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ANIMALE SENZ'ALTRO

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TRATTATI COME BESTIE. UNA RIFLESSIONE SULL’OLOCAUSTO E IL PARAGONE INVERSO

Originariamente pubblicato su Veganzetta (sotto pseudonimo) »»»

Il paragone tra l’Olocausto e la condizione degli animali sfruttati e
perseguitati dalla società umana (da ora in poi Paragone) desta nella nostra
cultura una forte reazione di sdegno e condanna. Questa reazione rappresenta,
tuttavia, un mero riflesso della rimozione dalla coscienza sociale del
trattamento crudele che riserviamo a miliardi di animali non umani. Solo
riconoscendo il valore della vita degli altri animali, insieme alla tragicità
della loro drammatica condizione attuale, il Paragone può essere facilmente
compreso e trovare finalmente piena legittimità.

Isaac Bashevis Singer, J. M. Coetzee, Helmut Friedrich Kaplan e soprattutto
Charles Patterson con Un’eterna Treblinka, hanno già da tempo intuito e ben
messo in luce come la condizione degli animali nella nostra società sia, sotto
molti aspetti fondamentali, simile a quella degli ebrei durante la persecuzione
nazista: nelle celebri parole di Singer, «ciò che i nazisti hanno fatto agli
ebrei, gli uomini lo stanno facendo agli animali» [1]. Mi pare dunque ora
superfluo dilungarmi ancora su questa questione. Ciò di cui invece vorrei qui
parlare è quello che si può definire il Paragone inverso.

Bisogna infatti osservare che, mentre da una parte il Paragone viene tenacemente
respinto dalla società, dall’altra, la stessa, con schizofrenica disinvoltura,
ne conferma la legittimità, sebbene in un ribaltamento dei termini: ovvero
convenendo, come spesso si sente dire, che gli ebrei erano «trattati come
bestie». Eppure, conformemente alla logica, scambiando i termini di un paragone,
il risultato non cambia: se gli ebrei erano trattati come gli animali, ne
consegue che gli animali sono trattati come gli ebrei.

Appare dunque evidente come, nonostante il rifiuto ostentato, il Paragone sia
presente, sebbene solo in forma latente e ad un livello subconscio, nel pensiero
sociale contemporaneo. Il ribaltamento dello stesso tuttavia permette di evitare
il doloroso trauma e il penoso senso di colpa che dovrebbero invece essere
affrontati qualora il Paragone fosse accolto direttamente.

Nonostante ciò, però, anche nel cauto uso del Paragone inverso permane il
rischio, angosciante e sempre presente, che qualcosa possa affiorare alla
coscienza: proprio nell’intenzione di evidenziare la tragica condizione degli
ebrei nel parallelo con gli animali, si rivela infatti quella consapevolezza, da
tenere costantemente repressa, sul trattamento crudele che riserviamo agli
animali; sul fatto che, ciò che accade abitualmente agli animali negli
allevamenti, nei laboratori biomedici e negli altri spazi di oppressione e
persecuzione, sarebbe considerato inaccettabile se praticato su membri della
nostra stessa specie. Dopotutto, quando si dice che gli ebrei erano trattati
come bestie, non si intende certo dire che erano trattati con cura e rispetto.
Si vuol significare, invece, che erano trattati in modo brutale, disumano: come
sono trattati, cioè, gli altri animali da noi umani.

D’altronde, la stessa frequenza con cui viene usato il Paragone inverso non è
casuale. Sebbene infatti a volte, nel resoconto della condizione degli ebrei
sotto il regime nazista, ci si serva di altri paralleli, come quello con i
lebbrosi o quello con gli automi, il richiamo alla condizione degli animali
emerge con una costanza e una frequenza sbalorditive: questo viene usato in
maniera naturale, spontanea, come il mezzo narrativo più intuitivo ed efficace
per rappresentare la realtà vissuta dagli ebrei nella Germania nazista. Ciò
dimostra come il Paragone inverso non sia un semplice espediente retorico, ma si
presenta piuttosto come una similitudine molto concreta rivelante una
significativa connessione tra i due soggetti interessati e, ancor di più, come
questa sia radicata nel subconscio sociale.



Continua a leggere “Trattati come bestie. Una riflessione sull’Olocausto e il
paragone inverso”


Autore Riccardo B.Scritto il 24 febbraio 201718 novembre 2024


SPETTACOLARIZZARE L’ANTISPECISMO

Originariamente pubblicato su Earth Riot (sotto pseudonimo) »»»

Spesso viene denunciato, giustamente, il fatto che il veganismo, come prassi
dell’antispecismo, sia stato fagocitato dal sistema e inglobato nelle dinamiche
del capitalismo contemporaneo, finendo per essere spogliato dell’originale
significato contestatario e ridotto ad una banale opzione dietetica o culinaria.
Ma un’altra questione, parallela e per certi versi complementare, che mi pare
assai importante in questo momento storico di vita dell’antispecismo, è la sua
spettacolarizzazione da parte dell’industria massmediatica.

