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Il 18 gennaio 1994 a Roma, nel giro di poche ore e di 500 metri, si chiuse -
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LUNEDÌ 4 SETTEMBRE 2023


SUPPLETIVE MONZA, RITOCCO AL SIMBOLO DI CATENO DE LUCA (SUD CON NORD)


La scomparsa di Silvio Berlusconi, lo scorso 12 giugno, ha generato profluvi di
dichiarazioni, analisi e riflessioni (dalle quali questo sito si è scientemente
astenuto). Tra i primi pensieri di chi appartiene alla singolar schiera dei
#drogatidipolitica, tuttavia, se n'è affacciato uno in particolare, non cinico
ma oggettivo: la morte di Berlusconi avrebbe creato le condizioni per le prime
elezioni suppletive di questa XIX legislatura. Poiché l'ex Presidente del
Consiglio era stato eletto in Senato nel collegio uninominale n. 6 - quello di
Monza-Brianza - nel giro di qualche mese si sarebbe tornati alle urne per
eleggere un nuovo membro dell'aula di Palazzo Madama.
Fissate le elezioni suppletive per il 22 e il 23 ottobre, lo scorso 26 luglio
era stato il vicepresidente del consiglio - e futuro segretario di Forza Italia,
in quel momento coordinatore - Antonio Tajani a indicare il nome del candidato
forzista e, presumibilmente, dell'intero centrodestra: Adriano Galliani, già
senatore di Forza Italia nella XVIII legislatura, nonché dal 2018 amministratore
delegato del Monza di proprietà Fininvest (dopo aver ricoperto per più di
trent'anni la stessa carica nel Milan berlusconiano). Tre giorni dopo, il 29
luglio, aveva proposto la propria candidatura Marco Cappato, tesoriere
dell'Associazione Luca Coscioni e co-presidente di Eumans!: lui stesso -
incassato l'apprezzamento di Azione, +Europa e Alleanza Verdi e Sinistra - ,
ancora pochi giorni fa ha chiesto il sostegno di Partito democratico e MoVimento
5 Stelle.
Il 21 agosto anche Democrazia sovrana popolare ha annunciato di voler
partecipare alle suppletive brianzole con Daniele Giovanardi, medico già
direttore del pronto soccorso del policlinico di Modena: si tratterebbe della
prima uscita del simbolo in una competizione di livello parlamentare (pur se
ovviamente circoscritta a un territorio limitato). Già dall'inizio di agosto,
tuttavia, la sfida si era arricchita di un altro potenziale concorrente, che
ha attirato presto l'attenzione dei media: Cateno De Luca. L'attuale sindaco di
Taormina - dopo esserlo stato di Messina e, prima ancora, di Santa Teresa di
Riva e, all'inizio, della sua Fiumedinisi - si è detto tentato dalla campagna
elettorale per affrontare temi non più di respiro locale, ma relativi "al
governo dell'Italia", sottolineando di non sentirsi "da meno degli altri"
(rivendicando anzi una "competenza senza confini").

Merita particolare attenzione il contrassegno con cui De Luca intende
distinguere la propria candidatura. Si tratta, con tutta evidenza, di una
variante del simbolo dell'ultima forza politica da lui creata, vale a dire Sud
chiama Nord. Se la grafica è identica (fondo in prevalenza giallo con scritte
nere e rosse, fascetta rossa obliqua e segmento bianco), il nome messo in
evidenza è leggermente, ma significativamente diverso; non più "Sud chiama
Nord", infatti, ma "Sud con Nord", con al di sotto il riferimento al candidato
stesso (là dove il simbolo ufficiale ospita la frase "per le autonomie"). 
Posto che la riconoscibilità dell'emblema non è certo messa in dubbio - visto
che addirittura la freccia all'interno della "D" di "Sud" è stata conservata -
la modifica pare fondarsi su ragioni di opportunità: è vero che lo statuto di
Sud chiama Nord recita all'art. 3, comma 2 che "il Partito, ispirandosi ai
principi autonomistici e federativi dei territori, vuole definire ed attuare un
concreto 'patto di solidarietà Sud Nord' con un nuovo quadro di politiche
europee finalizzate ad eliminare le sperequazioni sociali economiche ed
infrastrutturali tra il meridione ed il resto dei territori europei che non
rendono competitivo il 'Sistema Italia'", ma nel momento in cui si va in un
collegio del Nord a cercare voti, forse è più efficace uno slogan che inviti
all'azione comune, piuttosto che uno in cui sembra prevalere la richiesta di
interventi e investimenti al Sud (per portarlo allo stesso livello del Nord e
renderlo competitivo). Resta vero che - come ricordato da De Luca a Monica
Guerzoni del Corriere della Sera, all'indomani della sua proposta di
candidatura, "Molti sottovalutano che in quel collegio il 50% degli elettori è
meridionale"; spegnere un po' i toni del simbolo - insegna principale della
campagna elettorale - per farli apparire meno agguerriti e
"bellicosi", anche agli occhi dei monzesi-brianzoli, poteva però essere utile.

Non è la prima volta, del resto, che il simbolo del più recente progetto di De
Luca muta in sede elettorale. Superata la prima versione del simbolo
(quella ancora condivisa con Dino Giarrusso, di fatto mai finita sulle schede e
presentata solo da Giarrusso al Viminale lo scorso anno, emblema poi non
ammesso), il nome era finito in posizione recessiva - sulla fascetta rossa - per
dare più spazio allo slogan scelto per le elezioni politiche ("De Luca sindaco
d'Italia") e per quelle regionali ("De Luca sindaco di Sicilia"). In seguito,
come si è visto, il nome della forza politica - dal 24 novembre dello scorso
anno ufficialmente inserita nel Registro dei partiti - è stato posto in primo
piano su sfondo giallo (recuperando la freccina nella prima "D"), ma la fascia
rossa è rimasta, stavolta per contenere il nome della città in cui la lista si
presentava, il riferimento al candidato sindaco o allo stesso De Luca (anche
quando non era lui a proporsi: è accaduto alle elezioni comunali di quest'anno a
Siracusa).
In qualche modo, le elezioni suppletive senatoriali di Monza costituiscono una
prima volta per Cateno De Luca (il cui percorso è stato narrato di recente da
Tommaso Labate sul Corriere). In tutte le elezioni precedenti, infatti, si era
sempre presentato all'interno di una lista o comunque con il sostegno di almeno
una forza politica: era accaduto con la Dc (con cui era stato eletto consigliere
comunale a Fiumedinisi) e con il Ccd nel quale ha militato, con le liste civiche
con cui si è proposto come aspirante sindaco dal 1998 in avanti; è accaduto con
il Partito Democratico Cristiano di cui lui è stato nel 2003 vicepresidente
nazionale (mentre presidente nazionale del partito, dopo la morte del fondatore
Flaminio Piccoli, era Clelio Darida); è accaduto con il Movimento per
l'autonomia (con cui è stato eletto deputato dell'Ars nel 2006 e nel 2008) e con
Sicilia Vera (con cui è stato eletto sindaco di Santa Teresa di Riva nel 2012 e
di nuovo deputato regionale nel 2017, nella lista presentata con l'Udc). Questa
volta, invece, S-Cateno De Luca si presenterà da solo, con l'appoggio evidente
del suo partito ma ufficialmente sostenuto soltanto dalle sottoscrizioni delle
elettrici e degli elettori che vorranno appoggiare la sua candidatura. 
Sud chiama Nord, infatti, non rientra tra le forze politiche cui spetti
l'esenzione dalla raccolta firme: aver centrato l'elezione di un deputato e di
una senatrice (risultato non da poco) sarebbe sufficiente per correre senza
sottoscrizioni alle elezioni europee - ovviamente se non cambiano le norme
vigenti - ma non alle elezioni politiche (anche suppletive) di questa
legislatura. Le persone elette, infatti, non sono sufficienti per costituire un
gruppo parlamentare, mentre l'articolo 18-bis del testo unico per l'elezione
della Camera richiede il gruppo in entrambe le aule parlamentari dall'inizio
della legislatura (oppure che la forza politica che ha eletto un deputato o un
senatore sia rappresentativa di una minoranza linguistica e di certo non è
questo il caso). Per i partiti che non godono dell'esenzione, quindi, è il
candidato stesso a firmare la propria dichiarazione di presentazione di
candidatura.
In base alle disposizioni vigenti, la candidatura e il rispettivo contrassegno
(il quale, volendo, riporta il nome di De Luca con un rilievo persino troppo
limitato, per essere ben visibile nella riproduzione da 3 centimetri di
diametro) devono essere sostenuti da un minimo di 300 e un massimo di 600
sottoscrizioni di elettori dei comuni rientranti nel collegi uninominale,
debitamente autenticate. I documenti per le candidature, inclusi i moduli
contenenti le firme di sostegno per chi non è esonerato dalla raccolta, dovranno
essere consegnati tra le ore 8 del 17 settembre e le ore 20 del 18 settembre.
Per ora solo Galliani sembrerebbe esente dall'onere di sottoscrizione; non lo è
di certo De Luca, come non lo è Giovanardi, ma non lo sarà nemmeno Marco Cappato
se non inserirà nel contrassegno di candidatura una "pulce", se non di Azione,
almeno del Pd o del M5S (Alleanza Verdi e Sinistra ha il suo gruppo solo alla
Camera). C'è, in ogni caso, ancora tempo per la raccolta e, magari, anche per
qualche sorpresa.

