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LIBERI DI MUOVERSI

Un programma ed una app per segnalare le barriere architettoniche
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APPUNTI DI VIAGGIO

Pubblicato il 27 agosto 2013 da silviabuttini

Liberi di Muoversi ha il piacere di pubblicare questo guest post di Fabrizio
Marta. Blogger giramondo, Fabrizio racconta i suoi viaggi su
rotellando.vanityfair.it, con lo scopo di avvicinare al viaggio chi ha problemi
di mobilità e sensibilizzare la collettività al problema delle barriere
architettoniche e culturali. Fabrizio ha sposato con entusiasmo la nostra causa
e noi siamo felici di ospitarlo qui.

Qualche mese, fa mentre giocherellavo con Twitter, mi sono imbattuto
nell’account di “Liberi di Muoversi” e di getto ho iniziato a seguirlo. Il
motivo? Mi aveva portato indietro nel tempo, quando feci il mio primo viaggio da
solo. Avevo 25 anni, una gran voglia di dimostrare a me stesso e agli altri, che
ancora mi è rimasta, che potevo viaggiare ed essere come gli altri e soprattutto
cercare di capire quali erano i miei limiti. Scelsi un luogo che sulla carta,
già allora, era il paradiso delle rotelle e dei rotellanti: la California, gli
USA.

Con la scusa d’imparare l’inglese (infatti rimase solo una scusa) partii per Los
Angeles, rimasi in un campus per un mese e poi feci il giro della west coast con
degli amici. Fu il primo mese che trascorsi da solo a Los Angeles a farmi
ammalare di “viaggite” e soprattutto a farmi scoprire la “libertà di muoversi”.

Già sino ad allora l’avevo immaginata e sperata ma mai vissuta. E quando tornai
a casa, cercai di far capire l’emozione che avevo provato a vivere libero, ma
con pochi risultati: chi è abituato ad esserlo fatica a comprendere, chi non lo
è può solo fantasticare di esserlo.

La libertà di muoversi è alzarsi al mattino e decidere dove andare a fare
shopping, senza dover pensare se quella via o quel negozio sono accessibili; è
entrare in un negozio quando si vede una bella maglia in vetrina e non dover
rinunciare perché ci sono degli scalini; è non dover frequentare gli stessi
posti solo perché sono comodi ma anche perché ci piacciono. Libertà di muoversi
significa non dover telefonare per sapere se quel ristorante ha le scale, ma
poterci andare senza alcun pensiero al riguardo, come tutti del resto.

Libertà di muoversi è fissare un appuntamento con un amico, con la fidanzata,
con il collega dove ci pare e piace e non decidere dando la priorità a scalini o
rampe. È andare a spedire una raccomandata nell’ufficio postale più vicino e non
in quello più accessibile, ma soprattutto la libertà di fare da soli senza
l’aiuto di nessuno, in piena libertà. Libertà di essere autonomi. E di poter
pensare a quello che vogliamo e non vogliamo, a quello che dobbiamo e non
dobbiamo fare e, anche, dove e con chi farlo.

Lì, in California, per la prima volta mi sono sentito “libero” di fare e di
andare, di alzarmi al mattino, prendere un autobus e fare shopping, uscire la
sera e andare per locali. Potevo andarci da solo, starci quanto tempo volevo,
muovermi come volevo. Mi sono sentito per la prima volta un uomo libero, e,
quando si assaggia la libertà è dura tornare indietro! E con questo desiderio di
“libertà di muoversi” è iniziata la mia voglia di viaggiare, da solo, tutte le
volte che potevo. E così, ho iniziato a sentirmi libero in Australia, in
Sudafrica, negli States e in gran parte dell’Europa; e questa libertà mi ha
portato a documentare le mie esperienze, insieme al fotografo Vito Raho, su
rotellando.vanityfair.it e poi su www.rotellando.it, un progetto multimediale
(fotografico e video) nato per raccontare viaggi e storie di “normale
diversità”.

Con Rotellando, quest’anno ho scoperto due Paesi che hanno molto da insegnarci
sulla libertà di muoversi: il Sudafrica e l’Irlanda.

Il Sudafrica che, pur dovendo abbattere molte di quelle barriere mentali
consolidate nel tempo, è abituato alle diversità e ha una spiccata sensibilità
al turismo accessibile: si possono effettuare safari, escursioni in sidecar e
visitare molti luoghi in piena libertà. I nuovi edifici vengono costruiti in
modo che siano accessibili per tutti e, di conseguenza, viene poi da sé che lo
siano anche per i rotellanti.

E l’Irlanda che, nonostante la crisi economica, tenta di salvaguardare il più
possibile le conquiste ottenute in ambito sociale. Cosa che in Italia non
accade, perché dobbiamo ancora raggiungere certi traguardi e allora mi chiedo
perché gli anglosassoni hanno questa spiccata sensibilità verso l’integrazione
del diverso mentre noi non riusciamo a fare in modo che tutti abbiano le stesse
opportunità e diritti.

Fabrizio Marta



rotellando.vanityfair.it

www.rotellando.it




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Pubblicato in #liberidimuoversi, Disabilità, Senza categoria, Testimonianze |
Contrassegnato barriere architettoniche, fabrizio marta, libertà di muoversi,
rotellando, vanityfair, viaggi, viaggio | Lascia un commento


“TORINO PARATOUR”: ITINERARI TURISTICI PER I NON VEDENTI E I DISABILI
IN CARROZZINA

Pubblicato il 25 luglio 2013 da silviabuttini

“Torino Paratour” è un itinerario turistico unico nel suo genere, ideato per far
conoscere le bellezze del capoluogo subalpino ai non vedenti e ai disabili in
carrozzina, attraverso i decori che caratterizzano l’architettura della città.
 Scopriamo come è nato questo progetto con il suo ideatore, Raffaele Palma,
presidente del CAUS (Centro Arti Umoristiche e Satiriche) di Torino.

Come e quando è nato il progetto “Torino Paratour”? 

“Torino Paratour” è nato per ricordare un caro amico, Gianni Pellis, affetto da
sclerosi multipla e scomparso nel 2011. Il progetto però ha preso forma e
concretezza solo a Febbraio di quest’anno e le difficoltà sono state molte e
spesso difficili da superare, proprio come le barriere architettoniche!

A chi si rivolge?

“Torino Paratour”, pur rivolgendosi a tutti, è stato ideato per i portatori di
disabilità motoria e visiva, come ciechi e ipovedenti.

Sulla base di quali parametri ha individuato gli itinerari proposti? Di quali
criteri ha tenuto conto?