Da una parte distorcendo, denigrando e ridicolizzando il pensiero antispecista,
dall’altra scavando nell’animalismo più frivolo, si è trasformato l’antispecismo
in un rozzo spettacolo da presentare a quel crescente pubblico sempre più
apatico e acritico. Ciò, dopotutto, non sorprende, considerando che la sempre
maggiore degradazione del sistema massmediatico rende necessaria la
spettacolarizzazione di tutto ciò che viene divorato e vomitato, in modo da
riuscire disperatamente a scalare lo share di qualche punto o a guadagnare
qualche click e qualche like in più.

Ecco così, allora, che, tra un giornale satirico online che un giorno sì e
l’altro pure deride gli animalisti, un comico pelato che veste i panni di uno
chef vegano pelato, un’intervista in prima serata televisiva ad un
“nazianimalista” che se vede qualcuno mangiare un panino col prosciutto gli ci
sputa dentro, la risata è assicurata.

Giornalisti inetti poi non mancano mai di far notare l’ultima fesseria detta o
fatta da qualche animalista istupidito: che esulta se un terremoto devasta un
paese dedito a sacrifici animali, o che invade chiassosamente il ristorante
dello chef che cucina piccioni in TV, o che ogni mese trova puntualmente
qualcuno da denunciare e perseguitare, fosse anche solo perchè convinto che la
gallina animatronica della pubblicità sia vera e soggetta a maltrattamenti.

Sempre più spesso, poi, si parla di “guerra tra vegani e carnivori”, ultimamente
messa in scena anche in TV con alcuni dibattito-scontri dal contenuto per lo più
misero. Ma basta girare un po’ per i social network per vedere che, dietro
questa “guerra”, in realtà c’è solo una parapiglia di una massa indistinta di
persone che, dall’una e dall’altra parte, prese come sono a bisticciare tra
loro, ignorano del tutto il reale significato della lotta per la liberazione
animale.

E si potrebbe continuare ancora a lungo rovistando nello sciocchezzaio mediatico
degli ultimi anni. Solo qualche giorno fa, un quotidiano nazionale ha pubblicato
uno sconclusionato intervento che illuminava i lettori sul «Terzo Reich
animalista».

Ma tutto questo, in definitiva, altro non è che un modo per reprimere il
dissenso di chi lotta per la liberazione animale, delegittimare le ragioni
antispeciste e fuorviare l’attenzione dall’immensa crudeltà di cui sono vittime
miliardi di animali non umani, intorno a noi, in ogni dove.

Tuttavia, sebbene le industrie di sfruttamento animale, prime fra tutte quella
zootecnica e quella connessa dei cibi animali, abbiano un forte potere e
controllo sul sistema massmediatico (sia direttamente, essendo i dirigenti tra
le più alte posizioni della gerarchia socio-economica capitalista, sia
indirettamente, essendo tali industrie tra i principali acquirenti degli spazi
pubblicitari), non credo che la questione sia da ricondurre unicamente a questo
e chiamare in causa ipotesi di complotto.



Continua a leggere “Spettacolarizzare l’antispecismo”


Autore Riccardo B.Scritto il 29 aprile 201618 novembre 2024


SU AGILULFO E IL DESIDERIO DI LIBERTÀ

Agilulfo è un cane che viene dalla strada, con una storia a me in gran parte
sconosciuta. Della sua vita precedente alla nostra convivenza so solo che, per
un certo periodo, ha vissuto dapprima in un canile comunale, poi, probabilmente
perchè ritenuto innocuo per il suo temperamento docile, è stato rilasciato in
strada dallo stesso canile. O così, almeno, mi è stato detto. È una storia
paradossale. Ma, anche se non conosco bene le condizioni del canile dove
Agilulfo ha vissuto, dopotutto, penso, in molti casi, per un cane, è meglio
vivere per strada che nella gabbia di un canile.

Quando, anni fa, ho visto per la prima volta Agilulfo, ricordo che camminava
solo per la strada, nella zona dove lavoravo. Ho iniziato a fare amicizia con
lui offrendogli un po’ di crocchette. Nei giorni seguenti, poi, ci siamo
incrociati altre volte. È stato inevitabile che alla fine decidessi di prenderlo
con me – una decisione che, probabilmente, covava in me fin dalla prima volta
che l’ho visto.