Pubblicato da Gabriele Maestri alle 11:00 Nessun commento:
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Etichette: cateno de luca, Gabriele Maestri, I simboli della discordia, monza,
per un pugno di simboli, simboli, simboli dei partiti, simboli politici,
simbolo, sud chiama nord, sud con nord, suppletive




MERCOLEDÌ 23 AGOSTO 2023


SIMBOLI MAL DISPOSTI SULLA SCHEDA: A CAMPOBELLO DI LICATA SI RIVOTA



Fin dall'inizio questo sito ha fatto dei simboli dei partiti e dei contrassegni
elettorali il principale tema di analisi, a volte discutendo espressamente di
questo, in altri casi partendo dagli emblemi politico-elettorali per
diffondersi a temi vicini e connessi. Di norma ci si concentra sul contenuto dei
simboli, anche in ambito elettorale, ma se ci si occupa di elezioni talvolta è
importante anche valutare il contesto in cui i contrassegni sono inseriti e, in
particolare, la loro posizione e disposizione. 
La considerazione diventa inevitabile, se si considera il caso che da alcuni
giorni - prima sui media locali, poi su quelli nazionali - sta ponendo sotto i
riflettori il comune di Campobello di Licata, in provincia di Agrigento. Lì il
12 giugno 2022 si sono svolte le elezioni amministrative: com'è noto, in Sicilia
si applicano norme speciali, dettate dal decreto legislativo del presidente
della Regione n. 3/1960 e dalla legge regionale n. 35/1997, più volte modificata
(uno degli interventi più noti è quello apportato nel 2016, che ha previsto la
vittoria al primo turno nei comuni "superiori" per il candidato sindaco che
raccolga almeno il 40%). Il 16 agosto è stata pubblicata la sentenza n. 531/2023
del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana che ha
dichiarato nulle le elezioni comunali dello scorso anno, rendendo dunque
necessario ripetere tutte le operazioni elettorali. La decisione dell'organo di
giustizia amministrativa di secondo grado per la Sicilia, che ha ribaltato la
decisione di primo grado presa dal Tar Palermo lo scorso anno, non è legata a
errori nei conteggi o a candidature indebitamente ammesse o escluse, bensì a un
errore rilevante nella stampa delle schede, in particolare nella disposizione
delle candidature a sindaco e dei relativi contrassegni: si tratta di un fatto
singolare - anche se nemmeno così raro - e anche per questo è il caso
di analizzare meglio i fatti e le decisioni.




I FATTI (PER QUANTO È DATO SAPERE)

In vista delle elezioni amministrative del 12 giugno 2022 relative al comune di
Campobello di Licata - al quale si applica la disciplina dettata per i comuni
fino a 15mila abitanti dettata dalle norme siciliane - si erano presentati
cinque aspiranti sindaci, sostenuti da altrettante liste. L'ordine sui manifesti
e sulle schede è stato determinato ovviamente da sorteggio, previsto dalle norme
in vigore (art. 7, comma 9 l.r. n. 7/1992): si erano così indicati al primo
posto Andrea Mariani (Andrea Mariani sindaco Campobello 2.2), al secondo Antonio
Pitruzzella (Antonio Pitruzzella sindaco - PD e M5S), al terzo Angelo La Greca
(Angelo La Greca sindaco - Fonte di vita aiutalo a crescere insieme), al quarto
Michele Termini (Corri Campobello - Michele Termini sindaco) e al quinto e
ultimo Vito Terrana (Alleanza civica - Vito Terrana sindaco).
Quanto alle schede elettorali, le norme generali sono dettate dall'art. 16 del
d.lgs.P.Reg. n. 3/1960 ("Le schede sono di tipo unico e di identico colore; sono
fornite a cura dell'Assessorato regionale degli enti locali con le
caratteristiche essenziali del modello descritto nelle annesse tabelle a e b,
vistate dall'Assessore per gli enti locali"), mentre i modelli concreti di
scheda sono stabiliti da un apposito decreto assessoriale (n. 86 del 24 marzo
2022 dell'Assessorato alle autonomie locali e della funzione pubblica. 

Il testo dell'allegato I) al decreto così recita: "La scheda è suddivisa in
quattro parti uguali: la parti prima e seconda contengono gli spazi per
riprodurre, verticalmente ed in misura omogenea, il rettangolo contenente il
nominativo del candidato alla carica di sindaco, con accanto il contrassegno
della lista. / Sulla destra sono stampate accanto a ciascun contrassegno due
righe per l’espressione di due preferenze per due candidati alla carica di
consigliere comunale della lista votata. / [...] Le parti terza e quarta vengono
utilizzate secondo gli stessi criteri previsti per le parti prima e seconda, in
modo da comprendere un numero complessivo di otto contrassegni. / Quando i
contrassegni da inserire sono da 9 a 10, gli spazi vengono ridotti in modo che
ciascuna parte ne contenga 5, ad iniziare dalle parti prima e seconda”. Il
modello di scheda per i comuni inferiori è indicato dalla tabella A (riportata
qui a fianco) e, come si può vedere, riporta fino a quattro candidature
"impilate" in verticale.

Fac simile diffuso dalla lista Pitruzzella sindaco

Sulla base delle indicazioni del decreto assessoriale n. 86/2022, dunque, i
primi quattro candidati sindaci (con relativi contrassegni), quindi da Mariani a
Termini, dovevano essere "impilati" in verticale nella parte prima-seconda
(quindi nella parte sinistra), mentre il quinto aspirante primo cittadino,
Terrana (anche lui con il suo contrassegno di lista) doveva trovarsi subito a
destra, nell'area superiore della terza-quarta parte. Proprio così, infatti,
sono stati concepiti i fac simile di scheda prodotti e diffusi dai singoli
candidati durante le quattro settimane di campagna elettorale.

Fac simile della vera scheda sbagliata (dal manifesto)

Il 12 giugno 2022, invece, a urne ormai aperte, è emerso che la Prefettura di
Agrigento aveva fatto stampare le schede secondo un modello organizzato
diversamente: come si legge nella sentenza emessa dal Tar l'anno scorso, "tutti
e cinque gli spazi (sindaco e lista) erano riportati in successione nel solo
lato sinistro. Di tal ché gli elettori, i quali erano convinti di trovare -in
base al facsimile riprodotto nei volantini delle varie formazioni distribuiti
durante la campagna elettorale - nell’ultimo rigo a sinistra la predisposizione
per votare il candidato sindaco Michele Termini e la lista al medesimo collegata
'Corri Campobello', hanno trovato invece il candido sindaco Vito Terrana e la
lista 'Alleanza civica'". Il risultato finale ha visto prevalere Antonio
Pitruzzella con 1452 voti (25,57%), a una distanza minima da Vito Terrana (1434
voti, 25,26%) e Michele Termini (1414, 24,9%), mentre il distacco era maggiore
rispetto ad Andrea Mariani (1115 voti, 19,64%) e Angelo La Greca (263 voti,
4,63%).
Subito dopo la fine dello scrutinio, peraltro, in un filmato Termini - futuro
aspirante senatore per Italia viva - aveva preannunciato un ricorso al Tar
"sulla distribuzione dei singoli voti, perché ci sono state molte irregolarità",
riferendosi a quanto era avvenuto presso i seggi. Il 12 luglio 2022, in effetti,
due cittadini elettori (vicini a Termini) hanno presentato ricorso al Tar di
Palermo, puntando però il dito non tanto sulle operazioni di scrutinio
e attribuzione dei voti, quanto piuttosto sulla stampa delle schede. In
particolare, il ricorso era configurato come atto a tutela "dell’interesse
pubblico generale al corretto svolgimento del procedimento elettorale",
ritenendo che le schede "non conformi allo schema" previsto dalle norme non
potessero riportare voti validi ("Sono nulli i voti contenuti in schede [...]
che non sono quelle prescritte dall'art. 16", anche se probabilmente il
legislatore si riferiva a schede "anomale" anche perché prodotte da stampatori
diversi da quelli ufficiali) e che l'errore di stampa avesse "influenzato
l'espressione di voto del corpo elettorale determinando uno sfasamento con la
sua effettiva volontà". Elettrici ed elettori, insomma, sarebbero stati
disorientati e ciò emergerebbe dalle 91 schede votate nelle quali - come
verbalizzato in sede di scrutinio dai rappresentanti della lista 4, che doveva
trovarsi "in basso a sinistra" mentre si è trovata in altra posizione - erano
stati indicati voti di preferenza per candidati al consiglio comunale accanto a
una lista diversa dalla loro.




