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Attualità | Dal numero


COSA SIGNIFICANO BELLEZZA E BRUTTEZZA NELL’ERA DI INTERNET?


UNA PARTE SEMPRE MAGGIORE DELLA NOSTRA ESTETICA PASSA DAGLI SCHERMI DELLO
SMARTPHONE, DAI FILTRI INSTAGRAM, DAI MICROTREND TIKTOK: NELL'EPOCA IN CUI
VIVIAMO CIRCONDATI DAGLI SCHERMI, LA BELLEZZA SI È TRASFORMATA IN FOTOGENIA.

di Clara Mazzoleni 9 Giugno 2023



Ho iniziato a sospettare di essere brutta quando ho acquistato il mio primo
iPhone, nel 2017, e ne ho avuto la conferma nel 2020, durante il lockdown. In
realtà, avrei potuto capirlo prima, captare dei segnali. Ad esempio il fatto di
non piacere ai maschi tanto quanto le mie amiche. Che le mie amiche fossero più
belle di me, però, lo sapevo: i capelli, il taglio degli occhi, la bocca, il
naso, i denti, il seno, le gambe, i piedi. Le dividevo in frammenti che
confrontavo ai miei, e ogni volta la mia situazione si rivelava peggiore:
asimmetrie, storture, errori, difetti, forme irregolari, carenza dove avrebbe
dovuto esserci abbondanza e viceversa. La realtà, però, mi rassicurava. Il
ragazzo con cui stavo mi diceva che ero bellissima e anche mia madre e anche le
mie amiche, proprio loro. In più subivo continuamente cat calling, che per me
valeva come la versione analogica dei like di un follower sconosciuto. Quindi,
pensavo, forse non ero bella come le mie migliori amiche ma di sicuro non potevo
considerarmi stabilmente e irrimediabilmente brutta. Poi, nel 2017, ho comprato
il mio primo iPhone. Fino a quell’anno avevo vissuto serenamente usando una
schifezza di telefono con una fotocamera scadente che faceva foto nebulose e
lattiginose, misteriose, bellissime. La fotocamera dell’iPhone, invece, aveva
una precisione che mi era sembrata pornografica, trash, i colori sgargianti e le
texture troppo definite. Le mie amiche creavano gruppi su WhatsApp e mandavano i
loro selfie. Anche io mandavo i miei selfie, per partecipare, ma ogni volta dopo
aver condiviso la foto venivo assalita da una sensazione odiosa: nella mia
faccia c’era qualcosa di sbagliato. Se qualcuno mi faceva una foto o un video,
restavo stupita dalla mia bruttezza: ero davvero così? Se per caso quel qualcuno
osava condividerli, gli scrivevo subito pregandolo di cancellare.





La conferma è arrivata con il Covid. Durante le videochiamate di lavoro con i
colleghi e le colleghe non potevo fare a meno di notare come la mia faccia fosse
l’unica sgradevole da vedere. Quando parlavo con la psicologa non riuscivo più a
concentrarmi, scioccata com’ero dalla mia faccia gonfia, dai volumi tutti
sbagliati e da come tutto peggiorava mentre parlavo. Anche le riunioni degli
alcolisti anonimi erano in videocall. Mia madre e mia sorella continuavano a
richiedere selfie. Dopo il primo lockdown da single, mi ritrovai a vagare
disperata tra le fotografie di me salvate sul telefono senza riuscire a trovarne
di abbastanza decenti da caricare su Tinder. Era una prigione di schermi. «Non
sei brutta», mi aveva detto un amico con cui mi ero lamentata, «è che non sei
per niente fotogenica». Ma in un mondo in cui l’espressione della propria
identità e personalità si basa sulla fotogenia, che differenza c’è tra bruttezza
e non-fotogenia? La cosa strana è che se riguardo nell’archivio Instagram le mie
Stories dal 2019 in poi, sono piene di selfie. Non sono mai naturali, ma sempre
ritoccati dai filtri che si usavano in quegli anni, super creativi, artistici,
deliranti, sembravano usciti dai sogni o dagli incubi. Però, mentre ti
riempivano la faccia di pesciolini rossi e bollicine o ti creavano delle lacrime
di sangue che colavano dagli occhi senza pupille, o riempivano la pelle del viso
di tatuaggi tribali super verosimili, gonfiavano le labbra e alzavano gli
zigomi. Nel mio caso, la consapevolezza di essere brutta da vedere, in video e
in foto, andava di pari passo con la necessità di condividere in continuazione
una versione modificata della mia faccia: tra quei filtri pazzoidi, in quel
mondo virtuale di fantasia, facevo pace con il mio aspetto, mi piacevo. Li
collezionavo avidamente, ma intanto un’immagine di me perfezionata si stampava
nel mio cervello, mandando il messaggio subliminale che forse, se avessi
corretto qualche difetto, la mia situazione avrebbe potuto migliorare.