Da anni mi occupo di realizzare tour in Torino e Piemonte che evidenziano fregi,
decori e abbellimenti architettonici. Per realizzare gli itinerari di “Torino
Paratour” ho dovuto cercare decori e fregi a portata di mano (non troppo alti),
assai plastici (per essere sentiti con il tatto), vicini l’uno all’altro,
affinché i tour non risultassero troppo lunghi e dispersivi. Infine, cosa più
importante, ho dovuto tenere conto di percorsi su marciapiedi privi di barriere
(con piano abbassato), possibilmente su tragitti in isole pedonali e con
possibilità di riparo in caso di pioggia. Non è stato facile individuare tutte
queste prerogative e unirle in tour che analizzassero decori solo barocchi e
neoclassici oppure in stile déco e liberty.

Quali sono i punti di forza di “Torino Paratour”? Quali elementi lo
contraddistinguono da altre proposte simili? 

Credo che “Torino Paratour” sia un progetto innovativo e unico nel suo genere.
Gli itinerari sono stati pensati per essere esplorati all’esterno di case di
civile abitazione, di palazzi di particolare pregio o edifici d’interesse
storico, artistico e monumentale. Sono percorsi che si sviluppano sui
marciapiedi della città, fruibili in qualsiasi momento della giornata e in
qualsiasi periodo dell’anno, a differenza dei tour per portatori di disabilità
appositamente creati presso le gallerie d’arte, i musei o alcune aree cittadine.
Percorsi che servono a comprendere e analizzare i vari stili artistici che si
sono succeduti nel corso dei secoli, ad apprezzare e valutare dettagli che
sfuggono alla maggioranza delle persone.

“Torino Paratour Grottesco” e “Torino Paratour Liberty”… ci illustra gli
itinerari nel dettaglio?

“Torino Paratour” è costituito da tre tragitti strutturati ad hoc, con
differenti tempi di percorrenza, consultabili e scaricabili gratuitamente dal
sito www.caus.it, alla pagina http://www.caus.it/torino-piemonte-tours.shtml. I
tragitti, che si snodano tra ornamenti architettonici rigorosamente da toccare,
capire, usare, sono corredati di mappa con traccia degli spostamenti, foto e
numeri civici per gli accompagnatori-guide. Il traduttore, ad inizio pagina,
consente di ottenere il testo in tutte le lingue; il link a Google Maps permette
invece di entrare nel dettaglio delle vie e di stimare in metri e tempi ciascun
percorso.

Per quanto concerne nello specifico i percorsi, il primo itinerario sui decori
grotteschi, di circa due ore, è ideale nelle belle giornate, quando è possibile
utilizzare i marciapiedi e le aree pedonali del centro. Il secondo, della durata
di un’ora abbondante, è da percorrere sotto i portici per ripararsi dalle
intemperie, in caso di mal tempo.

Lungo i due tragitti, tutti i marciapiedi e attraversamenti stradali sono privi
di barriere architettoniche e i fregi sono posizionati ad altezza di ragazzo (le
maniglie delle porte, i battagli dei portoni, i paracarri degli androni, ecc.).
I decori, oggetto del tour, sono di metallo, legno, cemento ed hanno la forma di
mascheroni grotteschi, figure mitologiche e musi d’animali.



Il terzo percorso, “Torino Paratour Liberty”, ha invece come oggetto gli
splendidi dettagli architettonici in stile Liberty e Déco della nostra città.
Quest’ultimo tour offre l’opportunità di scoprire un variegato mondo di
splendide espressioni creative, permettendo di valutare bellissime effigi di
metallo, forgiate per i lucernai delle cantine o per le maniglie degli ingressi
pedonali; e ancora figure lignee che ornano porte e portoni e sagome in
conglomerato laterizio, usate come fregi su molte facciate. Un panorama
variegato di Liberty, ispirato perlopiù a sagome floreali, a foglie, a tralci e
bacche di pura fantasia. Non manca neppure la sagoma di qualche strano animale
stilizzato, in autentico stile déco.

Un progetto quindi che consente alle persone con disabilità di vivere e ammirare
le bellezze architettoniche ed artistiche del territorio. Gli enti locali e/o le
associazioni di disabili l’hanno supportata in questa iniziativa?

I siti della Pubblica Amministrazione, in particolare quelli del Comune, della
Provincia e della Regione hanno dato ampio risalto al progetto “Torino
Paratour”.

Ma, volendo, potrebbero fare ancora di più… come collocare gli itinerari nelle
loro pagine riservate al turismo.

I siti inerenti agli Assessorati al Turismo ed alla Cultura poi rimandano
spesso, per la visione di contenuti, alle applicazioni di ultima generazione,
quali Android, iOS, ecc.  Ecco, visto che il CAUS non dispone di un budget che
permette di costruire i contenuti web attraverso tali applicazioni, sarebbe
meraviglioso se un’associazione, un’azienda, un ente, o perché no, un privato,
potesse farsi carico di questa spesa!

Arrivare a definire ogni dettaglio dei percorsi di “Torino Paratour” è stato un
processo lungo, laborioso ed impegnativo. Dare ancora maggiore risalto e
visibilità all’iniziativa non significherebbe esaltare l’impegno di un singolo,
il sottoscritto, bensì raggiungere altre persone che si occupano di disabilità e
della creazione di tour artistici, affinché possano partorire nuove idee,
migliorare alcuni aspetti o progettare altri itinerari cittadini, al fine di
rendere la “conoscenza” del bello, dell’arte e dell’architettura veramente
accessibile a tutti.

Per quanto riguarda, invece, le associazioni di persone con disabilità, devo
dire che, ad eccezione di alcune, hanno risposto con molto meno entusiasmo. La
ragione, credo, è nel fatto che problematiche più urgenti ed importanti hanno
giustamente precedenza e priorità nella loro vita quotidiana. Penso inoltre che
ogni associazione si occupi di temi specifici, spesso univoci ed escludenti,
quali sport, integrazione, hobby; sono pochi i siti specializzati in disabilità
che trattano d’itinerari d’arte ed architettura urbana. Le molteplici
differenziazioni e categorie di disabilità rappresentano poi un’ulteriore
difficoltà di pertinenza; se “Torino Paratour” risulta essere d’esclusivo
interesse per le persone cieche o in carrozzina, tutti gli altri portatori di
disabilità (non udenti, disabilità psichiche, ecc.), non considerano il progetto
interessante.

Ha già ricevuto dei riscontri, invece, da chi ha percorso gli itinerari? Magari
qualche suggerimento o critica…

Sì, ne ho ricevuti. L’Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti – Sezione Provinciale
di Torino, nella persona del suo Presidente Enzo Tomatis, è stata tra le
primissime associazioni a contattarmi per complimentarsi dell’iniziativa ed
aderire ai tour, seguita dal Centro Regionale Documentazione Non Vedenti della
Città di Torino.