LE DECISIONI CONTRASTANTI DEI GIUDICI 

Nella sentenza di primo grado - pubblicata il 5 ottobre dello scorso anno - il
Tar Palermo aveva innanzitutto confermato che ogni cittadino elettore poteva
impugnare l'esito del voto amministrativo e la proclamazione degli eletti, "a
tutela dell'interesse generale alla libera e corretta espressione del voto,
proprio dell'intero corpo elettorale": non occorreva dunque - come invece
sosteneva il comune di Campobello di Licata - che i ricorrenti agissero a tutela
di un proprio interesse personale o prospettassero di avere espresso in modo
errato il loro voto proprio a causa della scheda stampata in quel modo.
Nonostante questo, il ricorso era stato respinto (con tanto di condanna a pagare
le spese processuali del comune).
Per i giudici amministrative di prime cure, da un lato, le norme sulla validità
o nullità dei voti riguardavano il destino del singolo voto espresso sulla base
del comportamento del rispettivo elettore (dunque alla possibilità di far
emergere l'effettiva volontà della persona che vota e all'eventuale presenza di
comportamenti volti deliberatamente a far riconoscere il voto o ad alterarne la
genuinità, cosa che avviene per esempio usando schede diverse da quelle
"ufficiali", perché prodotte da altri soggetti e, in quanto tali, di provenienza
"non [...] certificata dal visto assessorile"); non era invece prevista
espressamente la nullità di tutti i voti espressi su schede "ufficiali" (oltre
che correttamente bollate e vidimate) ma non rispettose dei decreti assessoriali
sul piano grafico. In mancanza di una previsione apertis verbis di un'eccezione
tanto rilevante al principio di conservazione del voto, per il collegio non era
giusto dare spazio a "una così grave e generalizzata ipotesi di nullità,
comportante la radicale invalidità non di singole espressioni di voto bensì la
caducazione dell’intera elezione" (secondo il principio per cui le norme
eccezionali non si possono applicare a casi analoghi non tipizzati).
Dall'altro lato, i giudici avevano richiamato il principio generale in materia
elettorale in base al quale "tra le molteplici e possibili irregolarità sono
rilevanti solamente quelle sostanziali, ovvero quelle che possano influire sulla
sincerità e sulla libertà di voto, atteso che la nullità delle operazioni di
voto può essere ravvisata solo quando sia stato impedito il raggiungimento dello
scopo al quale l'atto è preordinato" (così si leggeva, per esempio, in Consiglio
di Stato, sez. II, sent. n. 984/2022). Per loro, però, non si poteva "sostenere
seriamente che l'elettore chiamato ad esprimere il proprio voto indichi la
propria scelta inconsapevolmente e meccanicamente - come fosse un automa - solo
sulla scorta della posizione del simbolo della lista o del nominativo del
candidato sindaco (chiaramente distinguibili dalle altre liste e dagli altri
candidati) nella scheda elettorale". Non c'erano nemmeno, per il collegio,
indizi sufficienti a sostenere che la diversa "organizzazione" della scheda
avesse influito sulla genuina espressione dei voti: i 91 casi di preferenze
abbinate in modo sbagliato (su un totale di 5806 votanti) sarebbero stati
relativamente pochi e, comunque, non per forza legati senza dubbi all'errore
nella progettazione della scheda (ma magari "alla volontà, possibile, di
esprimere un voto disgiunto", pur se non contemplato in quel sistema
elettorale).
Evidentemente insoddisfatto dall'esito della sentenza di primo grado, il 24
novembre 2022 (poco dopo la notifica della pronuncia) uno dei due ricorrenti ha
scelto di impugnare la decisione del Tar presso il Consiglio di
giustizia amministrativa. Secondo la sua difesa, infatti, la scelta della
Prefettura di Agrigento di apporre il "visto si stampi" su una bozza di scheda
difforme dal "modello legale" predisposto dall'assessorato competente (e che,
come tale, non avrebbe presentato "le caratteristiche essenziali atte a
garantire la regolarità del procedimento elettorale e la corretta e genuina
formazione ed espressione della volontà del corpo elettorale") avrebbe
compromesso il diritto di voto dell'intero corpo elettorale, a causa di "una
inammissibile deviazione delle tassative prescrizioni in materia di composizione
e stampa della scheda elettorale".
Benché il comune abbia ripetuto le sue tesi sul merito già accolte dal Tar,
l'organo di secondo grado ha deciso di accogliere il ricorso: se nessuno ha
contestato il fatto che il 6 giugno 2022 (meno di una settimana prima del voto)
la Prefettura avesse dato il "visto si stampi" - per poi far distribuire ai
seggi di Campobello - a una scheda elettorale "che si è discostata parzialmente
– ma, certamente, in modo che non può considerarsi irrilevante – dalle
“caratteristiche essenziali” del modello di scheda di votazione fissato" col
decreto assessoriale n. 86/2022, il collegio di seconde cure non ha condiviso le
conclusioni del Tar né sul piano formale né su quello sostanziale. In primo
luogo, per i giudici non si può superare il dato letterale della disposizione
(dettata come eccezione rispetto al principio di conservazione della volontà
dell'elettore) "sono nulli i voti contenuti in schede [...] che non sono quelle
prescritte dall'art. 16” del d.lgs.P.Reg. n. 3/1960: il testo sicuramente si
riferisce a una scheda "non ufficiale" (o "materialmente falsa, ossia 'stampata
in proprio'"), ma l'espressione non può non comprendere anche l'ipotesi
(improbabile e imprevedibile, ma che qui è accaduta) di una scheda fornita dalla
Prefettura ma "stampata in modo essenzialmente difforme da come prescritto". I
voti espressi su tali schede, quindi, sarebbero da considerare - sia per le
parole usate, sia secondo un ragionamento logico, sia in base ai fini di tutela
della genuinità del voto - ugualmente nulli, anche se in quel caso non ci
sarebbe alcuna responsabilità dell'elettore (che, anzi, sarebbe la vittima).
Per il collegio non occorre fare altre verifiche e da queste considerazioni
discende direttamente la necessità di annullare e ripetere il voto: a suo dire
"il legislatore non ha considerato possibile, né comunque in alcun modo
tollerabile, che siano mandate in stampa schede così frontalmente difformi dal
modello approvato"; d'altra parte, "non avrebbe alcun senso prescrivere
l’approvazione di un modello da parte dell'Assessore, se poi fosse priva di
conseguenze pratiche anche la violazione delle sue 'caratteristiche
essenziali'". 
Per i magistrati, poi, il legislatore avrebbe anche potuto non stabilire quanti
contrassegni di lista fossero da prestampare su ciascuna parte della scheda, ma
visto che lo ha fatto anche quell'elemento si configura come "essenziale",
dunque gli uffici della Prefettura dovevano essere diligenti per verificare il
rispetto anche di quel requisito indicato dal decreto assessoriale, prima di
dare il "Visto si stampi"). I 91 casi di abbinamento scorretto di preferenze a
liste in cui quelle persone non erano candidate, se per il Tar e per il comune
erano pochi, per il Consiglio di giustizia amministrativa erano indice del
disorientamento e della confusione sorti in parte degli elettori e potevano
essere ricondotte alla difformità della scheda rispetto al modello - conforme al
decreto assessoriale - impiegato sul materiale elettorale diffuso; in più quei
casi anomali "assumono un rilievo significativo se si considera il limitato
scarto di voti tra il candidato Sindaco eletto e gli altri due candidati che
seguono per numero di voti attribuiti" (anche se qui non c'è spazio per
eventuali "prove di resistenza", cioè per valutare l'impatto dei casi dubbi sui
dati elettorali ufficiali, perché in questo caso si contesta "un aspetto
generale dell’operazione elettorale, quale l'irregolarità delle schede
utilizzate dagli elettori" e comunque il dato testuale della disposizione sulla
nullità del voto su schede difformi non lascerebbe dubbi)