Mentre scrivo, da qualche giorno ha iniziato a girare su TikTok un filtro che si
chiama Bold Glamour. È il filtro più evoluto mai creato finora: puoi
stropicciarti gli occhi, muoverti velocemente, e lui non fa una piega, nemmeno
un nanosecondo di glitch o ritardo. Sugli uomini fa dei leggerissimi
cambiamenti, sulle donne una full face di make up: rossetto mat, contouring
leggero, smokey eye in toni nude ma con matita e mascara nero pesante,
sopracciglia perfezionate. Ma non è solo una questione di trucco, ti cambia
anche i connotati, in un modo subdolo e quasi impercettibile solleva gli angoli
della bocca e degli occhi, rimpolpa gli zigomi e ridefinisce la linea della
mascella. Una fotografa, provandolo, avvisa che ogni giorno nel suo studio
fotografa donne che quando vedono le loro foto restano inorridite (proprio come
me): la colpa, dice lei, è di filtri come questo, che fanno casino col nostro
cervello. Il motivo per cui, post-Covid, mi sono ritrovata almeno tre volte
all’anno sul lettino di un centro di medicina e chirurgia estetica, non ha
niente a che fare con lo specchio: è tutto chiuso nel rettangolo nero con cui
condivido quasi tutti i momenti della mia vita.



Due anni dopo lo shock delle videochiamate del lockdown, con la faccia infarcita
di filler, mi ritrovo a leggere un articolo di The Cut che si apre con
un’immagine di Miss Piggy dei Muppets prima e dopo l’intervento di “Buccal Fat
Removal”. Il titolo è “The Big Dissolve. They blew out their faces. Now they’re
melting them down”, ma se lo cerchi su Google diventa diabolicamente “How to Get
Bella Hadid’s Face: Fillers & Buccal Fat Removal?”. L’articolo parla delle
complicazioni dei filler (confermo, ricordando quando il mio filler sotto agli
occhi ha improvvisamente assunto vita propria, gonfiandosi, diventando bluastro
e spostandosi dove voleva lui) e di come sempre più persone stanno scegliendo di
dissolverlo completamente, nonostante l’operazione comporti dei rischi. Lo scopo
è ottenere le guance scavate di Bella Hadid e un viso magro e ossuto. L’idea che
la sua bellezza sia completamente artificiale (anche se lei ha sempre negato,
confessando un unico intervento di rinoplastica a quattordici anni di cui poi si
è pentita) non ci dà alcun fastidio, anzi, forse ci rassicura, perché ci fa
credere che anche noi potremmo essere belle come lei, basterebbe avere i suoi
soldi, il suo chirurgo e fare gli stessi interventi. Kylie Jenner è l’esempio
perfetto: chissà quante, come me, hanno trascorso una quantità di tempo
eccessiva a guardare le foto del prima e dopo la trasformazione che da bruttina
grave l’ha trasformata nella bomba di fotogenia che è oggi. Se non avesse usato
la chirurgia e la medicina estetica per stravolgere i suoi connotati la
fondatrice dell’impero di cosmetici Kylie Cosmetics by Kylie Jenner non se ne
sarebbe fatta niente dei rossetti che vende, le sarebbero stati malissimo.

