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Fondi dispersi e violazioni di diritti umani, così la Ue ha speso (male) quasi 5
miliardi in Africa





PULSE - EUROPE BEYOND THE BEAT

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caso


FONDI DISPERSI E VIOLAZIONI DI DIRITTI UMANI, COSÌ LA UE HA SPESO (MALE) QUASI 5
MILIARDI IN AFRICA


UN RAPPORTO DELLA CORTE DEI CONTI CONTESTA LO EU TRUST FUND, IL FONDO FIDUCIARIO
PER CONTROLLARE LE MIGRAZIONI DAL CONTINENTE. I LIMITI DELLO STRUMENTO
RISPECCHIANO QUELLI DI BRUXELLES

di Alberto Magnani (Il Sole 24 Ore, Italia), Kim Son Hoang , Der Standard
(Austria)

10 ottobre 2024


La guardia costiera libica. (Simone Boccaccio / SOPA Images)
Ascolta la versione audio dell'articolo

6' di lettura

Fondi utilizzati in maniera dispersiva, progetti «sopravvalutati» nella loro
efficacia e un terzo motivo di critica, il più delicato: un’attenzione
«inadeguata» ai diritti umani dei migranti e agli abusi a loro danno. È il
bilancio vergato a fine settembre dalla Corte dei conti Ue, un’istituzione di
controllo sui fondi Ue, sui risultati e le - diverse - problematiche del
cosiddetto Eu Trust Fund, o EUTF: un fondo fiduciario da 5 miliardi di euro
costituito dalla Ue nel 2015 per intervenire sulle tre regioni di Sahel e lago
Ciad, il Corno d’Africa e l’Africa settentrionale, alcune delle zone più
sensibili per i flussi migratori nel Continente. Bettina Jakobsen, il membro
della Corte dei conti europea responsabile del rapporto, ha già parlato
pubblicamente di un modello incardinato su un «sostegno frammentato» e «poco
attento alle priorità strategiche», ribadendo poi a Sole 24 Ore e Der Standard
le incongruenze emerse nel rapporto. Un affondo che chiama in causa l’intera
impalcatura delle politiche Ue sulla gestione dei movimenti, a cominciare dal
pilastro consacrato da accordi come quelli con Libia, Tunisia o Egitto:
l’esternalizzazione del controllo delle partenze, la ratio dei finanziamenti
miliardari accordati negli ultimi scampoli di legislatura a Tunisi e Cairo.


IL (MAL)FUNZIONAMENTO DEL FONDO FIDUCIARIO

La stroncatura della Corte dei conti ha riacceso i fari, almeno in sede
comunitaria, su uno strumento emerso ai picchi della cosiddetta crisi migratoria
del 2015 e già criticato dall’organismo di controllo nel 2018. Il fondo è nato
con gli obiettivi dichiarati di sostenere la «stabilità» della regione a
contribuire a una «migliore gestione dei flussi», fissandosi priorità che
includono misure contro la tratta di esseri umani, gli sforzi per la
stabilizzazione delle regioni e la protezione dei migranti vulnerabili. Il
fondo, sottolinea la Corte, ha ricevuto oltre 5 miliardi di euro di contributi e
fornito sostegno a 27 paesi africani. La quota maggiore della sua dotazione,
pari a 4,4 miliardi di euro (88%), è attinta da Fondo europeo di sviluppo e dal
bilancio dell’Ue con due contributi pari rispettivamente al 66,9% e al 20,8%. Il
restante 12% arriva per il 37% della Germania, il 20% dall’Italia e per il 43%
da «altri Paesi donatori». A dicembre 2023 i pagamento erogati si aggiravano
poco sopra i 4,5 miliardi di euro, distribuiti con una quota del 42% a favore di
Sahel, il 36% al Corno d’Africa e il 20% sull’Africa settentrionale. Gli esiti
sono quelli contestati dal rapporto, dopo un’analisi applicata soprattutto su
cinque Paesi: Etiopia, Gambia, Mauritania, Libia e Tunisia.