GLI EFFETTI DELLA SENTENZA DI SECONDO GRADO

Per le ragioni appena ricordate, la sentenza ha accolto il ricorso, dichiarando
nulli tutti i voti espressi, con "conseguente annullamento delle elezioni",
condannando alle spese la Prefettura di Agrigento per entrambi i gradi di
giudizio (anche considerando che l'ente non si è sostanzialmente difeso), mentre
le spese sono state compensate con il Comune di Campobello di Licata.
Cosa accadrà ora? La domanda è tutt'altro che infondata, sotto vari aspetti.
Innanzitutto la Prefettura ha avviato un'indagine informale interna ("Stiamo
cercando di capire come mai, all’epoca, sia stato fatto quello che il Cga ha
considerato un errore - ha dichiarato ai media il prefetto Filippo Romano,
insediatosi dopo le elezioni in questione -. Il Tar non lo aveva considerato
tale, ma il Cga ha deciso così ed è una sentenza definitiva: è quindi un errore,
dobbiamo prenderne atto e correggere per il futuro"); la sentenza, tra l'altro,
è stata trasmessa alla Procura regionale della Corte dei conti "per gli
eventuali profili di competenza in relazione ai suoi effetti".
Si dovrà poi ripetere il voto dichiarato nullo, anche se non è ancora chiaro
quando: posto che si attende la nomina del commissario da parte dell'assessore
regionale per le autonomie locali e la funzione pubblica, è già stato emesso il
decreto assessoriale per indire per il 22 e il 23 ottobre i comizi elettorali
per i comuni di San Giuseppe Jato (Pa), Bolognetta (Pa) e Calatabiano (Ct),
sciolti per infiltrazioni mafiose nel 2021. La data del voto, dunque, potrebbe
non coincidere con queste (anche se in teoria un nuovo decreto potrebbe indire
le elezioni nelle stesse date). 
Resta anche da capire l'estensione esatta della nullità: il sindaco uscito
eletto dal voto dichiarato nullo sembra non essere certo della sua ricandidatura
("La decisione non sarà personale, ma verrà concertata con il partito.
Considerato che la sentenza è inappellabile, per me il terzo grado di giudizio
sarà dato dal responso degli elettori. Ci rimetteremo, spero unanimemente, in
campo, rifaremo la battaglia e saranno i cittadini di Campobello a dire se
l'amministrazione Pitruzzella merita o meno di proseguire il suo mandato"). Il
dispositivo parla di "necessità di integrale rinnovo delle operazioni
elettorali", ma occorre sottolineare che lo stesso ricorrente aveva chiesto la
"ripetizione e/o rinnovazione delle predette operazioni di voto presso tutte la
Sezione elettorali del Comune di Campobello di Licata", il che farebbe pensare
invece che non si debba ripartire dalla presentazione delle candidature - il
che, tra l'altro, allungherebbe di certo i tempi del ritorno alle urne - ma
dall'inizio della campagna elettorale, conservando come validi tutti gli atti
collocati prima della stampa delle schede. Nessuna contestazione infatti risulta
essere stata mossa all'offerta elettorale (non si sa di liste la cui ammissione
o esclusione sia stata messa in dubbio), dunque sarebbe irragionevole - e
inutilmente dispendioso - ripetere tutto il procedimento elettorale
preparatorio. Il dubbio in ogni caso è legittimo: quando nel 1990 a Pisa il
simbolo della lista Per il Litorale fu sostituito per errore da quello del
Pci alle elezioni circoscrizionali si rivotò con le stesse liste (benché a
livello nazionale il Pci avesse cambiato nome e simbolo) e gli stessi candidati;
quando nel 1994 fu confuso in sede di stampa il contrassegno di una lista a
Piscinas (Sud Sardegna, allora in provincia di Cagliari), invece, il
procedimento fu ripetuto per intero. Si deve dare atto che, in base all'art. 56,
comma 2 del d.lgs.P.Reg. n. 3/1960, "Divenuta definitiva la pronuncia
giurisdizionale di annullamento, l'elezione avviene nel rispetto della procedura
indicata dalla vigente legge elettorale e nei tempi previsti dal vigente
ordinamento amministrativo degli enti locali. Nell'ipotesi di consultazione
parziale degli elettori restano ferme [...] le liste dei candidati": non essendo
in presenza di una consultazione parziale, sembrerebbe di dover ripetere
l'intero rito dall'inizio.
Da ultimo, si registrano polemiche legate al fatto che a demolire il voto del
2022 sia un organo sì giurisdizionale, ma nel quale siedono anche due figure
"laiche", di nomina politica, il che ha fatto sospettare qualcuno (incluso il
non-più-sindaco, stando all'intervista rilasciata oggi al manifesto) che si
fosse davanti a una "sentenza politica". Su questo punto non ci si esprime; ci
si sofferma piuttosto sulle diverse interpretazioni e ricostruzioni
normativo-sociali date dai due collegi di giudici. Il Tar ha seguito una lettura
"sostanziale" delle disposizioni, lette anche in chiave di "economia
procedimentale": l'offerta elettorale non era stata alterata, il diverso disegno
della scheda aveva una portata limitata, non tale da influenzare in modo
percettibile l'esito del voto (e comunque non così grave da giustificare la
demolizione di un risultato e la ripetizione del voto, con relativo esborso di
nuove risorse); in più, ha cercato di adottare una lettura "evolutiva" del
cosiddetto "elettore di media diligenza", rifiutando l'immagine - ritenuta
degradante - della persona che in cabina elettorale vota solo, soprattutto o
innanzitutto in base alla posizione del nome o del simbolo sulla scheda. Il
Consiglio di giustizia amministrativa, invece, ha proposto una lettura
decisamente attenta alla forma delle disposizioni, cioè del tutto aderente al
senso "fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione
di esse" (così recita l'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, che
precedono il codice civile), argomento che prevale su ogni altro, anche
sull'intenzione del legislatore. Considerando una "caratteristica essenziale"
della scheda elettorale anche la disposizione di candidature e contrassegni, in
concreto il collegio di seconde cure ha fatto capire che non è ancora sparito -
e forse non solo in Sicilia - il mondo in cui c'è chi vota "in alto a sinistra",
"in basso a destra" o - come stavolta - "in basso a sinistra" (e questo anche se
ormai da più di trent'anni l'ordine dei simboli sulla scheda è determinato dal
sorteggio e non dall'ordine di deposito delle liste). 
Poco importa, a questo punto, il motivo per cui le cinque candidature sono state
"impilate" tutte a sinistra: può essere stato fatto per distrazione, per
maggiore eleganza grafica o - perché no - per seguire l'idea (della tipografia,
più che della Prefettura) di mettere tutti i concorrenti sullo stesso livello e
non dare all'ultimo candidato, vista la sua posizione "isolata" a destra, un
rilievo diverso rispetto agli altri. Se una lezione si può trarre da questo
caso, per concludere, è che occorre prendere sul serio tutte le disposizioni e
le norme in vigore in materia elettorale: si possono non condividere, si possono
criticare (e in certi casi è più che comprensibile), ma finché ci sono vanno
rispettate. Vale per chi vuole concorrere, ma vale e soprattutto anche per chi
deve applicarle perché la "macchina elettorale" funzioni a dovere. 

Pubblicato da Gabriele Maestri alle 23:12 Nessun commento:
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LUNEDÌ 21 AGOSTO 2023


CUFFARO, CESA, ROTONDI E ALTRI: ANCORA SUL SIMBOLO DELLA DC IN TRIBUNALE



Lo si è ricordato spesso in questo sito, ma tocca ripetersi ancora: le liti
legate alla Democrazia cristiana sembrano non conoscere la parola fine e, per
questo, le notizie più recenti non sono mai "ultime", ma almeno "penultime". Se
n'è avuta l'ennesima prova il 17 agosto, quando le agenzie hanno fatto sapere
che il Tribunale di Roma il giorno prima si era espresso su un ricorso
presentato dalla Dc guidata da Salvatore "Totò" Cuffaro nei confronti dell'Udc
(Unione dei democratici cristiani e di centro), partito il cui segretario è dal
2005 Lorenzo Cesa e che fin dalla sua nascita nel 2002 schiera in primo piano lo
scudo crociato con la scritta "Libertas" storicamente usato dalla Dc (e giusto
un po' rivisto): in base a quanto diffuso dai media, il giudice designato
avrebbe riaffermato il diritto dell'Udc a usare lo scudo crociato, respingendo
le richieste di Cuffaro.
La notizia ha inevitabilmente prodotto commenti e altre reazioni, alcune delle
quali meritano la stessa attenzione del fatto alla loro base. Come puntualmente
accade quando si parla di Democrazia cristiana, però, è fortissimo il rischio di
fare o creare confusione, magari considerando direttamente coinvolto dalla
decisione del giudice anche chi da questa non è minimamente citato. Vale dunque
la pena cercare di capire bene cos'è stato chiesto, cos'è stato deciso e che
effetti possono discenderne.


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Pubblicato da Gabriele Maestri alle 23:50 2 commenti:
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MARTEDÌ 11 LUGLIO 2023


SCUDO (IN)CROCIATO, LA FINE E I TANTI RISVEGLI DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA IN UN
PODCAST



Il 18 gennaio 1994 a Roma, nel giro di poche ore e di 500 metri, si chiuse -
almeno in apparenza - l'esperienza politica più rilevante della Repubblica
italiana e si consumò una prima frattura nell'area che in quelle idee si era
riconosciuta fino a quel momento. Nel pomeriggio, all'Istituto Sturzo in via
delle Coppelle, si tenne l'evento in cui la Democrazia cristiana annunciò
ufficialmente di volersi chiamare da lì in avanti Partito popolare italiano, un
nome antico per dare nuova vita agli ideali, sperando di ripararli dal fango e
dall'estinzione; la mattina, nel vicino Grand Hotel de la Minerve (appunto in
piazza della Minerva, a quattro minuti a piedi da Piazza del Gesù), si erano
poste le basi per un nuovo partito di democratici cristiani - il Centro
cristiano democratico, appunto - con una collocazione politica volutamente
diversa. In quel giorno era plasticamente finita l'unità politica dei cattolici
italiani, che per mezzo secolo aveva trovato incarnazione nella Democrazia
cristiana e nel suo simbolo, lo scudo crociato.
Quella fine, in realtà, si è rivelata un inizio: dal 1994, infatti, ha
preso avvio una saga pressoché infinita di liti, scissioni, scomposizioni e
tentate ricomposizioni (talora riuscite, molto più spesso no), duelli in
tribunale e sulle schede elettorali, per non parlare dei vari disegni volti a
ridestare un partito che alcuni soggetti ritengono dormiente. Chi segue questo
sito ha incontrato spesso le ultime puntate di questa vicenda e, a
volte, anche alcuni post per cercare di riassumere una storia tanto affascinante
quanto complicata. Proprio perché affascinante e complicata, però, questa storia
merita di essere raccontata, oltre che per iscritto, anche a voce. Ecco perché
il sito Isimbolidelladiscordia.it da oggi propone sulla piattaforma Spreaker il
podcast Scudo (in)crociato, che con cadenza quindicinale racconterà le vicende
che hanno portato alla fine della Democrazia cristiana - perché per capire il
1994 occorre partire dalla proposta del nuovo-vecchio nome nel 1993 e, ancor
prima, dai referendum elettorali del 1991 e del 1993 - e, soprattutto, quelle
che sono venute dopo. Perché, se tanti democristiani sono rimasti (anche se il
tempo, inesorabile, assottiglia la fila), da oltre un quarto di secolo si
combatte una guerra inesauribile sulla vecchia denominazione e sul simbolo
storico.
La storia viene raccontata attingendo soprattutto all'archivio preziosissimo e
sterminato di Radio Radicale, che ha concesso - grazie al direttore Alessio
Falconio - l'uso del proprio materiale: sarà così possibile vivere più da vicino
la diaspora democristiana e gli scontri elettorali e giudiziari nel nome della
Dc. Nella consapevolezza che non ci sarà un'ultima puntata, dovendosi sempre
aspettare un nuovo episodio per raccontare altri tentativi, altri scontri, altri
simboli.
 