“Torino Paratour” l’avrà sicuramente fatta riflettere sul problema
dell’accessibilità in generale. Che idea si è fatto? Quanto c’è ancora da fare?

Ho riflettuto soprattutto sulla disabilità in generale, visto che ne ho avuto
esperienza diretta in famiglia. È stata una vicenda tragica, non solo nel mio
vissuto di familiare, ma anche nel rapporto con alcune figure mediche,
assistenziali e giuridiche, davvero carenti sotto ogni profilo. Poi c’è stata la
lunga amicizia con Gianni Pellis, dal quale ho attinto un po’ di
quell’entusiasmo, iniziativa e spirito pionieristico, che in alcuni momenti
della mia vita mi sono mancati.

Per quanto riguarda invece il tema dell’accessibilità, mi sto rendendo conto
che, invecchiando, anche un minimo ostacolo che prima non consideravo, oggi può
essere causa di intralcio, inciampo, impedimento. L’accessibilità riguarda
tutti, archistar compresi!



So, tra l’altro, che ha in programma di pubblicare sul sito del CAUS anche delle
segnalazioni inerenti la mobilità cittadina. Ci può spiegare meglio…

Su questo punto ho avuto mille ripensamenti! Poi ho ritenuto che solo le
segnalazioni di mobilità cittadina provenienti dai siti ufficiali di Comune,
Provincia e Regione potessero dare la giusta garanzia nel caso di comunicazioni
su interruzioni, marciapiedi dissestati, chiusure di aree o, viceversa, nel caso
di segnalazioni relative all’inaugurazione di nuove zone pedonali, servizi per
portatori di disabilità, ecc.

E così nella pagina del nostro sito dedicata a “Torino Paratour” c’è la
possibilità di scaricare le mappe dal link geoportale della Città di Torino:
quella relativa al progetto “accessibilità delle persone – infrastrutture
ipovedenti” e quella “accessibilità delle persone – evoluzione abbattimento
barriere architettoniche”.

Un’ultima domanda. A “Torino Paratour Grottesco” e “Torino Paratour Liberty”,
pensa di affiancare in futuro altri itinerari? Ha già qualche idea in proposito?

Sì, è già a buon punto la catalogazione fotografica relativa a “Torino Paratour
Razionalista e Contemporanea”, per cui dovremo individuare e definire un nuovo
percorso che si snoderà tra i decori dell’architettura dal 1930 sino ad oggi. Un
nuovo tour reso possibile grazie all’aiuto di alcuni amici che mi hanno sempre
supportato: Piero Ferraris, Tullio Macrì e Norberto Tosetti.




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Pubblicato in #liberidimuoversi, Barriere archiettoniche, Disabilità, Interviste
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carrozzina, disabilità, itinerari turistici, itinerario turistico, non vedenti,
Raffaele Palma, torino, Torino Paratour | Lascia un commento


ALBERGO ETICO: UN ALBERGO, UNA SCUOLA, UNA CASA E… UN FUTURO!

Pubblicato il 4 luglio 2013 da silviabuttini

Albergo Etico è la dimostrazione di come sia possibile conciliare impresa
sociale e business, ed è la prova di come si possa ribaltare il concetto di
assistenza al disabile, che da fruitore del servizio turistico ne diviene il
gestore. Antonio De Benedetto, Presidente di Albergo Etico, e Andrea Cerrato,
Segretario di Albergo Etico e Assessore all’Agricoltura, Turismo, Commercio e
Attività Produttive del Comune di Asti, ci illustrano questo straordinario e
innovativo metodo di formazione attiva.

Quando e come è nato il progetto Albergo Etico?

Il progetto è nato nel 2006 per rispondere ad un’esigenza specifica, ovvero
permettere a Niccolò Vallese, un ragazzo affetto da sindrome di down, di
terminare il percorso di studi della scuola alberghiera. Inserito come stagista
presso il ristorante Tacabanda di Asti, Niccolò ha compiuto, in pochi mesi, una
vera e propria trasformazione, cambiando completamente le prospettive della sua
vita e quelle della sua famiglia. Grazie alla sensibilità (e follia) di un
gruppo di amici e imprenditori, senza esperienze lavorative o vissuti familiari
in questo specifico ambito, è nato così Albergo Etico, un percorso e progetto
formativo che dai fratelli De Benedetto, i gestori del Tacabanda, ha coinvolto
man mano altre strutture ricettive. È così il sogno di far uscire dall’anonimato
decine di ragazzi e far rinascere le loro famiglie sta diventando, poco per
volta, realtà!

Si tratta di un progetto che ribalta completamente il concetto di assistenza al
disabile, visto che i ragazzi stessi sono parte attiva nella fase di accoglienza
al turista. È stato difficile far passare questo concetto?

È stato necessario, e lo è ancora, far cambiare prospettiva, non solo
trasmettere un concetto. Quando presentiamo il nostro progetto, in Italia e nel
mondo, la prima cosa che diciamo è che “Albergo Etico non è volontariato, non è
assistenzialismo, ma un progetto imprenditoriale”. Solo in questo modo
l’approccio è diverso, come è giusto che sia. In caso contrario, continueremo ad
alimentare centri (spesso parcheggi!) che poco o nulla danno alla società, e che
forse servono solo a scansare il problema. La nostra idea è diversa. Sappiamo
che esistono disabilità e patologie completamente diverse tra loro, sappiamo che
ogni ragazzo deve compiere un suo percorso e che i risultati possono essere
completamente differenti l’uno dall’altro, ma allo stesso tempo siamo
consapevoli che il disabile rappresenta una risorsa e non un costo. È necessario
operare quel salto che anziché farci chiedere quanto costa allo stato un mese in
un centro di assistenza o di recupero, ci porti a domandare quanto e cosa può
dare un ragazzo disabile inserito nel mondo del lavoro. Questo è il cambio di
prospettiva.

Quanti sono, ad oggi, i ragazzi coinvolti e con quali disabilità?

Ad oggi, i ragazzi coinvolti nel progetto sono ventisei. Provengono da tutta
Italia (ma il gruppo piemontese è molto folto) e alcuni sono affetti da sindrome
di down, altri presentano una disabilità intellettiva con ritardo cognitivo,
altri ancora sono affetti da cecità e ipovedenza.

In che modo le strutture in cui lavorano i ragazzi sono state coinvolte nel
progetto? Hanno aderito spontaneamente?