Agilulfo è un cane docile, è vero. Ma è anche un cane dallo spirito libero.
Benchè abbia accolto di buon grado portare il collare e passeggiare legato al
guinzaglio (segno che, forse, in passato, ha vissuto con esseri umani), ha
sempre aspirato alla libertà e a vagare libero. Ricordo molto bene come, fin
dall’inizio, mi fece capire chiaramente che queste erano le sue prerogative non
discutibili.

A volte bastava semplicemente che mi distraessi un attimo affinchè, con uno
scatto, trovasse la via di fuga e scomparisse veloce dietro un angolo (motivo
per cui iniziai a motteggiarlo chiamandolo scherzosamente “il fuggitivo”).
Inutile dire che, a meno che non mi trovassi in sella a una bicicletta, non
avevo alcuna possibilità di stargli dietro: neanche un centometrista
professionista riuscirebbe a stare dietro ad un cane lupo di trenta chili
lanciato in corsa. Comunque sia, alla fine ritornava sempre a casa, anche se
poteva passare mezz’ora o più a girovagare chissà dove prima di farsi rivedere,
tornando a volte bagnato fradicio dopo un tuffo al mare o al fiume, altre volte
con graffiate qua e là sul muso dopo qualche incontro con i gatti della zona.

Questo è stato lo spirito che Agilulfo mi ha mostrato fin dall’inizio. E si può
quindi ben capire come, nei miei numerosi e pazienti tentativi di lasciarlo a
volte libero durante le passeggiate, non era possibile averlo sempre sotto
controllo e stare tranquilli. Cosicchè, alla fine, rassegnato, sono stato
costretto a tenerlo sempre al guinzaglio.

Benchè mi impegnassi a portarlo a passeggio tutti i giorni, benchè, per dargli
maggiore libertà di movimento, mi fossi fatto da me un guinzaglio con una corda
di circa tre metri, e benchè spesso lo portassi in bicicletta, vedere Agilulfo
legato al guinzaglio era però, per me, sempre un dispiacere.

Ma oramai sono passati già alcuni anni da quel lontano giorno che presi Agilulfo
dalla strada. E oggi non è più il ragazzo scattante che correva anche per
mezz’ora dietro i gabbiani che si prendevano gioco di lui. Così, da un po’ di
tempo, dove e quando posso, riesco a lasciarlo libero senza perderlo di vista,
pur se non è sempre facile e a volte si allontana e va per i fatti suoi.

Continua a leggere “Su Agilulfo e il desiderio di libertà”

Autore Riccardo B.Scritto il 6 ottobre 201518 novembre 2024


I NAZISTI: SOSTENITORI DEI DIRITTI ANIMALI… E DEI DIRITTI UMANI

Un argomento assai popolare tra i detrattori dell’animalismo è quello secondo
cui il partito nazista fu particolarmente attento alla protezione degli animali.
Da ciò se ne dovrebbe dedurre, secondo i sostenitori di questo argomento, che
chi è impegnato nella difesa degli animali, sarebbe, in qualche modo, una
persona moralmente perversa. Si tratta, ovviamente, di una tra le più classiche
delle Reductio ad Hitlerum di tutti i tempi, seconda solo a quella sul
sentimento zoofilo di Hitler. In realtà, il regime di Hitler si impadronì della
tutela legislativa degli animali, così come dell’insieme delle istituzioni
civili, intellettuali e culturali tedesche dell’epoca, al fine di presentarsi
come un fautore del progresso illuminato della nazione.

In questo quadro è interessante notare come il partito nazista, che si
presentava agli occhi del popolo tedesco come un partito volto a migliorare le
condizioni socioeconomiche della nazione, fosse attivamente impegnato in
progetti filantropici con programmi di assistenza e sostegno alle fasce più
deboli e bisognose della popolazione. Strano a dirsi, questo aspetto del regime
nazista non sembra però preoccupare i detrattori dell’animalismo e ispirare lo
stesso odio contro le associazioni umanitarie…

Pochi sanno che il partito nazista, non appena salì al potere nel 1933, fondò il
Nationalsozialistische Volkswohlfahrt (benessere popolare nazionalsocialista) o
NSV, una importante organizzazione di assistenza sociale attiva durante il Terzo
Reich che portava avanti programmi di assistenza per la maternità, l’infanzia e
le fasce più giovani, assistenza medica e supporto alimentare: dopo il Deutsche
Arbeitsfront (fronte tedesco del lavoro), il NSV era la più grande
organizzazione del partito nazista.