Pubblicato da Gabriele Maestri alle 13:10 Nessun commento:
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discordia, per un pugno di simboli, podcast, scudo crociato, scudo incrociato,
simboli, simboli dei partiti, simboli politici, simbolo



VENERDÌ 23 GIUGNO 2023


MOLISE, SIMBOLI E CURIOSITÀ SULLA SCHEDA



Mancano ormai pochi giorni all'apertura delle urne in Molise per
l'ultimo appuntamento con le elezioni regionali per il 2023 (ovviamente salvo
sorprese al momento non preventivabili). Certamente la regione cambierà guida:
Donato Toma, presidente uscente della giunta, non si è ricandidato, o meglio non
è stato riproposto dal centrodestra, che punta dunque su un altro aspirante
presidente, Francesco Roberti. Se la vedrà con altri due candidati: Roberto
Gravina, espressione unitaria dell'alleanza tra M5S e centrosinistra, ed Emilio
Izzo, candidato alternativo e "altro", a capo della lista-movimento Io non voto
(i soliti... noti). Cinque anni fa - le elezioni si celebrano alla scadenza
naturale della legislatura - i concorrenti erano quattro (in rappresentanza di
centrosinistra, centrodestra, M5S e CasaPound Italia). Quanto alle liste
regionali, anch'esse sono in calo: 14, rispetto alle 16 del 2018. Prima di
passare all'analisi dei contrassegni di lista, è il caso di ricordare che la
legge elettorale molisana prevede che anche le candidature a presidente della
giunta regionale siano accompagnate da un contrassegno (unico, non essendo
possibile farsi sostenere dall'insieme dei simboli delle liste).


* * *


EMILIO IZZO


1) IO NON VOTO (I SOLITI... NOTI)

Il sorteggio ha collocato in prima posizione la candidatura di Emilio Izzo, di
cui questo sito si è appena occupato, proprio a partire dal simbolo adottato
dall'unica lista presentata a sostegno, Io non voto (i soliti... noti). Si
rimanda dunque a questo articolo per sapere di più del progetto di candidatura
dell'ex consigliere provinciale di Isernia e combattivo sindacalista all'interno
del Ministero della cultura. In questo caso ci si limita a dire che il simbolo
con il maialino nero su fondo rosso è impiegato da Izzo anche per distinguere la
propria candidatura, dunque è riportato due volte sulla scheda elettorale, con
un messaggio del tutto coerente.
 


ROBERTO GRAVINA


Seconda candidatura estratta è quella di Roberto Gravina, attuale sindaco di
Campobasso (sostenuto dal M5S ed eletto nel 2019, quindi in scadenza tra un
anno) e aspirante presidente sostenuto da una coalizione che unisce
centrosinistra e MoVimento 5 Stelle. Il contrassegno presentato per sostenere la
sua candidatura ha in primo piano l'espressione "Gravina presidente" di colore
blu, sotto la quale si riconosce la sagoma del Molise di colore giallino. Quella
tinta, insieme alla circonferenza rossa e al segmento circolare inferiore con il
riferimento all'anno di votazione (anche se è colorato di verde e non di rosso)
può rimandare alla struttura del simbolo del M5S e far pensare a una prevalenza
all'interno della coalizione, ma non è per forza indicativo.  
 

2) COSTRUIRE DEMOCRAZIA

La coalizione che sostiene Gravina è composta da 6 liste. La prima estratta è
denominata Costruire democrazia. Per chi appartiene alla schiera dei
#drogatidipolitica di livello superiore la visione del simbolo non rappresenta
una novità completa: l'emblema con il fiore bianco era già stato avvistato sulle
schede molisane del Senato nel 2013 e su quelle per le regionali di quel
territorio nel 2011 e nel 2013 (il primo anno nella coalizione di Di Laura
Frattura abbinata al gruppo Partecipazione democratica, il secondo in una
coalizione alternativa con Fare per Fermare il declino e Democratici per il
Molise, a sostegno della candidatura di Massimo Romano); in entrambe le
occasioni elesse un consigliere. Non stupisce dunque che il capolista di quella
formazione (nata nel 2009) sia proprio Romano, eletto in regione nel 2011.  
 

3) MOVIMENTO 5 STELLE

La seconda lista della compagine che appoggia la candidatura di Gravina è quella
presentata dal MoVimento 5 Stelle: la sua presenza non può certo stupire,
trattandosi della forza politica con cui Gravina è stato eletto sindaco di
Campobasso quattro anni fa (e con cui si era già proposto alle amministrative
precedenti). Il simbolo schierato è il secondo emblema ufficiale indicato dallo
statuto, ma è quello ormai usato costantemente da quando il M5S ha scelto di
divenire ufficialmente un partito: sotto la grafica tradizionale, un segmento
circolare rosso ospita il riferimento al 2050 come anno dell'auspicata
neutralità climatica. 
 

4) MOLISE DEMOCRATICO E SOCIALISTA

La coalizione a sostegno di Gravina prosegue con Molise democratico e
socialista, formazione elettorale che unisce le forze di Molise democratico e
solidale (gruppo legato all'ex consigliere Antonio D'Ambrosio) e del Partito
socialista italiano. Il nome della lista è sostanzialmente una crasi delle due
realtà, mentre il simbolo è una "bicicletta" che affianca le miniature dei due
emblemi (dominati rispettivamente dal fumetto col profilo della regione e dal
garofano). I due cerchi sono nella banda centrale bianca, mentre il segmento
rosso superiore contiene il nome della lista e quello blu inferiore riporta il
motto "In difesa dei diritti di tutti". Sul piano grafico si poteva fare
senz'altro di meglio, ma è meritorio il ritorno del garofano sulle schede.
 

5) ALLEANZA VERDI E SINISTRA - RETI CIVICHE - ALTERNATIVA PROGRESSISTA

Risulta ancora più pieno (e sicuramente più "ammassato") del contrassegno appena
descritto quello della lista Alleanza Verdi e Sinistra - Reti civiche
- Alternativa progressista. Nel simbolo coniato in occasione delle elezioni
politiche, che accostava Europa Verde e Sinistra italiana, è stata inserita
anche la dicitura "Alternativa progressista", ma soprattutto lo spazio per Ev e
Si è stato ridotto per la necessità di inserire - ma sarebbe meglio dire
incastrare - in basso anche il Movimento Equità territoriale fondato e promosso
da Pino Aprile. 



6) PARTITO DEMOCRATICO

La coalizione che appoggia Gravina a queste elezioni comprende anche il Partito
democratico, che ha dunque scelto di convergere sulla candidatura del sindaco
M5S di Campobasso, in un quadro di sostanziale unità di buona parte delle forze
di opposizione uscenti. In questo caso il Pd ha scelto di schierare sulle schede
elettorali il suo simbolo ufficiale, senza aggiungere alcun riferimento
territoriale né il nome della persona sostenuta come aspirante presidente; la
stessa scelta, del resto, era stata compiuta nelle precedenti elezioni regionali
molisane cui i dem hanno partecipato, dunque si ravvisa una continuità. 
 

7) PROGRESSO MOLISE - GRAVINA PRESIDENTE

L'unica lista della compagine elettorale di Gravina che contiene il nome del
candidato è quella "civico-personale", una presenza assai frequente negli
ultimi anni. La formazione si chiama Progresso Molise - Gravina presidente e
presenta un simbolo, se possibile, ancora più pieno dei due visti sopra.
L'elemento più visibile, al centro, è proprio il richiamo al candidato alla
presidenza della giunta regionale, stretto tra l'altra parte del nome della
lista (in basso, in bianco su segmento verde acqua) e, in alto, cinque sagome a
mezzo busto di persone - come a voler legare il progresso alla componente umana
- leggermente sovrapposte tra loro e con attenzione alla miscela dei colori
(varianti dal verde all'azzurro-blu). Partecipano alla lista anche candidature
indicate da Volt.
 


FRANCESCO ROBERTI


Terzo e ultimo candidato alla presidenza della regione Molise è Francesco
Roberti, sindaco di Termoli e scelto dal centrodestra per cercare di mantenere
la guida dell'amministrazione regionale dopo la giunta Toma. Pure in questo caso
è stato presentato il contrassegno della candidatura, in cui il blu è il solo
colore che si alterni al bianco: tinge il riferimento al candidato nella parte
superiore e il segmento in cui trova posto l'espressione "per il Molise". Il
cognome di Roberti, decisamente visibile, induce a riflettere sulla strategia
dei due principali candidati: di norma, infatti, nelle regioni in cui i
contrassegni dei candidati sono ancora previsti (e per tutti gli anni in cui
questi sono stati impiegati in tutte le regioni ordinarie) si preferiva
schierare emblemi anonimi, per non rischiare che chi votava mettesse la croce
solo su quei simbolo e non anche su un contrassegno di lista, perdendo voti
preziosi; qui, invece, centrodestra e centrosinistra allargato hanno scelto di
correre questo rischio.



8) LEGA

Sono 7 le formazioni che fanno parte della compagine elettorale a sostegno di
Roberti. L'estrazione ha indicato per prima la Lega, già presente alle
precedenti elezioni regionali, ma allora con il riferimento al Molise sotto al
cognome di Matteo Salvini. Questa volta invece è stato impiegato proprio il
contrassegno coniato per le elezioni politiche del 2018, dunque con la dicitura
completa "Salvini premier" sotto la statua di alberto da Giussano a spada
sguainata. Sarà interessante vedere il risultato della Lega, che nel 2018 (al
suo esordio elettorale molisano) aveva ottenuto l'8,23%, allora senza riuscire a
superare Forza Italia. 
 