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Il rapporto della Corte scende nel dettaglio di varie storture nel funzionamento
del fondo. Ci sono casi di «rendicontazioni gonfiate» e «dichiarazioni
inesatte», o ancora denunce di «attività non più sostenibili, difficili da
attuare o non direttamente collegate agli aspetti più urgenti della crisi
migratoria», come la «ristrutturazione del lungomare di Al Shabbi a Bengasi», il
restauro del teatro romano di Sabratha, in Libia o la fornitura di attrezzature
sportive e da cucina per le scuole con «urgenti necessità di infrastrutture di
base». Uno dei capitoli più critici resta quello sulle violazioni dei diritti
umani, espresso nel divario fra «le intenzioni della Ue» e i risultati di
progetti che godono di finanziamenti comunitari. Fra gli esempi più indicativi
ci sono i «potenziali rischi per i diritti umani associati a più attività
dell’EUTF in Libia», uno dei Paesi al cuore della strategia di esternalizzazione
del controllo della frontiera sposata da Bruxelles e singoli governi, in testa
quello italiano. La fornitura di imbarcazioni, attrezzatura e formazione alla
Guardia costiera libica, evidenzia il report, nasce con l’intenzione di
«aumentare la sorveglianza» e «ridurre le morti in mare», salvo sfociare nelle
casistiche contestate dalla Corte e denunciate da varie organizzazioni non
governative: le attrezzature «potrebbero non essere utilizzate dai beneficiari»,
il personale addestrato si guarda bene dall’osservare il principio di «non
nuocere» ai migranti e i soggetti coinvolti si sottraggono al «monitoraggio»,
un’accusa rinnovata e ampliata nel caso dei «centri di trattenimento»
inaccessibili a osservatori esterni e operatori umanitari.

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L’autrice: i diritti umani non affrontati in maniera adeguata

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Jakobsen, il membro della Corte responsabile del report, sottolinea che il
nucleo delle critiche si era già formato ai tempi dei primi rilievi nel 2018.
Sei anni dopo, è cambiato poco: «L’aspetto più preoccupante è che i fondi non
sono ancora sufficientemente mirati o concentrati sulle priorità o sui bisogni
più urgenti» fa notare, evidenziando almeno tre elementi di critica. Il primo è
che «il Fondo per la migrazione è semplicemente troppo poco distribuito sul
territorio, poiché finanzia una gamma troppo ampia di azioni nel campo dello
sviluppo, degli aiuti umanitari e della sicurezza. In futuro, il Fondo dovrà
concentrarsi maggiormente per evitare che la storia si ripeta». In seconda
battuta, aggiunge Jakobsen, «i risultati dei progetti finanziati sono spesso
sopravvalutati. Ad esempio, il team di audit ha visitato un laboratorio
artigianale che era stato dichiarato completato, ma in realtà l’edificio non era
affatto ultimato e quindi non era operativo». In terza battuta affiora
l’attenzione blanda ai diritti umani, incluse le procedure standard per la
raccolta di denunce su casi di abusi: «In particolare, la Commissione non
dispone di procedure formali per segnalare, registrare e seguire le presunte
violazioni dei diritti umani in relazione ai progetti finanziati dall’UE. I
nostri revisori non possono quindi confermare che tutte le accuse siano state
seguite»

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La Corte, dettaglia Jakobsen, ha «riscontrato che i controlli ex-ante effettuati
dalla Commissione sul potenziale impatto dei progetti sui diritti umani non
erano sufficientemente completi». Nel caso della Libia, la Commissione ha
introdotto un monitoraggio da parte di terzi per migliorare la supervisione
dell’impatto delle sue attività sui diritti umani, tanto «utile» agli occhi
della Corte quanto vanificato da un’assenza: quella di «procedure formali presso
la Commissione per la segnalazione, la registrazione e il follow-up delle accuse
di violazione dei diritti umani in relazione ai progetti finanziati dall’Ue -
dice Jakobens - Ad esempio, dieci responsabili di programma che hanno risposto
alla nostra indagine di audit - condotta nelle tre regioni (Nord Africa, Sahel e
Lago Ciad, Corno d’Africa) - hanno dichiarato di aver riferito ad altri colleghi
le accuse di violazione dei diritti umani. Tuttavia, la Commissione, a livello
di sede centrale, ha registrato una sola denuncia di questo tipo».