C’è stato un grande lavoro sul campo… il successo dell’inserimento di Niccolò
nel ristorante Tacabanda, l’impegno della Presidenza del Consorzio Turistico
Asti e Monferrato e dell’Associazione Gente & Paesi Onlus ad inserire i ragazzi
nei progetti istituzionali hanno piano piano contaminato e contagiato l’intera
città. Certo, c’è ancora molta paura da parte degli imprenditori ad accogliere i
ragazzi all’interno delle loro strutture. Paura che nasce, da una parte, dalla
mancanza di conoscenza e, dall’altra, è figlia di certe lungaggini burocratiche.
Per questo, nei prossimi mesi andremo a codificare un metodo (download) che sarà
la sintesi di anni di lavoro, di test o meglio di tentativi. Non siamo medici,
abbiamo accettato insieme alle famiglie una sfida, abbiamo fatto un percorso con
loro. Non sappiamo dare risposte tecniche a quanto è successo, sappiamo che è
stato un percorso lungo, impegnativo con risultati eccezionali. Ora con il
metodo tutto sarà più facile, sia per aderire al progetto, sia per replicarlo
altrove.

In futuro, pensate di inserire i ragazzi anche in strutture diverse da quelle
ricettive?



La chiave di lettura è fornire a questi ragazzi gli strumenti per gestire in
modo autonomo la propria vita. L’Albergo Etico è un metodo di formazione attiva
per il raggiungimento dell’indipendenza e dell’autonomia personale attraverso
ciò che c’è di più professionalizzante e vicino ad una casa, ossia l’albergo. Il
primo obiettivo è consentire a questi ragazzi di diventare persone libere e
capaci di apprendere; solo in questo modo si possono predisporre tutti quegli
strumenti di legge che consentono ai ragazzi il collocamento sgravato ed
agevolato per esistere e trovare la propria strada nella società civile come
lavoratori, volontari, cittadini indipendenti.

Quali ricadute ha avuto il progetto sulle famiglie dei ragazzi e sull’intero
territorio?

Straordinarie… si sa che molto spesso l’handicap viene “trasferito” ai genitori
che vivono la disabilità del figlio con impotenza e sensi di colpa… ebbene, la
grande famiglia che si generata è attenta e sostiene i genitori nel loro
percorso di vita con pennellate di allegria e sincera condivisione che finiscono
per annullare quel grigio di base, sinonimo di frustrazione e senso di
inadeguatezza. La disponibilità e il piacere da parte di tutte le persone nel
raccogliere la sfida dell’integrazione ha regalato una marcia in più al team
cittadino… e questo in campo turistico è fondamentale! Non dimentichiamoci poi
che Albergo Etico è un progetto imprenditoriale e come tale può determinare (e
in parte l’ha già fatto) un incremento di fatturato, attrarre investimenti e
persino generare un mito, quello della “città etica europea”!

Perché in Italia si pensa ancora che impresa sociale e business siano
incompatibili? 

Perché il sistema di base è cresciuto generando orticelli, interessi economici e
politici tali che una buona idea muore per invidia o per squallidi interessi.
Perché manca un metodo per far sì che il businnes, il social businnes e le
persone disabili si formino sullo stesso modello strategico, si incontrino in
modo stimolante e proseguano un naturale percorso insieme.

Quanto ha contribuito la collaborazione sinergica tra i diversi soggetti,
formazione professionale, strutture ricettive e pubblica amministrazione, al
successo del progetto?

Il progetto sta avendo successo perché un gruppo di persone ha deciso di rompere
gli schemi. È chiaro che l’interazione costruttiva tra i diversi soggetti è
stata fondamentale, ma senza le persone il progetto non sarebbe mai partito. C’è
ancora una grande rigidità mentale degli imprenditori e burocratica delle
amministrazioni. Ma ormai il percorso è avviato, dirompente. E faremo di tutto
per far sì che il centro studi “Albergo Etico” rimanga ad Asti, e che proprio
Asti diventi il primo esempio virtuso di città etica. Detto ciò, la priorità
sono i ragazzi, per cui se troveremo un ambiente più ricettivo non ci penseremo
due volte!

Il traguardo più importante che avete raggiunto e i vostri prossimi obiettivi

Il traguardo più importante che abbiamo raggiunto è constatare come tutti i
giorni possiamo contribuire al cambiamento sociale del nostro Paese, traguardo
che lo stesso Parlamento Europeo ci ha riconosciuto, consegnandoci, lo scorso
anno, il “Civi Europaeo Praemium”, ovvero il Premio del cittadino europeo.
L’inaugurazione del primo Albergo Etico, ovvero una struttura alberghiera 4-5
stelle con ristoranti, beauty farm, servizi commerciali, ecc… è invece il nostro
prossimo obiettivo, il punto di arrivo non per noi ma per la società. La
realizzazione dell’Albergo Etico significherà aver raggiunto un’apertura mentale
nuova e un nuovo approccio alla vita. Se il concetto di “accessibilità totale di
una città” è un concetto per certi versi utopistico, la creazione di un albergo
di classe superiore totalmente accessibile e gestito da disabili è
un’opportunità facile da raggiungere. Parliamo tanto di crisi, ma visto che in
Europa il potenziale dei turisti disabili è di oltre 80 milioni di persone, non
sarebbe il caso di discutere di imprenditorialità?

Per concludere, una storia che vi ha particolarmente colpiti

La storia di una mamma che odiava Asti per via della sindrome del figlio.
Vittima della depressione, questa donna è diventata una colonna
dell’associazione, trovandovi tanti amici con cui condividere la straordinaria
normalità di un figlio che tutti i giorni ci insegna i valori della vita, e che
da quando è nata la piccola Emy (figlia di uno degli esercenti coinvolti nel
progetto) si diverte a fare il baby sitter.


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Pubblicato in Disabilità, Interviste | Contrassegnato Albergo Etico, Andrea
Cerrato, Antonio De Benedetto, Asti, disabile, formazione attiva, impresa
sociale, progetto, Tacabanda | 9 commenti


TURISMO ACCESSIBILE: TURISMO PER TUTTI

Pubblicato il 15 giugno 2013 da silviabuttini

“Il viaggiatore con disabilità non ha paura. È sospettoso, minuzioso, magari. Ma
accetta il rischio. È pronto a qualche aggiustamento ragionevole rispetto alle
abitudini preziose che lo tranquillizzano nel proprio habitat. È quasi il
turista ideale, perché desidera fortemente il viaggio, per poterlo centellinare,
riempire di esperienze, raccontare e disseminare al ritorno. Offrire opportunità
di turismo in piena accessibilità non è solo un’azione corretta dal punto di
vista dei princìpi universali sanciti dalla Convenzione Onu sui diritti delle
persone con disabilità. È soprattutto un’operazione imprenditoriale
intelligente, lungimirante, carica di vantaggi, anche economici”. Sono questi,
nelle parole del giornalista Franco Bomprezzi, i fondamenti della ricerca
“Turismo accessibile e Piemonte for all”, presentata il 14 Giugno nell’omonimo
convegno organizzato dalla Consulta per le persone in difficoltà e dalla Regione
Piemonte, presso le Officine Grandi Riparazioni di Torino.