9) UNIONE DI CENTRO - DEMOCRAZIA CRISTIANA - NOI DI CENTRO

Della seconda lista della coalizione di centrodestra si era già in qualche modo
parlato nei giorni scorsi, nel dare conto dell'esclusione della Dc-Cirillo e
della presenza di un altro simbolo che univa lo scudo crociato e la dicitura
"Democrazia cristiana". Si è anticipato, quindi, che l'Unione di centro e noi Di
Centro (partito di Clemente Mastella, citato solo come sigla, come a voler
indicare una "nuova Dc") formano una lista comune con anche l'apporto di
Gianfranco Rotondi (Verde è Popolare), che ha concesso l'uso della denominazione
"Democrazia cristiana" riconosciutogli nel 2004. Lo scudo è più grande del
consueto e occupa tutto lo spazio possibile tra i due nomi maggiori
disposti ad arco, rendendo ancor meno visibile le antiche vele di Ccd e De.
Concorre alla lista anche Italia viva con il coordinatore regionale Donato
D'Ambrosio (ma c'è pure Molise al centro).
 

10) FRATELLI D'ITALIA

Non poteva mancare nella coalizione di centrodestra che sostiene Roberti
l'apporto di Fratelli d'Italia: superare il 4,45% di cinque anni fa, visti i
consensi di cui gode il partito a livello nazionale, sembra decisamente alla
portata. Sul piano grafico nessuna novità per Fdi, che impiega esattamente lo
stesso contrassegno del 2018, già schierato alle elezioni politiche di
quell'anno. Tra le persone candidate, oltre ad Angelo Michele Iorio (già
presidente della regione), c'è Aida Romagnuolo, che nel 2001 fece presentare al
Viminale il simbolo Vola Molise, con una farfalla bianca su fondo blu che
ricordava quella della Rai. 
 

11) FORZA ITALIA

Nel 2018 Forza Italia era stata la lista più votata della coalizione di
centrodestra, con il 9,38%; si vedrà se questa volta saprà mantenere il primato.
Si tratta ovviamente delle prime elezioni senza Silvio Berlusconi, con il nome
che è rimasto sul simbolo (anche perché i documenti per le candidature sono
stati presentati prima della sua morte, quindi non ci si poneva proprio il
problema); il contrassegno impiegato ha come base quello delle ultime elezioni
politiche (dunque con il riferimento al Partito popolare europeo), con
l'inserimento della dicitura "per il Molise" al posto dell'appellativo
"presidente" sotto il cognome di Berlusconi.
 

12) POPOLARI PER L'ITALIA

Non può non destare curiosità la ricomparsa sulla scheda elettorale del simbolo
dei Popolari per l'Italia, partito fondato dall'ex ministro Mario Mauro e da
tempo ben poco visibile a livello nazionale. Basta però guardare ai risultati
elettorali di cinque anni fa per non stupirsi: la lista aveva ottenuto il 7,12%,
battendo Udc e Fdi e riuscendo a eleggere due consiglieri (uno, Vincenzo Niro, è
vicepresidente del partito). Il simbolo è quello già noto - per chi ne ha
memoria, ma per chi appartiene ai #drogatidipolitica non ci sono dubbi in
materia - con il tricolore spalmato su tre frecce, su uno sfondo azzurro blu a
cerchi tangenti.
 

13) IL MOLISE CHE VOGLIAMO

Si ha l'impressione di trovarsi di fronte a una lista civico-politica, con
colori affini alle sensibilità moderate e di centrodestra (per l'uso dei quattro
colori nazionali) guardando il contrassegno di Il Molise che vogliamo,
formazione promossa dall'europarlamentare Aldo Patriciello. In effetti, se il
nome è piuttosto generico e potrebbe adattarsi a ogni parte politica, il
segmento azzurro superiore - quasi a voler simboleggiare il cielo - e
l'arcobalenino tricolore in basso (non proprio regolare, ma comunque mosso)
ricordano decisamente il vecchio simbolo del Popolo della libertà; tra i
candidati, c'è il vicepresidente del consiglio regionale Gianluca Cefaratti. 
 

14) IL MOLISE IN BUONE MANI - NOI MODERATI

Ultima lista della coalizione di centrodestra e dell'intero panorama elettorale
molisano del 2023 è Il Molise in buone mani - Noi moderati. Sembra di poter
parlare di "lista del candidato presidente", visto che è la sola a inserire
- anche qui in grande evidenza - il nome dell'aspirante guida della giunta
regionale; c'è però anche la partecipazione di Noi moderati, evoluzione del
progetto centrista delle ultime elezioni politiche. Di fatto, tra l'altro,
sembra che la grafica del contrassegno sia quella di Noi moderati ribaltata,
visto che il gruppo legato a Maurizio Lupi occupa la parte inferiore del cerchio
(tinta di un blu diverso rispetto a quello del simbolo da poco varato), giusto
sotto a una "onda" tricolore. 

Pubblicato da Gabriele Maestri alle 10:54 Nessun commento:
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SABATO 17 GIUGNO 2023


IO NON VOTO (I SOLITI... NOTI): IZZO SFIDA IL MOLISE CON UN MAIALE NEL SIMBOLO


L'ultimo appuntamento con le elezioni regionali nel 2023 si celebrerà, come
detto, il 25 e il 26 giugno in Molise. Se finora si è parlato di una lista che
non parteciperà al voto (quella della Democrazia cristiana), prima della
panoramica su tutte le formazioni che finiranno sulla scheda elettorale non è
possibile non dedicare un po' di attenzione a una lista che ha destato non poca
attenzione già prima di essere ufficialmente presentata e ammessa alla
competizione. Ci si riferisce a Io non voto (i soliti... noti): una lista con
titolo e sottotitolo, si potrebbe dire, che schiera come candidato presidente
per la giunta regionale Emilio Izzo, classe 1954, a lungo impegnato con vari
ruoli - e anche a livello sindacale - presso diversi istituti del Ministero dei
beni e delle attività culturali (ora della cultura) in Molise. Sarà lui a
sfidare i candidati del centrodestra (Francesco Roberti) e dello schieramento
che unisce centrosinistra e M5S (Roberto Gravina).
Tra le ragioni per cui la lista - che si è autodenominata "Movimento politico di
salvezza pubblica" (i media spesso hanno usato la dicitura "Comitato di salute
pubblica") - ha fatto subito parlare di sé, oltre al nome scelto, c'è
inevitabilmente il simbolo presentato e finito sulle schede. Su fondo rosso,
infatti, oltre al nome - scritto in un inconfondibile carattere Bodoni Poster
bianco - campeggia l'inconfondibile sagoma di un maiale: salvo errore, si tratta
della prima volta che lo si trova in un contrassegno elettorale. Il motivo di
questa scelta lo spiega direttamente Izzo, raggiunto da questo sito tra una
tribuna televisiva e l'altra: "Il maiale, come molte persone sanno, mangia di
tutto e ingrassa perché quello che gli si mette davanti mangia; non tutti sanno,
però, che è in grado di mangiare anche carne umana. Da questo punto di vista, la
similitudine con la classe politica, molisana e non, risulta abbastanza chiaro:
negli ultimi 15 anni i politici hanno fatto diventare la regione l'ultima ruota
del carro. Siamo la devastazione completa in tutti settori, a partire dalla
sanità. I soliti noti di cui parliamo nel nome sono quelli che hanno fatto la
devastazione e per questo li accostiamo al maiale, il maiale ha mangiato tutto
il mangiabile, incluso l'uomo, perché abbiamo perso tutto. Ora, visto che del
maiale non si butta nulla, noi ci candidiamo perché vogliamo mangiarlo noi prima
che ci mangi lui".
L'idea di schierare un maiale come emblema elettorale è nata nelle ultime
settimane, quando è maturato il progetto di partecipare a queste elezioni
regionali, ma il concetto di fondo per Izzo è nato ben prima: "Io da una vita
lotto per difendere gli ultimi, i poveri, l’ambiente. Ogni volta che andavo per
le mie proteste insieme ad altre persone sotto i palazzi che contano, incluso
quello della Regione, puntualmente chi stava dentro non usciva mai a parlare con
noi: prendevano tanti soldi e se ne fregavano della povertà. L'idea che fosse il
momento di smettere di votare per 'i soliti noti', dunque, sta da molto tempo
nella mia testa, anche se poi attuarla non è una cosa semplice: senza dubbio non
era facile schierarsi contro i blocchi di potere, quello del centrodestra che ha
guidato la regione negli ultimi cinque anni e quello che unisce centrosinistra e
MoVimento 5 Stelle". 
Tra le difficoltà superate in queste ultime settimane, Izzo mette anche la
raccolta delle sottoscrizioni necessarie a partecipare: "Questi signori, nel
2017, hanno scritto una norma per cui i partiti che stanno in Parlamento, che
sono rappresentati in consiglio regionale o che sono registrati a livello
nazionale non devono nemmeno fare la fatica di raccogliere le firme, a
differenza di chi è nuovo. Questo fa rabbia, ma noi ci siamo messi d'impegno e
in pochi giorni ci siamo riusciti, andando ben oltre il minimo di 300
sottoscrittori: posso dire quindi che per noi la raccolta firme è stata un
successo e la gente ci ha già voluto sostenere". 
Certo può sembrare curioso che oltre 300 persone abbiano firmato per una lista
che mette in evidenza l'espressione "Io non voto". Un'espressione che tra
l'altro non è nuova: chi appartiene alla schiera dei #drogatidipolitica sa che
dal 2006 al 2014 è stato depositato presso il Viminale il contrassegno della
lista civica nazionale "Io non voto", progetto concepito da Carlo Gustavo
Giuliana, palermitano trapiantato a Belluno, per anni impegnato a fotografare la
protesta di chi non si reca alle urne con il proprio simbolo. Vero è che lo si è
visto di rado sulle schede elettorali; forse anche per questo, Emilio Izzo non
conosceva quel precedente uso del nome. "Mi faccia però precisare una cosa: io -
chiarisce - non ho mai pensato di non votare o di assecondare la deriva
dell'astensionismo. Il fatto è che in Italia non c’è una regola che stabilisce
che se alle elezioni vota meno del 50% il risultato elettorale non è valido: in
questo modo finisce che meno persone vanno a votare e più di fatto ai 'soliti
noti' conviene, perché si votano da soli e con il sostegno dei pochi che stanno
con loro. Ecco perché non mi limito a dire 'io non voto', restando sul terreno
della protesta, ma preciso che 'io non voto i soliti... noti', formulando una
proposta e dando un'alternativa concreta a chi condivide quest'idea. Di più, non
faccio questo con un percorso simile a quello dei 5 Stelle, che all'inizio non
erano conosciuti da nessuno: io lo faccio a quasi 70 anni, come punto di arrivo
di un percorso che le persone conoscono e che è volto ad abbattere un sistema".
Per Izzo, tra l'altro, questa non è la prima esperienza elettorale: nel 1995 era
stato eletto consigliere provinciale di Isernia, si è tra l'altro candidato due
volte alle comunali di Isernia con la lista Isernia domani (2007 e 2016) e nel
2013 alle regionali era tra i candidati di Rivoluzione democratica (declinazione
locale di Rivoluzione civile). "Ho scelto di riprovarci, lanciandomi in una
avventura difficilissima e disperata, anche per lo sbarramento che taglia fuori
dal consiglio le liste legate ai candidati alla presidenza che non hanno
raggiunto l'8%, ennesimo segno di questa classe politica che non vuole
innovarsi. Io in ogni caso concorro e do la possibilità alle elettrici e agli
elettori di votare per persone diverse dai 'soliti noti'. Lo faccio con colori
che mi piacciono molto: il nero simboleggia il buio e l'oscurità della notte da
cui dobbiamo uscire; il rosso indica il risveglio, la passione e la lotta, non
per forza di sinistra. Ho cercato di dare al simbolo un'immagine immediata ma
non per questo sgradevole: se avessimo usato un'immagine verosimile di un
maiale, per esempio, avremmo creato qualcosa di cattivo gusto e avremmo fatto
prevalere la dimensione della rabbia su quella della proposta". Benché la legge
richieda l'8%, quale risultato lascerebbe comunque soddisfatto Izzo? "Già
raggiungere il 5% mi sembrerebbe significativo, ma ricevo segnali confortanti:
in questi giorni mi hanno chiamato anche dall'Abruzzo, dalla Puglia, dal Lazio e
dalla Campania, mostrando interesse per questo progetto e l'intenzione di
esportarlo se l'esito fosse interessante". Toccherà aspettare qualche giorno per
sapere se il maialino contro i "soliti noti" dovrà varcare i confini del Molise.