La trasformazione del make-up è fittizia, momentanea, non ci interessa più:
vogliamo risolvere il problema alla radice, non nasconderlo e camuffarlo. Meglio
trovare il fondotinta perfetto o rendere la propria pelle perfetta grazie al
laser e alla bio rivitalizzazione? Meglio il contouring per creare l’illusione
di avere un naso migliore o una rinoplastica? Meglio le creme anti-età o il
botox? Chi può permettersi il cambiamento permanente, sceglie quello: come la
protagonista del bellissimo libro di Allie Rowbottom, Aestethica, che al
cambiamento da fuori preferisce quello da dentro. Bellissima influencer da 100
mila follower, a vent’anni inizia a farsi ritocchi di medicina estetica e
interventi chirurgici. A trentacinque anni, completamente rifatta ma ormai
evidentemente non più giovane, si reinventa come venditrice di cosmetici. È la
prima a snobbarli, però: nella perfetta incarnazione letteraria dell’ironia post
internet e del trend descritto da The Cut nell’articolo “The Big Dissolve”, in
un momento cruciale della sua vita la protagonista sceglie di ricorrere a
Aestethica, un distopico trattamento che durante un solo intervento annulla
tutti gli interventi e i ritocchi fatti fino a quel momento, restituendo la
paziente all’aspetto che avrebbe avuto se fosse invecchiata in modo naturale.
L’artificio più evoluto è il ritorno alla naturalezza: un cerchio che si chiude.

Bella Hadid è l’evoluzione della Instagram Face di Kylie Jenner. Come nel caso
di Kylie vogliamo pensare che sia il massimo dell’artificio, ma a differenza di
lei sembra naturale: l’ideale estetico è la foto di Bella che mangia la pizza
con gli Ugg, i boxer bianchi e il cerchietto coi dentini di plastica. L’ideale è
essere così bella che non devi truccati e puoi vestirti liberamente di merda: la
perfezione è dare un’idea di trasandatezza, naturalezza, caos. Nel 2023 la “full
face” delle Kardashian è imbarazzante come il look di una provinciale che si
acchitta per fare un giro in centro la domenica pomeriggio. Il make-up è valido
solo se estremo, iper creativo, artsy, come in Euphoria o come quello ironico e
auto-ironico di Julia Fox. Le forme seguono il trend: è tornata la magrezza,
come conferma la sparizione di due dei culi più ammirati del mondo, quello di
Kim Kardashian e quello della stessa Fox. Forse traumatizzati dall’abbondanza di
immagini, notizie e contenuti pesanti con cui siamo stati bombardati negli
ultimi anni, esasperati dalla complessità della skincare che abbiamo appreso su
TikTok e dall’ipertrofismo dell’offerta cosmetica (un nuovo trend di make-up o
routine ogni settimana, ogni giorno, ogni minuto), non vogliamo più aggiungere
niente (prodotti, protesi, peso), vogliamo soltanto togliere. Togliere il
filler, ma anche togliere il grasso, le guance, i difetti da correggere, le
ciglia finte. Il sogno è svegliarsi già perfette. Mentre scrivo Selena Gomez, un
tempo considerata bellissima, ha dovuto difendersi dal body shaming ricevuto per
la sua faccia rotonda e paffuta (anche a causa dei farmaci che prende per il
Lupus). La “moon face” è diventata il male: non ci interessa più sembrare delle
bambine sexy, siamo tornate a voler apparire come delle tossiche denutrite (ma
nessuno pronunci quel termine, “heroin chic”, perché sarebbe come ammettere che
la body positivity è stata tutta una farsa).