Manifesto nazista del Nationalsozialistische Volkswohlfahrt: «Salute, protezione
dei bambini, lotta contro la povertà, assistenza ai viandanti, unione del
popolo, aiuto alle madri: questi sono i compiti del NSV – Diventa un membro»
Manifesto nazista del Nationalsozialistische Volkswohlfahrt: «Sostieni il
programma di assistenza per madri e bambini»
Bambinaia del Nationalsozialistische Volkswohlfahrt a passeggio con bambini
(fonte: Wikimedia Commons)
Un centro di assistenza per bambini del Nationalsozialistische Volkswohlfahrt
(fonte: Alamy Stock Photo)
Un centro di assistenza per malati del Nationalsozialistische Volkswohlfahrt
(fonte: Alamy Stock Photo)





Ogni anno, durante i mesi che andavano da ottobre a marzo, il NSV organizzava la
Winterhilfswerk (assistenza invernale) o WHV, una raccolta fondi per finanziare
le opere di carità in aiuto dei bisognosi durante i mesi invernali e fornire
loro cibo, vestiti, carbone e altri beni di prima necessità.



Manifesto nazista della Winterhilfswerk: «Nessuno deve patire la fame! Nessuno
deve patire il freddo!»
Manifesto nazista della Winterhilfswerk per invitare la popolazione alla
donazione
Volontari della Winterhilfswerk sistemano le riserve di cibo per i bisognosi
Un ufficiale delle SS impegnato nella raccolta fondi della Winterhilfswerk per
le strade di una città
Rudolf Hess mentre contribuisce alla raccolta fondi della Winterhilfswerk con
una donazione a due invalidi di guerra (fonte: Getty Images)
Adolf Hitler insieme a Joseph Goebbels ad un concerto di beneficenza per la
Winterhilfswerk alla Scala di Berlino (fonte: Getty Images)
Adolf Hitler ad un evento di beneficenza della Winterhilfswerk (fonte: Getty
Images)





La Winterhilfswerk raggiungeva il suo culmine poco prima di Natale, nella
cosiddetta Tag der nationalen solidaritaet (giornata di solidarietà nazionale),
un evento a cui partecipavano tutti i maggiori esponenti del partito nazista per
contribuire alle donazioni.

Adolf Hitler alla Tag der nationalen solidaritaet mentre esegue una donazione a
Magda Goebbels (fonte: Getty Images)

Il partito nazista fondò anche il Nationalsozialistische Kriegsopferversorgung
(assistenza nazionalsocialista alle vittime di guerra) o NSKOV,
un’organizzazione di assistenza sociale per i veterani feriti gravi e i soldati
di prima linea della prima guerra mondiale.

Manifesto nazista del Nationalsozialistische Kriegsopferversorgung: «Compagni al
fronte, compagni per la vita – Consulenza e assistenza in tutte le aree di
bisogno»

Spesso si sostiene, sdegnati, che è paradossale il fatto che, mentre da una
parte i nazisti fecero approvare una serie di leggi protezioniste sul
trattamento degli animali, dall’altra, perpetrarono uno dei più spaventosi
genocidi della storia umana. Eppure, a me appare assai più paradossale il fatto
che, mentre i nazisti spedivano milioni di esseri umani nei campi di
concentramento e di sterminio, allo stesso tempo si preoccupavano
dell’assistenza e della cura di altri esseri umani.



Particolarmente esemplificativo di ciò è il fatto – testimoniato da Rudolf Hoss,
comandante del centro di Auschwitz, nelle sue memorie – che «una buona parte del
vestiario [recuperata dalla massa degli ebrei uccisi nelle camere a gas] era
destinata alle organizzazioni assistenziali per gli sfollati, e più tardi fu
messa a disposizione dei danneggiati dai bombardamenti [in Germania]» [1].

Note:
1. Rudolf Hoss, Comandante ad Auschwitz, Einaudi, 1997, p. 184.

Autore Riccardo B.Scritto il 29 settembre 201517 novembre 2024


SU HITLER E L’AMORE PER GLI ANIMALI (E PER I BAMBINI)

Spesso i detrattori dell’animalismo, nel tentativo di denigrare la difesa degli
animali, affermano che Hitler fosse un grande amante degli animali. Benchè si
tratti probabilmente della più popolare Reductio ad Hitlerum di tutti i tempi, e
benchè la semplice zoofilia è cosa ben diversa dalla questione animale, questa
affermazione solleva tuttavia un interessante interrogativo: Hitler era davvero
un grande amante degli animali come i detrattori dell’animalismo dichiarano? E,
se è così, come si può conciliare questo con la sua visione odiosa della vita
umana?