LE FRAGILITÀ DELL’APPROCCIO UE SULLE MIGRAZIONI

Le fragilità del fondo rispecchiano quelle dell’intero approccio europeo alle
migrazioni dal Continente. «Le azioni dell’Ue in materia di fuga e migrazione
dall’Africa verso l’Europa - spiega Adel-Naim Reyhani, esperta di Diritto
internazionale al Ludwig Boltzmann Institute of Human Rights di Vienna (Austria)
- hanno l’effetto di impedire alle persone di esercitare il loro diritto di
fuggire da situazioni di gravi violazioni dei diritti umani, di muoversi
liberamente e di cercare protezione altrove. Inoltre, attraverso la cooperazione
con i Paesi africani, l’Ue è coinvolta almeno indirettamente in altre gravi
violazioni dei diritti umani».

In Paesi come la Tunisia, spiega Reyhani, « i fondi Ue vengono utilizzati anche
per le forze di sicurezza che usano regolarmente la violenza contro i migranti,
violentano le donne, abbandonano i migranti a morire nel deserto o li respingono
in aree non sicure». La situazione resta la stessa già evidenziata dal report,
quella della Libia. La Ue «sta violando il diritto internazionale consentendo e
sostenendo gli attori libici a detenere i richiedenti asilo e a impedirne la
partenza - dice Reyhani - Il Paese non dispone di strutture governative
adeguate. Le aree che attraversano le principali rotte migratorie sono
controllate, tra gli altri, da gruppi armati locali che sfruttano, trattano come
merce e torturano le persone in fuga. Anche la guardia costiera libica - un
partner chiave dell’UE - è coinvolta con questi gruppi criminali e abusa delle
persone in movimento». Insieme alla guardia costiera, aggiunge, Bruxelles «sta
violando il diritto internazionale impedendo alle persone di fuggire dalla
situazione di illegalità che esiste in Libia. Ad esempio, Frontex fornisce alla
guardia costiera libica i dati di coordinamento delle persone in fuga, sapendo
che questo approccio porta a ulteriori maltrattamenti delle persone colpite in
Libia».

Alle origini di un approccio disfunzionale, dice Reyhani, ci sono uno sguardo
tanto insistente sulla prevenzione dei flussi migratori quanto miope sulle cause
dei flussi: «La comprensione delle cause della migrazione da parte dell’Ue tende
a ridurre i fattori complessi alla povertà, ai conflitti o alla mancanza di
opportunità - spiega - trascurando inoltre eccessivamente l’impatto delle stesse
politiche comunitarie sull’aumento della migrazione irregolare. Un altro difetto
fondamentale è il presupposto che il progresso economico riduca sempre la
migrazione». L’esito è che la Ue «enfatizza eccessivamente la migrazione
dall’Africa come un problema, sia per la regione che per l’Europa, il che
alimenta la percezione negativa dei migranti e rende difficile un approccio più
equilibrato».

*Questo articolo rientra nel progetto Pulse ed è stato scritto da Alberto
Magnani (Il Sole 24 Ore, Italia), Kim Son Hoang, Der Standard (Austria)


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 * MIGRANTI, LE RASSOMIGLIANZE DI MELONI E SANCHEZ SUI FLUSSI «REGOLARI»

 * ALBERTO MAGNANIREDATTORE
   
    * @AlbMagna17
   
   Luogo: Milano
   
   Lingue parlate: inglese, tedesco
   
   Argomenti: Lavoro, Unione europea, Africa
   
   Premi: Premio "Alimentiamo il nostro futuro, nutriamo il mondo. Verso Expo
   2015" di Agrofarma Federchimica e Fondazione Veronesi; Premio giornalistico
   State Street, categoria "Innovation"
   
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