Moltissimi gli spunti di riflessione emersi dal convegno; in particolare,
l’analisi degli operatori presenti ha messo in luce la necessità di coniugare e
intrecciare il concetto di accessibilità con quelli di qualità e ospitalità. Ciò
significa che l’accessibilità va intesa non solo in termini di adeguamento
normativo, ma come elemento di qualità per le strutture e il territorio, secondo
il principio che “ciò che è accessibile è più comodo per tutti”. Parlare di
turismo accessibile significa quindi lavorare sulle leve
dell’informazione/comunicazione, dei trasporti, dell’accoglienza/ospitalità,
della formazione. È inutile abbattere una barriera se non lo si comunica; è
inutile parlare di accessibilità se la persona con disabilità non riesce ad
arrivare a fruire di un servizio; è inutile mettere una rampa o eliminare uno
scalino in una struttura ricettiva se il personale non è adeguatamente formato e
attento ai bisogni e alle esigenze delle persone diversamente abili. Gli
operatori del settore turistico devono iniziare a considerare la disabilità non
come un “problema da gestire” bensì come una semplice espressione della
complessità umana da considerare, conoscere e soddisfare in modo concreto e
professionale. Questo principio è perseguibile solo se si è disposti come
persone e, come operatori, ad accettare e confrontarsi con la complessità del
tema capendo che nulla si può fare senza la conoscenza delle persone con
disabilità e soprattutto senza la volontà di una piena comprensione delle
specifiche esigenze e il loro inserimento al centro del processo turistico. Di
una città – scriveva Italo Calvino – non godi le sette o le settantasette
meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda: le persone con disabilità
chiedono che venga riconosciuto il loro pieno diritto di scoprire, divertirsi,
conoscere e confrontarsi con un territorio, domanda che la filiera turistica non
può più eludere!


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“ABBATTIAMO LE BARRIERE”: IL PROGETTO DELLA CIRCOSCRIZIONE DUE DEL COMUNE
DI TORINO

Pubblicato il 8 giugno 2013 da silviabuttini

La Circoscrizione Due (Santa Rita – Mirafiori Nord) del Comune di Torino sta
lanciando un progetto pionieristico, ovvero mappare – grazie ad una squadra di
volontari – tutte le barriere architettoniche del quartiere, per renderlo
realmente accessibile a tutti. Parliamo di questa significativa iniziativa con
la Dott.ssa Raffaella Perrone, Coordinatrice della II Commissione Consiliare
della Circoscrizione Due. 

Com’è nato il progetto? Quali sono i vostri obiettivi?

Il progetto è nato dal basso, dalle richieste di un gruppo di cittadini attivi
nei comitati spontanei di quartiere e sensibili all’argomento. Determinati,
pervicaci e dotati di un forte senso civico, questi cittadini mi hanno
contattata e sottoposto la questione: mappare il territorio, rintracciare i
percorsi accessibili e abbattere le barriere. Spesso, l’inefficienza della
pubblica amministrazione risiede nel fatto che i diversi settori non agiscono
all’unisono, che non si scambiano le informazioni, che procedono come monadi e
chi ne paga le spese, purtroppo, sono i cittadini con una mobilità ridotta. Per
questi motivi, ho deciso di convocare un “tavolo tecnico abbattimento barriere”,
a cui hanno partecipato cittadini, tecnici e istituzioni.

Quali sono le principali difficoltà che avete riscontrato o che riscontrate
nella realizzazione del progetto?

C’è una scarsa attenzione alla tematica dell’accessibilità, come se tutti
fossero in grado di muoversi in autonomia, ma la percezione sta cambiando e
questo grazie anche all’impegno di persone come i rappresentanti dei comitati
spontanei, ma non solo. In questo ultimo anno, infatti, ho avuto la fortuna di
conoscere persone incredibili, singoli cittadini o associati, che sono riusciti
ad abbattere barriere, a rendere accessibili luoghi fino a quel momento ad
esclusivo appannaggio dei “normalmente” abili. Ad essere sincera, abbiamo
riscontrato anche alcune difficoltà ad attivare il tavolo per l’abbattimento
delle barriere, difficoltà di ordine burocratico. I funzionari della pubblica
amministrazione con cui parlavo non sapevano come muoversi: non avevano mai
dovuto scrivere una determina che ufficializzasse la nascita di un tavolo a cui
si sarebbero seduti, con lo stesso diritto di parola, tecnici comunali e liberi
cittadini. È stata dura, ma alla fine ce l’abbiamo fatta!

Avete coinvolto altri enti/associazioni del territorio? A quale titolo?

Sì, come ho accennato prima, abbiamo riunito attorno al tavolo tecnico le
associazioni di disabili, cittadini liberi e associati non necessariamente
disabili e diversi settori comunali ovvero il suolo pubblico, la viabilità, il
verde pubblico, l’agenzia trasporti urbani, i servizi sociali. Grazie al tavolo,
i diversi settori hanno incominciato a coordinarsi tra loro e a lavorare in
maniera sinergica, scoprendo che l’unione permetteva di abbattere le barriere
più in fretta e risparmiare denaro pubblico! Ad esempio, l’agenzia di trasporti
pubblici ha iniziato ad interfacciarsi con il settore viabilità, per cui mentre
GTT effettuava la mappatura delle proprie fermate per capire quali erano
accessibili o meno, la viabilità cercava di capire come arrivare alla fermata
camminando lungo marciapiedi che fossero conformi alla normativa e forniti di
scivoli! Il tavolo è stata un’occasione unica, altrimenti tutto sarebbe rimasto
velleitario e privo di senso: come si può dire che una fermata del bus è
accessibile se non puoi arrivarci?

Chi si occuperà della mappatura delle barriere architettoniche?

I volontari formati dai tecnici dell’ufficio tecnico circoscrizionale. Un
piccolo esercito fatto di scout, giovani e pensionati, pronti a segnalare il
cartello che impedisce il transito della mamma con il passeggino, la ghiaia che
rappresenta uno stop per la sedia a rotelle, ecc.

Sulla base di quali criteri i volontari effettueranno le segnalazioni?