Come è noto, l’immagine di Hitler quale amante degli animali deriva direttamente
dall’opera di propaganda del regime, impegnata a presentare il dittatore tedesco
come un uomo «tanto semplice quanto buono», come lo descrisse lo stesso ministro
della propaganda Joseph Goebbels. A tale scopo furono fatte circolare numerose
fotografie che ritraevano Hitler in compagnia della sua celebre cagna, Blondi, o
con altri animali:



Una delle molte foto che ritraggono Hitler in compagnia di Blondi
Hitler nutre due cerbiatti
Hitler nutre un uccello che poi poggia sulla propria spalla





Al di là della propaganda, tuttavia, foto come queste mostrano un lato
verosimilmente autentico di Hitler, ovvero la sua simpatia per gli animali: è
noto, ad esempio, che il dittatore tedesco fosse molto affezionato alla sua
cagna Blondi (sebbene la sua simpatia per gli animali fosse una simpatia molto
selettiva: ad esempio Hitler considerava i ratti delle «bestie schifose» o le
galline degli animali irritanti da prendere a calci).

Questo non dovrebbe sorprendere più di tanto. Bisogna infatti ricordare che,
sotto molti aspetti, Hitler – così come molti tra i nazisti più noti – era una
persona normale, persino mediocre, che, nella dimensione sociale dell’epoca, si
conformava a tutti i canoni più tradizionali.

Le deviazioni più spiccate nel suo pensiero riguardavano, da una parte,
l’esaltazione per la razza ariana, e, dall’altra, l’atteggiamento di odio e
disprezzo verso gli ebrei e, secondariamente, verso quei popoli considerati come
inferiori dall’ideologia nazista. Come ovvia conseguenza di questa concezione
allucinata della vita umana, il pensiero di Hitler era infine dominato dal
timore ossessivo della contaminazione biologica della purezza ariana.

In questo contesto risulta dunque chiaro come molti aspetti della vita privata
non coinvolti da questa visione dell’esistenza potessero coesistere inalterati e
venire normalmente accettati dalla comunità nazista. Così, comportamenti che per
molti di noi sono considerati normali, come affezionarsi ad un cane o provare
piacere nell’incontro inaspettato con un animale selvatico, non suscitavano
alcun biasimo.

Gli animali non umani, inoltre, sono biologicamente incompatibili con la specie
umana e, quindi, a differenza di quelle popolazioni umane esecrate
dall’ideologia nazista, non rappresentavano alcuna minaccia per la purezza della
razza ariana.

Sotto questa luce appare dunque evidente come, nella dottrina nazista, non
sussistesse alcun motivo che potesse giustificare un’avversione verso gli
animali. Il sentimento zoofilo di Hitler, pertanto, non è nè in contraddizione,
nè (come propongono i detrattori dell’animalismo) in relazione con l’ideologia
nazista. Si trattava, semplicemente, di un campo della sfera privata estraneo
all’ideologia nazista, allo stesso modo di molti altri aspetti della vita
personale come, ad esempio, la passione di Hitler per l’arte e la pittura.

La propaganda nazista, tuttavia, si servì, esaltandolo, di questo aspetto
ordinario del dittatore tedesco per forgiarne un’immagine pubblica virtuosa, dal
momento che, nella Germania di allora, la benevolenza verso gli animali sembrava
non dovesse mancare in ogni brava persona.

Continua a leggere “Su Hitler e l’amore per gli animali (e per i bambini)”

Autore Riccardo B.Scritto il 24 settembre 201517 novembre 2024


CONVERSANDO DI DIRITTI ANIMALI CON HITLER PT. V: IL TESTAMENTO DI MORTE

Conversando di diritti animali con Hitler pt. I: sul vegetarianismo »»»

 

Un testamento di morte rappresenta spesso un documento molto interessante per
far luce sulla personalità del suo autore, in particolare all’interno della
ricerca storica può rivelare informazioni importanti ed essenziali su un
personaggio e offrire nuovi spunti per il dibattito tra gli studiosi. Un
testamento di morte può indicare particolari intimi del defunto tenuti nascosti
in vita, come preferenze parentali inattese, o fornire indicazioni sui caratteri
più genuini della sua personalità, quali interessi, aspirazioni, principi,
ideali e sogni particolarmente cari al testatore. In questo senso, anche il
famoso testamento stilato da Hitler prima del suo suicidio può fornirci alcune
indicazioni sulla personalità del dittatore tedesco.