Pubblicato da Gabriele Maestri alle 11:06 Nessun commento:
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dei partiti, simboli politici, simbolo, soliti noti



MARTEDÌ 6 GIUGNO 2023


MOLISE, COSA CI INSEGNA L'ESCLUSIONE DI ELISABETTA TRENTA E DELLA DC



Nei giorni 25 e 26 giugno 2023 sono previste le elezioni regionali in Molise, le
ultime previste quest'anno. Ci sarà tempo per analizzare i simboli destinati a
finire sulla scheda elettorale; nel frattempo è il caso di occuparsi, almeno per
un attimo, di una lista che risulta esclusa da questa competizione. Ci si
riferisce alla Democrazia cristiana, che aveva scelto di sostenere l'ex ministra
della difesa Elisabetta Trenta come candidata alla presidenza della giunta
regionale: si tratta - giusto per non fare confusione circa i vari soggetti
politici che operano in campo con lo stesso nome - della Dc che riconosce come
proprio segretario Antonio Cirillo e che ha come portavoce e coordinatore
politico nazionale l'ex consigliere regionale Fabio Desideri. Ieri il
Tribunale amministrativo regionale del Molise ha respinto il ricorso con cui si
era chiesta la riammissione della lista; potenzialmente è ancora possibile che
il Consiglio di Stato - qualora sia impugnata questa sentenza nelle prossime ore
- riammetta la formazione, riportando a 15 il numero delle liste in campo (era
stata presentata ed esclusa - per numero insufficiente di candidati -  anche
quella di Forza Nuova: non risultano ricorsi), ma è assai probabile che il
quadro non muti ulteriormente.

Occorre precisare subito che, come correttamente riportato dai media,
l'esclusione della lista della Dc non è stata legata all'uso dello scudo
crociato. E questo nonostante tra le liste ammesse a partecipare alle prossime
elezioni regionali ci sia anche quella guidata dall'Unione di centro (Udc):
questa, oltre a schierare lo scudo in primo piano (e ingrandito rispetto al
solito), contiene nel contrassegno anche i riferimenti a Noi Di Centro (la
formazione guidata da Clemente Mastella) e soprattutto alla Democrazia
cristiana, denominazione apportata da Gianfranco Rotondi, secondo quanto gli era
stato concesso nel 2004 dai legali rappresentanti del Ppi - ex Dc. Il problema
dell'eventuale confondibilità - peraltro acuito dalla compresenza di
denominazione e scudo in due emblemi diversi: non è stato diffuso il simbolo
esatto della Dc-Cirillo, ma la descrizione del contrassegno fa pensare che sia
stato lo stesso ricusato dal Viminale prima delle ultime elezioni politiche  -
non si è proprio posto, visto che gli uffici elettorali hanno escluso la lista
per invalidità formali che non hanno nemmeno portato i collegi a esaminare
l'ammissibilità delle candidature e del rispettivo contrassegno.
Fin dall'inizio i media hanno parlato del ritardo con cui i documenti legati
alla presentazione della lista e della candidatura di Trenta sarebbero stati
consegnati: si era parlato di pochi minuti rispetto al termine delle ore 12
fissato per il 27 maggio scorso, ma il verbale di deposito in effetti indicava
le ore 15 e 16. Dal ricorso si apprende che Sabatino Esposito, delegato della
lista Democrazia cristiana (nonché indicato dal sito del partito quale
segretario amministrativo e, da statuto, legale rappresentante), si era recato
presso il tribunale di Campobasso, dove aveva sede l'Ufficio unico
circoscrizionale, insieme ad Antonio Cirillo (segretario del partito) e Antonio
Cardone (uno dei candidati). Esposito sarebbe arrivato alle ore 11 e 55,
"attendendo pazientemente, all'interno della sede della Commissione elettorale e
precisamente (aula di udienza adibita ad anticamera) che il predetto Ufficio
terminasse le operazioni inerenti le altre liste di candidati". I tre soggetti
sarebbero "[e]ntrati (in orario) all’interno del locale adibito alla
presentazione delle liste, e nelle more dell’attesa del loro turno, venivano
avvisati da un addetto presso il Tribunale che era necessario andare a prendere
un 'numero elimina code' ovvero un 'tagliando' [...] presso un locale dislocato
differente da quello presso cui si consegnava la documentazione": la scelta di
richiedere il ritiro del tagliando per accedere alla sala del deposito sarebbe
stata adottata, secondo l'ufficio elettorale, "ai fini della necessaria
numerazione provvisoria dell’ordine delle liste, specie quelle non
infrequentemente presentate proprio a ridosso del temine finale". Si sarebbe
temporaneamente allontanato dal locale per la consegna delle liste -
allontanamento ritenuto "meramente funzionale ad adeguarsi alle regole
autostabilite dall'Ufficio Unico Circoscrizionale", cioè al procurarsi il
tagliando - proprio il delegato di lista (Esposito), mentre sarebbero rimasti lì
gli altri due membri della delegazione, con tanto di documenti da consegnare. 
Nel frattempo, però, si era fatto mezzogiorno: le porte del luogo di consegna
delle liste sono state chiuse (con le due persone della Dc, non delegate,
all'interno) e a Esposito, giunto nel luogo di consegna dei tagliandi
inevitabilmente dopo le 12, non è stato consegnato il famoso tagliando: "solo
all'esito di alcune rimostranze gli veniva consentito l'ingresso" nella stanza
di presentazione delle liste per raggiungere le due persone rimaste lì dentro.
La consegna, dopo un'anticamera di oltre tre ore, sarebbe poi
effettivamente avvenuta alle 15 e 16, come riportato sul verbale: il delegato di
lista non avrebbe contestato quell'orario (senza impugnare il verbale per
querela di falso, ma - a quanto pare - senza nemmeno far annotare proprie
osservazioni alla cancelliera redigente) sia perché effettivamente si
riferiva al momento della consegna, sia perché l'ampio ritardo era dovuto alle
precedenti operazioni di deposito che si erano protratte.
Oltre al problema dell'orario, però, sarebbero emerse altre criticità: in
particolare, alla dichiarazione di collegamento della lista della Dc di
Esposito alla candidatura di Elisabetta Trenta non corrispondeva "analoga e
convergente dichiarazione" resa da Trenta; in più, risultava presentata
l'accettazione della candidatura da parte di Elisabetta Trenta, ma non la
dichiarazione di presentazione della candidatura stessa, con le relative firme
richieste. Tali mancanze, per gli uffici elettorali, sarebbero state così gravi
da far cadere candidatura e lista. Per i presentatori della lista, invece, quei
documenti c'erano e sarebbero stati consegnati alla cancelliera in sede di
deposito, con relativa verbalizzazione della consegna: anzi, proprio la
procedura di consegna (a seguito delle singole richieste della cancelliera
ricevente) e il verbale, secondo Esposito, avrebbero generato in lui "la
certezza nell’affidamento circa il suo buon operato, avendo egli consegnato
tutto quanto richiesto dall’addetta dell’Ufficio". Come dire: se sono stati
consegnati i documenti espressamente richiesti e, si suppone, la persona che ha
redatto il verbale ha controllato che fossero effettivamente quelli prescritti,
la consegna era regolare e completa, per cui eventuali mancanze non si
potevano addebitare ai presentatori. Quanto alla presentazione della
candidatura a presidente, secondo gli esponenti della Dc questa poteva essere
fatta con lo stesso modulo di presentazione della lista, dunque anche con le
medesime firme a sostegno (visto che la lista sosteneva esplicitamente Trenta). 
Nessuno di questi argomenti, tuttavia, è stato considerato valido dal Tar
Molise. Sulla questione più dibattuta, vale a dire quella dell'orario di
consegna, per i giudici è "astrattamente condivisibile l’affermazione del
ricorso che 'ciò che rileva, ai fini della tempestività del deposito del
materiale, non è l’orario di consegna dello stesso, ma l’orario di arrivo dei
delegati presso l’ufficio stesso muniti della necessaria documentazione' (in
quanto le lungaggini delle operazioni di consegna delle liste giunte sul posto
prima di quella ricorrente non potrebbero essere addebitate al delegato di
quest’ultima)", ma per loro "proprio la tempestività dell’arrivo del sig.
Esposito presso l’Ufficio è rimasta sfornita di qualsivoglia serio conforto
probatorio". Quando sono state chiuse le porte della stanza del deposito delle
liste, lì c'erano due persone la cui presenza per il Tar era "irrilevante" (pur
essendo candidate o figure apicali della Dc), mentre il delegato di lista era
altrove e per il collegio rileva soprattutto la "circostanza - con ogni
probabilità non casuale - che l’interessato non ha mai potuto conseguire [il]
“tagliando” dal personale della cancelleria", dunque non ci sarebbero prove
della presenza del depositante effettivo nei locali dell'ufficio elettorale
prima della scadenza dei termini (e, in più, non ci sarebbe stato nemmeno un
ritardo "lieve", non rilevando a quanto pare l'argomento dell'anticamera
dovuta alle molte liste depositate prima).
Sulla questione della mancanza di un espresso atto di presentazione della
candidatura di Elisabetta Trenta, con sottoscrizioni espressamente rivolte a
questo, il Tar appare piuttosto netto. Per i giudici amministrativi, le norme in
vigore (l'art. 6 della legge regionale n. 20/2017, cioè la legge elettorale)
parlano espressamente della presentazione della candidatura a presidente della
giunta regionale (e di dichiarazione di collegamento con una o più liste),
sottoscritta da almeno 300 elettori del Molise: quelle firme, per il collegio,
sono "un elemento strutturale prescritto a pena di invalidità" della
candidatura. Interessa soprattutto la contestazione della tesi dei presentatori,
secondo i quali la legge non richiede che la candidatura alla presidenza e le
relative firme a sostegno risultino da "moduli differenti da quelli previsti per
la presentazione della lista dei candidati consiglieri". Non solo le istruzioni
per la presentazione delle candidature fornivano in allegato due moduli diversi
per presentare una lista o una candidatura alla presidenza, ma le sottoscrizioni
hanno "un oggetto differenziato" e diversi "presupposti e contenuti" per le due
fattispecie (e, del resto, i presentatori della lista non hanno contestato che
la mancanza della presentazione della candidatura potesse far venir meno anche
la lista e che in effetti un atto espressamente configurabile come presentazione
della candidatura mancasse). Queste osservazioni hanno reso inutile la
valutazione dell'altra mancanza rilevata dagli uffici elettorali, quella della
dichiarazione di collegamento di Trenta con la lista della Dc.