Il tavolo ha lavorato duramente per creare delle schede di facile comprensione
per i volontari “profani” e non necessariamente in possesso di un diploma da
geometri! Queste schede, già testate da un gruppo di cittadini, riproducono ogni
singolo incrocio del quartiere e sono state realizzate in modo da poter rilevare
ogni informazione inerente allo stato dell’incrocio e alle barriere. Ad esempio,
se c’è o meno lo scivolo, se la pendenza è a norma e quindi una persona in
carrozzina può accedervi da sola, se ci sono buche, se c’è il loges che permette
ai non vedenti di comprendere la presenza di un attraversamento, se il materiale
che caratterizza lo scivolo è a norma o se invece al posto del cemento c’è il
porfido che impedisce ai diversamente abili di transitare in autonomia, se ci
sono bidoni della raccolta differenziata a ridosso degli incroci, se i cestini
della spazzatura sono a portata di carrozzina e di bambino o se invece, come
spesso accade, sono a portata di “giocatore di pallacanestro”. Abbiamo creato
anche una scheda specifica per i parchi e le aree giochi della città. Nessuno ci
pensa, ma i diversamente abili non hanno forse il diritto di recarsi in un’area
verde? E invece nei parchi spesso manca un accesso all’area giochi oppure gli
arredi urbani non sono a norma. Faccio alcuni esempi: i tavoli sono posizionati
in modo tale da non consentire alle carrozzine di avere spazio sufficiente e
così i diversamenti abili non possono sedersi con gli altri per fare un pic-nic
o una partita a carte, le panchine all’ombra sono spesso posizionate in mezzo al
prato senza alcuna possibilità di accesso, ecc.



In futuro, il progetto sarà esteso alle altre circoscrizioni del Comune di
Torino?

Questo è l’obiettivo! Il nostro sogno è quello di abbattere tutte le barriere,
contagiare la città, la regione, il paese, il mondo. Abbiamo gettato il sasso in
una pozza e adesso vogliamo vedere attorno al sasso dei cerchi concentrici
sempre più larghi! Certo, siamo consapevoli del fatto che rendere tutto a norma
è molto costoso, ma l’esperienza del tavolo ci ha anche insegnato che spesso
bastano piccoli accorgimenti per rendere un luogo accessibile, ovvero un maggior
coordinamento tra i diversi settori e il saper lavorare in maniera efficiente,
sfruttando al meglio le risorse disponibili.

Perché oggi, per un’amministrazione comunale, l’abbattimento delle barriere
architettoniche è più un costo che una risorsa?

Forse è sempre stato così per una motivazione poco “nobile”: i diversamente
abili non hanno mai rappresentato un “potere forte”, dunque perché ascoltarli?
Ma, fortunatamente, la trasformazione è in atto e questo grazie all’impegno e
alla fortissima determinazione di chi non si fa – scusate il gioco di parole –
abbattere mai! Ed è proprio grazie alle “pressioni” provenienti dal basso, da
chi vive in condizioni di difficoltà di accesso, che le amministrazioni
pubbliche, nonostante le difficoltà economiche del momento, stanno affinando la
loro sensibilità rispetto al tema.

Un suo appello per reclutare nuovi volontari

Uniamo le forze! Contribuiamo a rendere accessibile il nostro quartiere perché
abbattendo le barriere architettoniche possiamo abbattere quelle mentali!
Contattateci ai numeri 011 4435271 – 011 4435250 – 011 4435252 oppure scrivete a
informa2@comune. torino.it per avere maggiori informazioni. Ognuno può
collaborare in base alla propria disponibilità, anche solo per un giorno, ma più
siamo più in fretta mappiamo!


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DUE SEMPLICI STORIE DI SPORT…

Pubblicato il 25 aprile 2013 da eneri83

In questi giorni ho incontrato due storie opposte ma con in comune il fattore
“sport”.



La prima riguarda Matt Hampson, un rugbysta di soli 27 anni che durante un
allenamento, 7 anni fa, ha subito una frattura alle vertebre cervicali che gli
hanno causato una perdita nell’uso degli arti. Hampson, in un articolo al Daily
Mail ha raccontato che per consolare il padre, durante il ricovero, gli disse
pur non credendoci: “Questo potrà far di me una persona migliore” Ma ora,
guardandosi indietro, pensa che davvero questo l’abbia reso una persona migliore
e riesce anche a scherzarci sopra “Ho dovuto rompermi il collo per iniziare a
usare il cervello”. Hampson ha fondato un’associazione che raccoglie fondi da
destinare ad altri atleti che abbiamo subito incidenti altrettanto gravi
www.matthampson.co.uk.

Circa un anno fa avevo duramente contestato il termine “diversamente abile” in
quanto, a mio parere falso e teso solo a far sembrare positiva una situazione,
quella dell’handicap, che di positivo ha ben poco. Ma Anthony Bagliano, la
seconda storia, mi dimostra che in alcuni casi la diversa abilità c’è o si
sviluppa. Diciannovenne, calciatore della selezione americana di football e uno
dei migliori calciatori under 20 degli States, Anthony è affetto dalla sindrome
di Holt Oram, che causa gravissimi deficit cardiaci e una quasi totale assenza
delle braccia. Non per questo ha rinunciato a praticare uno degli sport più
fisici, visto che i suoi piedi sanno calciare alla perfezione e il ragazzo è
dotato di un equilibrio straordinario. In un’intervista rilasciata a Giovanni
Marino per
Repubblica http://marino.blogautore.repubblica.it/2013/04/09/la-forza-di-anthony-il-kicker-senza-braccia-che-prende-a-calci-la-sfortuna/
dichiara “Ovviamente so bene che non sono come gli altri, ma riesco ugualmente a
fare tutto perchè anche i disabili possono raggiungere gli obiettivi che si
prefiggono”. E capisci la sua forza quando ti racconta che sulla maglia porta il
numero 2 “Perchè mi ricorda che, se non lavoro ogni giorno duramente, sarò
sempre il numero 2″.



Anche lui è impegnato nel sociale con l’associazione Kicking for a Cure, che
raccoglie fondi per la ricerca sul cancro, malattia che ha colpito il padre di
Anthony Bagliano http://www.kickingforacure.org/



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INTERVISTA A MARTINA CAIRONI

Pubblicato il 2 aprile 2013 da silviabuttini

2 Novembre 2007: un’auto pirata travolge la moto di Martina Caironi. Martina
sopravvive ma subisce l’amputazione alto-femorale della gamba sinistra. In
questa intervista, l’atleta bergamasca ci racconta come ha trovato la forza di
ricominciare dopo l’incidente e come è arrivata a vincere l’oro nei 100 metri
T42 alle Paralimpiadi di Londra 2012. 

 

Martina, ripensi mai al giorno dell’incidente?

Ormai mi capita raramente di ripensare a quel giorno, magari mi succede in
occasione degli anniversari del mio incidente o quando vedo per strada quelli
che guidano come pazzi.

Come e dove hai trovato la forza di ricominciare?