Il testamento di Hitler si presenta diviso in due parti: un testamento privato e
un testamento politico [1]. Il testamento privato si apre con la notizia del
sodalizio matrimoniale con la sua compagna di lunga data Eva Braun da poco
celebrato. Hitler dichiara quindi di lasciare tutti i suoi beni al partito
nazista (o, se questo «non dovesse esistere più, allora allo Stato»). Egli
riferisce inoltre: «Ho acquisito collezioni di dipinti nel corso degli anni non
per scopi privati, ma unicamente mosso dal desiderio di ampliare una pinacoteca
della mia città natale, Linz. Mi auguro con tutto il cuore che si effettui
questo lascito». Questa dichiarazione non stupisce: è infatti nota la passione
dell’ideologo nazista per la pittura e l’arte in generale. Segue poi la
decisione di lasciare «tutto ciò che può avere un valore personale o che può
servire al mantenimento di un umile tenore di vita» alle sorelle, alla suocera e
ai più fedeli collaboratori e collaboratrici. Questa prima parte del testamento
si chiude infine con la volontà che il suo corpo e quello della moglie (che lo
accompagnerà nel suicidio) vengano «bruciati sul luogo in cui ho svolto gran
parte del mio lavoro quotidiano nel corso di questi dodici anni al servizio del
popolo».

Il testamento politico si presenta invece come una dichiarazione con appelli
concitati e visionari intrisi di nazionalismo, militarismo e, naturalmente,
antisemitismo, chiudendosi con l’invito al governo e al popolo tedesco «di
opporre una strenua resistenza alla minaccia, sempre più vasta e velenosa,
dell’internazionale giudaica». Al di là del suo carattere allucinato, il
testamento politico non sorprende più di tanto, poichè non è altro che un testo
in perfetto stile hitleriano, confermando quelli che sono i principi più
radicati del leader tedesco. Sarebbe stato al contrario piuttosto insolito che
Hitler, nelle sue ultime righe prima di togliersi la vita, non si esprimesse
appellandosi ai valori che più di tutti, negli anni più intensi della sua vita,
lo avevano ispirato nel pensiero e nell’azione.

Continua a leggere “Conversando di diritti animali con Hitler pt. V: il
testamento di morte”

Autore Riccardo B.Scritto il 14 settembre 201422 aprile 2015


CONVERSANDO DI DIRITTI ANIMALI CON HITLER PT. IV: SULL’ANTROPOCENTRISMO

Conversando di diritti animali con Hitler pt. I: sul vegetarianismo »»»

 

Nei tre articoli precedenti, servendomi delle sue stesse parole e al di là delle
credenze mitologiche dei detrattori dell’animalismo, ho mostrato come in Hitler
non vi fosse traccia alcuna di un sincero sentimento di compassione per il mondo
animale. Ciò, dopotutto, non dovrebbe sorprendere se si conosce il pensiero del
dittatore tedesco e si ha la volontà di andare oltre la retorica superficiale e
strumentale dei fanatici dello sfruttamento animale. Hitler condivideva infatti
una visione della vita radicalmente antropocentrica, tipica della cultura
specista, tanto che giunse a scrivere:

> Se posso accettare un comandamento divino, questo è: preserva la specie
> [umana]. [1] … Io sogno uno stato di cose in cui ogni uomo comprenda di dover
> vivere e morire per la conservazione della specie [umana]. È nostro dovere
> incoraggiare questa idea: lasciare che colui che si distingua nel servizio
> della specie [umana] sia giudicato degno del massimo rispetto. [2] … La
> convinzione che, obbedendo alla voce del dovere, si lavora per la
> conservazione della specie [umana], aiuta a prendere le decisioni più
> importanti. [3]

Quali siano state poi «le decisioni più importanti» a cui approdò il dittatore
tedesco nel suo impegno nel preservare la specie umana (dalle contaminazioni
biologiche), sono ben note a tutti dai resoconti sull’operato nazista. Hitler,
tuttavia, nella sua colossale impresa sterminatrice era sinceramente convinto di
operare al «servizio della specie umana» in veste di magnanimo benefattore,
incarnando una logica antropocentrica estrema e ben lontana dal pensiero
antispecista. In altre parole, sono proprio le ansie antropocentriche di Hitler
e le sue preoccupazioni per l’umanità a condurlo all’eliminazione della massa di
coloro considerati subumani, un’impresa che ai suoi occhi si presentava come un
necessario sacrificio per il bene del popolo umano. In un passo che sembra
ispirato dalle tesi degli odierni fautori della sperimentazione sugli animali,
Hitler dichiara:

> Ho imparato che la vita è una lotta crudele, che non ha altro scopo che la
> preservazione delle specie. … Io preferirei non vedere soffrire nessuno, non
> nuocere a nessuno. Ma quando mi rendo conto che la specie [umana] è in
> pericolo, allora nel mio caso il sentimento lascia il posto alla ragione più
> fredda. Divento unicamente consapevole dei sacrifici che il futuro richiede,
> per compensare i sacrifici che si esita a consentire oggigiorno. [4]