Come si diceva, è ancora possibile che la Dc ricorra al Consiglio di Stato,
mentre non risulta che abbia fatto ricorso al giudice amministrativo Elisabetta
Trenta (non si sa se abbia provato almeno a impugnare gli atti
davanti all'ufficio elettorale regionale). In ogni caso, da quanto deciso dai
giudici di prime cure su questo caso si possono trarre alcuni insegnamenti
pratici per il futuro. 
Primo insegnamento: occorre prestare la massima attenzione alle previsioni della
singola legge elettorale regionale. Dal ricorso e dalla sentenza questo non
emerge, ma si può supporre che la mancata raccolta firme a sostegno della
candidatura di Trenta alla presidenza (oltre che della lista della Dc) sia
dipesa anche dal fatto che la legge elettorale molisana prevede espressamente la
raccolta firme anche per la presentazione delle candidature alla presidenza,
mentre altre leggi elettorali regionali la escludono (a partire da quelle di
Lombardia e Lazio) o comunque non la prevedono (Friuli - Venezia Giulia); la
previsione esplicita della richiesta di sottoscrizione anche della candidatura
alla presidenza (che vale pure qualora l'unica lista a sostegno sia esonerata
dalla raccolta firme, come pure qualora vi siano più liste, esonerate o no) è
rafforzata dalla previsione del divieto per il membro del corpo elettorale di
firmare per più liste, mentre chi firma per una lista può firmare anche per un
candidato alla presidenza. Quanto è accaduto in quest'occasione, oltre a
costituire un secondo episodio sfortunato nel rapporto tra Elisabetta Trenta e
chi dovrebbe preoccuparsi della regolarità della sua candidatura (si ricordi la
mancata presentazione alle suppletive di Roma-Primavalle nel 2021, quando non
tutte le firme raccolte sarebbero state di elettori residenti nel collegio
interessato dal voto), suggerisce davvero di porre tutta l'attenzione possibile
alle norme elettorali in vigore, senza cadere nella tentazione di scegliere le
interpretazioni più "leggere" o meno impegnative. 
Il Tar, peraltro, ha ritenuto di poter compensare le spese tra le parti, a
dispetto della complessiva infondatezza del ricorso: ciò fa pensare che qualche
"attenuante" sulla questione della (mancata) presentazione della candidatura
presidenziale di Trenta sia stata riconosciuta, magari proprio per il fatto che
le firme sono richieste in Molise e non altrove (una situazione che,
oggettivamente, non appare troppo ragionevole e forse meriterebbe di essere
rivista, in nome di una soluzione comune). Se si legge solo la motivazione sul
primo motivo di ricorso, quello relativo al ritardo nella consegna della lista e
nella mancata prova della presenza del delegato nel luogo di consegna della
lista prima della scadenza dei termini, è facile riscontrare ben altro tono, più
compatibile con una decisione di soccombenza che con una compensazione delle
spese. Tra l'altro, la mancanza di un esplicito atto di presentazione della
candidatura alla presidenza debitamente sottoscritto avrebbe fatto venir meno
comunque la lista della Dc, quindi per economia processuale i giudici avrebbero
potuto trattare anche solo quel punto, ottenendo lo stesso risultato: il
collegio, invece, ha voluto trattare anche la questione del ritardo. Sulla base
di quanto accaduto a Campobasso, quindi, chiunque in futuro voglia presentare
candidature farà bene a preoccuparsi - tra l'altro - di due cose: 1) di
preparare e controllare per tempo tutti i documenti, presentandosi in comune o
negli uffici giudiziari con un opportuno anticipo, senza voler emulare a tutti i
costi la Dc di un tempo che si metteva in fila per ultima mirando all'ultimo
posto sulla scheda (quando l'ordine di presentazione determinava anche l'ordine
di stampa, prima dell'avvento del sorteggio); 2) di indicare due delegati alla
presentazione della lista, in modo che uno vada a prendere l'eventuale
numero/tagliando necessario o comunque "tenga il posto" in fila, mentre l'altro
presidia la documentazione, eventualmente insieme ad altre persone a supporto. 
Si tratta, sotto questo profilo come a proposito delle firme, di prendere su
serio le norme che regolano le elezioni, vale a dire uno dei riti fondamentali
della democrazia. Certamente occorre tutelare il favor participationis senza
scoraggiare la partecipazione di chi intende ricevere i voti, così come eccedere
in "rigorosissime formule sacramentali" (come le definisce il ricorso della Dc)
non è salutare; allo stesso tempo, però, le regole finché ci sono vanno
rispettate e occorre fare il possibile per compiere tutti gli atti richiesti. Si
possono leggere le disposizioni in modo da dimezzare gli sforzi richiesti
(raccogliendo firme solo per la lista, pensando che valgano certamente anche per
la candidatura a presidente), così come ci si può attardare fino agli ultimi
minuti del tempo concesso per il deposito dei documenti (anche solo perché
magari non si è riusciti a sistemare tutto prima), ma in quel modo si accetta il
rischio che qualcosa vada storto, anche in modo irreparabile. Una cosa è certa:
stavolta nessuno potrà imputare a una delle varie Dc la mancata
partecipazione al voto a causa dello scudo crociato; se però tutte le carte -
della lista e della candidatura a presidente - fossero state in regola, il
problema quasi certamente sarebbe sorto e il simbolo sarebbe finito una volta di
più davanti ai giudici.

Pubblicato da Gabriele Maestri alle 15:32 Nessun commento:
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