La forza l’ho trovata dentro di me, grazie alle persone che mi sono state
accanto (i miei, i miei amici…) e mi han fatto sentire il loro amore, il loro
affetto. In quei momenti non sentirsi soli è fondamentale. Come lo è capire che
non è un pezzo in meno del tuo corpo a renderti meno importante o bella, e che,
se ci pensi un attimo, una volta guarita, è lo spirito, l’umorismo, il sorriso
che ti permettono di star bene.

Quanto ti ha aiutata la passione per lo sport dopo l’incidente?

La passione per lo sport che non era l’atletica è stata prima una pugnalata al
cuore, poi una rampa di lancio. Inizialmente non riuscivo ad accettare con
serenità di non poter più fare pallavolo, mi mancava e non riuscivo ad andare a
vedere le partite delle mie ex compagne; avrei tanto voluto riprendermi la mia
agilità ma non potevo. Poi ho scoperto che avrei potuto riprendermi un altro
tipo di abilità, con uno strumento, con una protesi. Pian piano mi son cimentata
nella corsa e dopo un anno mi è nata quella passione che mi ha portata fin qui.

Che cosa ti ha spinta a provare a correre?

Mi ha spinta il desiderio di provare a misurarmi con qualcosa di nuovo, la
curiosità di conoscere un territorio così inesplorato, la voglia di sudare e
sentire il vento in faccia che rinfresca, la necessità di sentirmi ancora capace
di qualcosa di così importante come la corsa, che impari già da quando sei così
piccolo.

Chi sono Berta e Cheeta? Due nomi curiosi, tra l’altro….

Sono le mie due protesi, la prima è quella per camminare, simpaticamente
rinominata dalle mie amiche il primo anno che ne ho avuta una, così, per
sdrammatizzare e farsela “amica”. Cheeta è un nome che ho preso dalle protesi di
Pistorius, in quanto si chiamano proprio così nel termine tecnico (letteralmente
si tratta di una specie di ghepardo che va velocissimo appunto), ma dato che ne
sto cambiando una dietro l’altra non saprei più come chiamarla… ci penserò…

Che cosa hai provato la prima volta che le ha indossate?

La prima volta che ho provato quella per camminare mi son sentita sospesa, come
in balìa di un qualcosa di cui avrei dovuto imparare a fidarmi, poi dopo poco
già la cosa funzionava.

Con quella da corsa la questione era più tosta perchè non solo dovevo fidarmi di
un ginocchio e di un piede diversi, ma dovevo imparare a farlo ad “alta”
velocità, dove uno sbaglio ti fa cadere praticamente subito.

Berta e Cheeta ti hanno portata alle Paralimpiadi. Quanto è stato difficile il
cammino?

Il cammino è stato sì difficile ma anche piacevole ora che ci ripenso, perché ho
alternato nella mia vita varie attività che mi hanno fatto sentire meno il
“peso” di avere una disabilità, anzi diciamo che ho integrato questa mia nuova
condizione nella mia vita a tal punto da rendere tutto naturale. La prima fase è
infatti l’accettazione, e appena l’ho capito ho cercato di lavorarci sopra. La
mia gamba non me l’avrebbe restituita mai nessuno quindi l’unica cosa da fare
era costruire sopra quello “rimasto”, e comunque con tutte le tecnologie di cui
ho potuto usufruire e di cui usufruirò in futuro devo dire di potermi
assolutamente lamentare.



E lungo questo percorso, ti sei mai sentita discriminata o vittima di
pregiudizi?

Ho avuto gli occhi addosso in varie occasioni, ho sentito i mormorii di chi
diceva “guarda quella” o cose così, ma dopo i primi tempi mi son fatta forza e
ho imparato a sorridere di fronte a chi non vuole vedere la PERSONA ma il
DISABILE, non sanno cosa si perdono. Nella diversità c’è la ricchezza.

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caironi, Paralimpiadi 2012, sport | 2 commenti


INTERVISTA A FRANCO BOMPREZZI

Pubblicato il 13 febbraio 2013 da silviabuttini

Intervista a Franco Bomprezzi, giornalista per il Corriere della Sera (scrive
sul blog “InVisibili“) e per il magazine non profit “Vita”. Portavoce di Ledha,
la Lega per i diritti delle persone con disabilità, Bomprezzi è anche direttore
responsabile del portale Superando.it 





 

Ad Aprile dello scorso anno, aveva rinunciato all’incarico di consulente del
Comune di Milano sui temi della disabilità. Perché adesso ha deciso di
candidarsi?

Avevo rinunciato perché il mio ruolo di consulente esterno non consentiva, nel
concreto, una piena assunzione di responsabilità a tutto campo, sui temi che mi
stanno a cuore. La macchina amministrativa è complessa e richiede tempo pieno,
un mandato preciso, una strumentazione adeguata all’incarico. Non c’erano e non
ci sono ragioni di dissenso rispetto all’operato dell’amministrazione milanese.
Tanto che adesso, in realtà, sono spesso impegnato in campagna elettorale
proprio assieme all’assessore al welfare, Pierfrancesco Majorino. La rinuncia è
stata un atto di responsabilità, così come adesso la candidatura per il
consiglio Regionale appartiene alla medesima logica: se sarò eletto potrò a
tutti gli effetti svolgere un ruolo istituzionale chiaro e autorevole, forte del
consenso dei cittadini. E lo farò molto volentieri.

Quali dovrebbero essere le priorità del prossimo governo nel welfare?

Rimettere ordine nella spesa sociale, distinguendo correttamente gli interventi
per le persone non autosufficienti in quanto in età avanzata (gli anziani) dagli
interventi in favore delle persone con disabilità. Si tratta di due situazioni
che solo negli effetti pratici, a volte, coincidono, ma che in realtà implicano
scelte diverse, sia in termini di politica della salute, che di investimento sul
progetto di vita personale. Il fondo per la non autosufficienza, ad esempio, non
deve essere legato a una patologia, ma a una condizione della persona,
indipendentemente dalla patologia. In questo senso occorrono finanziamenti più
consistenti, riprendendo quanto era stato fatto dai governi di centrosinistra,
prima che venisse completamente smantellato il sostegno al fondo sociale e al
fondo per la non autosufficienza. Una demolizione sistematica iniziata con
Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti e continuata con Mario Monti.

Sul tema dell’integrazione e dei diritti qual è la situazione nel nostro Paese?

Abbiamo una legislazione eccellente, invidiata nel mondo, specie per quanto
riguarda l’inclusione scolastica, ma anche per il lavoro. Solo che le leggi non
funzionano, e stiamo assistendo a un sostanziale arretramento rispetto a quanto
avevamo faticosamente ottenuto anni fa. L’approvazione della Convenzione Onu,
per quanto importante dal punto di vista simbolico e istituzionale, non si è
ancora tradotta in iniziative coerenti e concrete di controllo della qualità e
della appropriatezza degli interventi normativi.