Se nel 2015 la “duck face” di Kim Kardashian era l’ostentazione gioiosa di
posare, adesso c’è il “dissociative pout”, lo sguardo vuoto e perso della
dissociazione. La definizione viene dalla recensione di Rachel Syme alla
raccolta di saggi del 2019 di Natasha Stagg, Sleeveless, che scriveva «la
dissociazione è meglio della disperazione». A pensarci bene, quando Kim si è
presentata al Met Gala del 2021 in quel look Balenciaga tutto nero, con la
faccia completamente coperta, è come se si fosse auto-cancellata, pronta a
riscrivere la sua estetica. Alla base dell’espressione da dissociata e dalla sua
evoluzione, lo sguardo maligno del “succubus chic”, c’è l’ironia e il
nichilismo. Le labbra abnormi di Chloe Cherry, l’ex attrice porno esplosa grazie
al suo ruolo di eroinomane in Euphoria, sono la conferma che il ritocco, così
come il make-up, dev’essere o invisibile o esagerato, auto-ironico. Abbiamo
archiviato le sopracciglia di Cara Delevigne, il microblading che usavamo per
rimpolparle segue il destino del filler, diventerà una pratica desueta, per chi
ha pochi soldi o non segue la moda. Per essere interessanti oggi le sopracciglia
devono essere sottilissime, anni Novanta (si lavora in levare, anche qui),
oppure non esserci (togliere tutto). Non tutti possono permetterselo: le
sopracciglia sottili stavano bene a Pamela Anderson e Angelina Jolie negli anni
Novanta, a Gabbriette e Amelia Gray oggi (le influencer del “succubus chic”). Le
sopracciglia assenti stanno bene a Mia Goth e alle modelle. I trend estetici
sono dettati dalle belle e da altre belle vengono seguiti. Perfino Selena Gomez
si ritrova a dirlo, come per giustificarsi, e fa tenerezza: «Non sono una
modella, non lo sarò mai». I social hanno reso tutto così veloce che vince chi
ha il coraggio di essere se stesso: Lana Del Rey, ad esempio, se ne frega del
ritorno della magrezza e abbraccia con tranquillità l’aumento di peso degli
ultimi anni. Procede indisturbata con i suoi filler, come me. Quando leggerete
questo articolo, probabilmente sarà già uscito un nuovo trend chirurgico o
estetico (e altrettanti trend di make-up, e altrettanti stili, o meglio,
“qualcosa-core”: wednesdaycore, angelcore, devilcore, balletcore, fairycore,
goblincore, gothcore, gorpcore, eccetera). In un arco di tempo un po’ più lungo
(che immagino andrà accorciandosi sempre più) il Buccal Fat diventerà
imbarazzante come adesso inizia a sembrarci il Butt Implant (le protesi per
ingigantire il culo). Sogno un futuro in cui a un certo punto questo eccesso di
ironia, layer e parole che finiscono in -core esploderà, e si tornerà
all’essenza.

Ma qual è l’essenza della bellezza? In Storia della bellezza, Umberto Eco
scriveva che la bellezza non è mai stata un concetto assoluto e immutabile ma è
sempre mutata a seconda del periodo storico e del luogo, e questo non vale solo
per la bellezza fisica femminile, ma anche per la bellezza di Dio e dei santi o
per la bellezza come come idea assoluta. Nel 2018 ho aperto un profilo Instagram
che si chiamava come un verso della canzone “Face to Face” di Siouxsie And The
Banshees che dice: «faccia a faccia, mio amato nemico». Quell’amato nemico è la
faccia. Ho accumulato facce belle, mostruose, adorate, deformate, dipinte, mie.
Poi il ragazzo che frequentavo ha iniziato a dirmi che sembrava il profilo di
una psicopatica, l’ho abbandonato e ora giace su Instagram. @my_lovely_foe non
segue nessuno, e i suoi follower continuano a scendere. Ho continuato a postare
di tanto in tanto le facce che mi colpivano, l’ultima è del mio gatto.
Recentemente, un amico mi ha fatto notare che è un gatto bruttissimo. Io non me
n’ero mai accorta, ma da quando me l’ha detto mi sono resa conto che ha ragione:
non solo è sproporzionato rispetto agli altri gatti, ma le macchie strane che ha
sul muso, troppo lungo, sono distribuite male e lo fanno sembrare sporco. Da
quando l’ho scoperto, il mio amore per lui è raddoppiato







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