Continua a leggere “Conversando di diritti animali con Hitler pt. IV:
sull’antropocentrismo”

Autore Riccardo B.Scritto il 7 agosto 20143 settembre 2015


CONVERSANDO DI DIRITTI ANIMALI CON HITLER PT. III: SUGLI ANIMALI

Conversando di diritti animali con Hitler pt. I: sul vegetarianismo »»»

 

Oltre alle questioni del vegetarianismo e della caccia, di cui ho discusso nei
due precedenti articoli, resta ancora da esaminare l’aspetto centrale professato
dai predicatori del mito zoofilo hitleriano, ovvero il suo (presunto)
fondamentale sentimento di amore per il mondo animale e in particolare per i
cani, persuasivamente giustapposto dai detrattori dell’animalismo al suo
fondamentale sentimento di odio per il mondo umano e in particolare per gli
ebrei. Anche in questo caso la raccolta delle sue conversazioni a tavola ci
offre l’occasione per indagare su questo aspetto del leader del terzo Reich.

Nell’opera, in effetti, compare qualche storiella sui cani. Tra queste, la più
interessante e particolareggiata è quella di Fuchsl, il piccolo randagio suo
compagno durante il servizio militare al fronte negli anni della Prima Guerra
Mondiale. Nel rievocare i momenti vissuti con questo cane tra un aneddoto e
l’altro, Hitler ricorda lo stretto legame che lo univa all’animale:

> Ero incredibilmente affezionato alla bestia. Nessuno poteva toccarmi senza che
> Fuchsl diventasse immediatamente furioso. Egli non avrebbe seguito nessuno ad
> accezione di me. … Condividevo ogni cosa con lui. Quando veniva la sera, lui
> usava accovacciarsi accanto a me. … Quando ho lasciato il treno ad Harpsheim,
> all’improvviso mi sono accorto che il cane era sparito. … Ero disperato. [1]

Da queste parole evidentemente traspare un sincero sentimento di affetto di
Hitler per questo suo compagno non umano. Tuttavia, non sembra che questo
slancio emotivo sia poi molto diverso dall’affetto che molti di coloro che hanno
un cane, con cui riescono ad instaurare un genuino e profondo legame empatico,
provano per il proprio amico o la propria amica scodinzolante. Anche la passione
con cui Hitler narra delle vicende di Fuchsl è tipica di coloro che vivono con
un cane, che spesso si lanciano in avvincenti storielle sul proprio beniamino.

Ma tutto ciò, per chi non è annebbiato da sentimenti di odio per chi ama un
animale, non sembra essere un motivo sufficiente per temere che queste persone
(compreso il sottoscritto) si trasformino, da un giorno all’altro, in pericolosi
criminali assassini. Eppure, nella loro scollegata razionalità, questo è proprio
ciò che sostengono i fanatici della crudeltà animale: Hitler amava i cani, per
cui provare un sentimento di affetto per un cane (o un qualsiasi altro animale)
sarebbe indizio di una minacciosa perversione antiumana.

Continua a leggere “Conversando di diritti animali con Hitler pt. III:
sugli animali”

Autore Riccardo B.Scritto il 24 luglio 201429 aprile 2015


CONVERSANDO DI DIRITTI ANIMALI CON HITLER PT. II: SULLA CACCIA

Conversando di diritti animali con Hitler pt. I: sul vegetarianismo »»»

 

Oltre alla questione del vegetarianismo di Hitler, di cui ho discusso nel
precedente articolo, un altro aspetto interessante collegato al mito zoofilo
hitleriano è quello della altrettanto celebrata avversione del dittatore tedesco
per la caccia. Anche in questo caso la raccolta delle sue conversazioni a tavola
ci offre la possibilità di far luce sulle opinioni dell’ideologo nazista
riguardo a questa sanguinaria pratica, a partire dalla sua dichiarazione, già
menzionata, in cui Hitler afferma orgoglioso:

> Non sono un ammiratore del bracconiere, in particolare dal momento che sono
> vegetariano; ma in esso io vedo il solo elemento di romanticismo nel
> cosiddetto sport della caccia. [1]

Da queste parole dovremmo concludere che, se Hitler era – come gli appassionati
detrattori dell’animalismo dicono sia stato – uno strenuo oppositore della
caccia, si trattava allora di un oppositore piuttosto originale, dal momento che
rintracciava anche un’aura di romanticismo nella truce pratica venatoria, per di
più riconducendola alla figura del bracconiere. Questa dichiarazione dovrebbe
già da sola essere sufficiente per far sorgere più di qualche dubbio sulla
genuinità di Hitler quale fervente oppositore della caccia, sebbene, in effetti,
in un’altra conversazione egli dichiari apertamente la sua avversione per questa
efferata attività. Il passo è particolarmente illuminante ed è bene citarlo per
intero:

> Io non vedo nulla di male nella caccia alla selvaggina. Semplicemente, dico
> che si tratta di uno sport deprimente. Quello che mi piace di più della caccia
> è il bersaglio e, accanto a questo, il bracconiere. Questo almeno rischia la
> propria vita in questo sport. L’aborto più insignificante può dichiarare
> guerra a un cervo. La battaglia tra un fucile a ripetizione e un coniglio –
> che non ha fatto alcun progresso in tremila anni – è troppo impari. Se il
> signor tal dei tali dovesse correre più veloce del coniglio, allora di fronte
> a lui mi toglierei il cappello. [2]

Chiaramente Hitler assume qui una posizione critica verso la caccia. Tuttavia
occorre fare alcune osservazioni. Egli innanzitutto si riferisce agli animali
uccisi come «selvaggina», dunque inquadrandoli già in un’ottica specista e
connotandoli di un valore puramente utilitaristico ai fini umani: evidentemente
per Hitler l’animale inseguito e ucciso ha valore solo in quanto «selvaggina»,
pietanza già destinata alla tavola umana, negando pertanto ogni
concettualizzazione dell’individuo animale quale essere senziente con un proprio
valore. Egli inoltre considera la caccia come un semplice «sport», definizione
che denota una valenza amorale della pratica venatoria e la depriva di ogni
richiamo alla violenza implicita.

Continua a leggere “Conversando di diritti animali con Hitler pt. II:
sulla caccia”

Autore Riccardo B.Scritto il 19 giugno 201424 Maggio 2015


CONVERSANDO DI DIRITTI ANIMALI CON HITLER PT. I: SUL VEGETARIANISMO

 

Nell’insistente campagna diffamatoria contro gli attivisti per gli animali
promossa dai fanatici della crudeltà animale l’intera impresa verte sulla
simbolizzazione dell’animalista quale entità collettiva intrinsecamente subdola,
meschina e perniciosa. Un ruolo fondamentale in questo processo spetta, in un
impiego di reductio ad Hitlerum da manuale, ad un mitico parallelo tra
animalismo e nazismo, estremamente funzionale nei suoi effetti persuasivi per
l’assimilazione dell’animalista con il male assoluto.

Secondo questa costruzione mitologica il regime nazista, specie nelle sfere più
alte del potere e a partire da Hitler, era pervaso da un profondo sentimento di
amore per gli animali, tanto che vennero emanate leggi a protezione degli
animali all’avanguardia e la sperimentazione sugli animali venne abolita e
sostituita con la sperimentazione sugli esseri umani. Più di recente, poi, i
deliri complottistici di certi fanatici della sperimentazione sugli animali
hanno arricchito il parallelo nazisti-animalisti attribuendo al movimento
animalista l’inverosimile uso strumentale di una propaganda mistificatoria che
si ispirerebbe alle stesse metodiche persuasive messe in atto dal regime
nazista.

Un esempio eccellente della disinvoltura con cui viene professata questa
ortodossia è rappresentato dall’infelice Premio Hitler, riservato alle
«personalità che si sono particolarmente distinte nell’animalismo» [1]: una
farneticante iniziativa istituita da FederFauna, orgogliosamente sostenuta da
Giulia Corsini [2] (membro del consiglio direttivo di Pro-Test Italia) e
aspramente criticata sia dal presidente dell’ANPI di Bologna [3], sia da
esponenti autorevoli della comunità ebraica italiana [4,5]. L’insistenza
ossessiva mostrata dai detrattori dell’animalismo nell’abuso dell’associazione
tra animalismo e nazismo rivela tuttavia come tale retorica nasconda in realtà
meri fini persuasivi a fronte di un abissale vuoto argomentativo.

Questo mito è a tal punto suggestivo e diffuso che tuttavia permea anche
ambienti culturali estranei allo schiavismo animale, venendo accettato
acriticamente – con una superficialità e una pretestuosità argomentative
sconcertanti – anche da autori per altri versi molto apprezzabili. Come è nella
natura di ogni mito, la ripetitività dello stesso è sufficiente a renderlo
dimostrato e dimostrabile, fino a lasciarlo assurgere al rango di dogma: per cui
argomentare razionalmente l’esistenza di un preteso sentimento di amore per gli
animali tra i nazisti si rivela, per il predicatore di turno, del tutto
superfluo.

Continua a leggere “Conversando di diritti animali con Hitler pt. I:
sul vegetarianismo”

Autore Riccardo B.Scritto il 3 giugno 201423 Maggio 2015


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