Quando e dove è più difficile la vita di un disabile in Italia?

La vita di una persona con disabilità è più difficile oggi per il semplice
motivo che è difficile per tutti, per i giovani, per gli adulti in cerca di
lavoro, per gli anziani alle prese con una crescente povertà. Nella condizione
di disabilità però si aggiungono enormi sperequazioni territoriali, nel nostro
Paese. Non è la stessa cosa vivere in Lombardia piuttosto che in Calabria, in
una grande città come Milano piuttosto che in paesino di montagna. E’ difficile
in queste condizioni garantire i famosi “livelli essenziali” che la
Costituzione, anche riformata in senso federalista, prevede come omogenei su
tutto il territorio nazionale. Non a caso dei Liveas e dei Lea si parla senza
metterli concretamente in azione.

Inclusione sociale lontana e ancora tanti tabù legati alla disabilità

Certo, anche se io preferirei si avesse uno sguardo lungo, con una memoria
storica più attenta. Non siamo sempre all’anno zero. Ora abbiamo bisogno di
riprendere in mano il presente e un’idea di futuro, ma alle spalle abbiamo molte
battaglie vinte, molti traguardi raggiunti. Il tabù fondamentale è rappresentato
dallo stigma sociale, dal pregiudizio che si accompagna alla disabilità, sia
fisica che sensoriale o ancor più intellettiva e relazionale. C’è ancora troppa
ignoranza, che genera diffidenza oppure pietismo e solidarietà generica, non
processi di inclusione alla pari, che consentirebbero di affiancare ai diritti
anche un bel pacchetto di doveri, come cittadini a tutto tondo.



È solo un problema di leggi o si avverte la mancanza di una cultura educativa?

L’ho appena detto. C’è bisogno di ribaltare la cultura sottosopra. Il modello
imperante è quello dell’estetica, dell’efficienza, della prestazione, della
velocità, del primeggiare, non del partecipare. C’è tantissimo da fare e
occorrono alleanze con altri mondi, non possiamo rimanere nella nostra nicchia,
alquanto protettiva, ma a volte incapace di fornirci strumenti di difesa
adeguati.

Un esempio concreto di come le nuove tecnologie potrebbero accelerare
l’integrazione.

La diffusione di strumenti smart di comunicazione è fondamentale per consentire
un uso condiviso delle tecnologie da parte di persone con disabilità e di
persone senza handicap. Lo smisurato mondo delle app, ad esempio, ha margini di
sviluppo enormi e in larga misura inesplorati. Le tecnologie assistive
tradizionali hanno bisogno forse di un ripensamento, e di prevedere per tempo
l’impatto di nuovi strumenti immateriali di comunicazione e di produzione di
beni e di servizi per tutti.

Lei è giornalista. L’atteggiamento dei mass media nei confronti della disabilità
è cambiato nel tempo?

Sì, è cambiato, e non poco. Ma ancora non basta. C’è sempre un atteggiamento che
ci separa dal fiume dell’informazione generalista. Il cosiddetto
“mainstreaming”, di cui tanti si parla nei convegni, nella realtà ancora non si
vede se non a tratti. Credo che la mia esperienza di blogger del Corriere della
Sera e di Vita sia tuttora uno dei pochi esempi concreti di giornalismo non di
settore, e i frutti si vedono, ma io vorrei che ci fossero molti altri colleghi,
più giovani e più bravi di me, a dimostrare che si può fare ottima informazione
anche in presenza di una disabilità, o semplicemente occupandosene con
competenza e professionalità.

Dove e come, invece, si parla di disabilità in rete?

In rete la disabilità si sta affrancando dall’isolamento anche se ho la
sensazione (spero di sbagliarmi) che nel grande mare del web si rimanga comunque
ancorati alla nicchia di settore, o iperspecialistica, oppure di community
esclusiva, con la conseguenza che il mondo dei cosiddetti “normali” anche in
Rete fa fatica a incrociare i nostri sguardi, le nostre persone, le nostre idee.

Proprio in rete è stata lanciata una petizione per consentire alle persone con
disabilità di avere una vita relazionale completa. Cosa ne pensa? 

Non posso che condividere l’idea e lo spirito di questa petizione, anche se si
tratta di un campo nel quale difficilmente si possono trovare soluzioni idonee
per tutti. Imporre l’amore è impossibile, mentre una piena sessualità è
realizzabile a patto che ci siano le condizioni ideali e non soltanto una
normativa di legge. Nel mezzo ci sono tutte le sfumature delle nostre vite,
delle nostre speranze, ma anche delle nostre delusioni. La ragionevolezza,
criterio seguito ad esempio negli Usa in tutta la legislazione sulla disabilità,
ci dovrebbe consigliare di approfondire attentamente questo argomento per
arrivare a soluzioni praticabili senza traumi e senza rischi eccessivi per
l’equilibrio, anche psicologico, delle persone più fragili.


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BUON ANNO!!!

Pubblicato il 1 gennaio 2013 da stefaniaschiavi

Liberi di Muoversi augura a tutti…. Buon Anno!!!


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LIBERI DI MUOVERSI …IN PASSERELLA

Pubblicato il 27 dicembre 2012 da stefaniaschiavi

Liberi di muoversi …in passerella

Liberi di muoversi ?  … da oggi anche in passerella e non solo …

L’hotel  Sheraton di Roma   è stato scenario di una suggestiva e particolare
passerella “Modelle e rotelle” : una sfilata che ha visto indossatrici disabili 
e non .

Ottocento gli spettatori  tra  rappresentanti della fondazione Vertical
,organizzatrice della sfilata, sponsor, istituzioni e personalità illustri del
mondo della ricerca e della cultura, che il primo dicembre hanno assistito alla
sfilata “unica nel suo genere”ma che ha messo in risalto  un assunto
importantissimo :  “la bellezza va considerata secondo diverse prospettive”.

Nel corso della serata sono state  elette anche  le Miss Vertical  una di queste
in carrozzina; le vincitrici  hanno ricevuto in premio una minicrociera nel
Mediterraneo  a bordo  di una nave MSC: ovviamente le cabine assegnate saranno
“cabine accessibili” da persone con ridotta mobilità visto che da anni le navi
da crociera MSC  garantiscono agli ospiti disabili  vacanze cinque stelle!

Alla base di un così particolare e , ancor oggi , insolito evento  , il progetto
della Fondazione Vertical    cui obiettivo primario  è quello di promuovere
campagne di sensibilizzazione   a favore  delle persone disabili, della ricerca
scientifica, del volontariato per migliorare la qualità della vita  di tutti.

Liberi di muoversi  -Liberi di essere- Liberi di poter essere- Liberi  di
fare!!!

Di Stefania Schiavi


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