 Agosto 2006 Luglio 2006 Giugno 2006 Maggio 2006 Aprile 2006 Marzo 2006 Febbraio 2006 Gennaio 2006 Dicembre 2005 Novembre 2005 Ottobre 2005 Settembre 2005 Luglio 2005 Giugno 2005 Maggio 2005 Aprile 2005 Marzo 2005 Febbraio 2005 Gennaio 2005 Dicembre 2004 Novembre 2004 Ottobre 2004 Settembre 2004 Agosto 2004 Luglio 2004 Giugno 2004 Maggio 2004 Aprile 2004 Marzo 2004 Febbraio 2004 Gennaio 2004 Dicembre 2003 Novembre 2003 Ottobre 2003 Settembre 2003 Agosto 2003 Luglio 2003 Maggio 1999 Settembre 201 Copyright © [2013] Associazione nazionale di lotta contro le illegalità e le mafie "Antonino Caponnetto". Tutti i diritti riservati.