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Home / Interpretazioni / Fiume Sand Creek


FIUME SAND CREEK

 *  Davide Ferrari

Questo capolavoro è contenuto nell’album Fabrizio De André, conosciuto anche con
il nome improprio di “Indiano” o “L’album dell’indiano”.

Il brano è forse il  più simbolico del disco, dedicato a tutte le minoranze
etniche. Prima di scriverla il cantautore dedicò molto tempo allo studio della
storia dei nativi d’America, e sua fu la scelta dell’immagine per la busta del
disco, il ritratto di un Indiano tratto da un dipinto del 1909 di Frederic
Remington.

La canzone prende spunto da un tragico fatto storico, il massacro di Sand Creek
del 29 novembre 1864, dal nome del fiume che scorreva nelle vicinanze di un
accampamento di circa 600 nativi americani delle tribù Cheyenne e Arapaho, per
lo più donne e bambini, di cui più di 150, vennero trucidati dai soldati
statunitensi. A compiere l’eccidio fu il 3° Reggimento dei volontari del
Colorado, guidato dal colonnello John Chivington, che comandò l’attacco contro
una popolazione indifesa a causa dello scarso numero di guerrieri, impegnati
nella caccia al bisonte.

Gli uomini vennero scalpati e orrendamente mutilati, i bambini usati per un
macabro tiro al bersaglio, le donne oltraggiate e uccise. L’ infame avvenimento
innescò dodici anni di Guerre Indiane che ebbero il loro culmine con l’uccisione
del generale George A. Custer a Little Big Horn. Nel 2000, passati 136 anni, il
congresso americano ha formalizzato le sue scuse e sul triste luogo del massacro
è stata posta una lapide in ricordo delle vittime.

La narrazione avviene tramite le impressioni di uno tra i tanti bambini morti
nella brutale mattanza.

Il brano inizia esponendo da subito l’epilogo della tragedia, con versi che
evocano il buio ed il tepore del sonno invernale, in cui ancora gli indiani
erano assopiti al momento del vigliacco assalto; – “Si son presi il nostro cuore
sotto una coperta scura. Sotto una Luna morta piccola dormivamo senza paura” -.
Subito viene caratterizzato il principale colpevole dell’efferata vicenda, il
colonnello in capo John Chivington; – “Fu un generale di vent’anni, occhi
turchini e giacca uguale. Fu un generale di vent’anni, figlio d’un temporale” –
, e qui emerge evidente una forzatura poetica, usata magistralmente da De André
al fine di rendere ancor più forte l’impatto sull’ascoltatore.

Infatti il colonnello all’epoca aveva già 43 anni, castano e stempiato,
alludendo quindi chiaramente al celeberrimo comandante del 7° Reggimento di
cavalleria George Armstrong Custer, che il 27 novembre 1868, si rese
protagonista di un altro massacro di Cheyenne sul fiume Washita, molto simile a
quello del Sand Creek.

La canzone prosegue poi a ritroso nel racconto, descrivendo gli attimi
immediatamente antecedenti l’attacco; – “i nostri guerrieri troppo lontani sulla
pista del bisonte e quella musica distante diventò sempre più forte”-, in quanto
come consuetudine la maggior parte dei pellerossa adulti si trovava lontana dal
campo, impegnata nella caccia ai bisonti, fonte di sostentamento per tutta
l’annata da affrontare da parte della tribù, nel mentre però il rumore dei
cavalli della massa dei soldati che galoppava verso il campo si faceva sempre
più forte e minaccioso.

Il protagonista bambino comincia ad essere spaventato e chiudendo gli occhi
chiede al nonno, dimostrandogli una sconfinata fiducia, delle spiegazioni, –
“chiusi gli occhi per tre volte, mi ritrovai ancora lì. Chiesi a mio nonno: è
solo un sogno? Mio nonno disse sì”.

Il vecchio che evidentemente ha già intuito il pericolo della tragedia
imminente, con un monosillabo risoluto ma amorevole, in cui è racchiusa tutta la
sua saggezza, riesce nonostante tutto a rassicurare il nipote. Non trattandosi
chiaramente di un sogno, la cruda realtà non aspetta molto a materializzarsi –
“sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso. Il lampo in un orecchio,
nell’altro il paradiso. Le lacrime più piccole, le lacrime più grosse. Quando
l’albero della neve fiorì di stelle rosse”.

L’incrollabile fiducia del bambino negli confronti dell’anziano nonno non cede
però il passo, e nella sua immaginazione gli schizzi di sangue dei compagni
colpiti divengono fiori rossi spuntati sull’albero imbiancato dalla neve. Al
chiarore dell’alba, finita la confusione della carneficina, il protagonista
narra incredulo la desolazione e la distruzione –  “quando il Sole alzò la testa
tra le spalle della notte c’erano solo cani e fumo e tende capovolte. Tirai una
freccia in cielo per farlo respirare. Tirai una freccia al vento per farlo
sanguinare. La terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek” -, davanti al
villaggio distrutto e devastato, subentra un senso di ingiustizia, di impotenza
ed incredulità, espressi nel solo modo che gli è consentito, scagliando frecce
contro ciò che conosce e che sino ad allora gli era stato compagno ed amico; il
cielo diventato pesante, il vento che non sussurra più suoni conosciuti e
rassicuranti, il fiume compagno di vita e di gioco, dove ora giacciono inermi le
tante vittime di un massacro di cui non conosce spiegazioni.

La canzone si chiude con poche parole che riescono ad esprimere appieno
l’assurdità delle violenze e delle brutalità che accompagnano sempre la guerra,
– “ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek”. Il protagonista, che
continua a pensare di vivere un immaginario brutto sogno, vede i suoi amici e
compagni come stessero riposando sul fondo del fiume.

Fabrizio De André con la sua consueta poesia lirica riesce, con brevi e semplici
frasi, a descrivere la complessità di sentimenti e emozioni, contrapponendo la
percezione quasi fisica di una atmosfera cupa e terribile alla evocazione di una
pace infinita, dettata dal tranquillo riposare delle vittime innocenti di una
violenza inaudita. Non descrive il dolore e non ne dà spiegazioni perché non ne
trova un senso, mira a rendere le sensazioni, che solo l’unione di immagini e
musica riescono a fare.

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Testo di rifermento:
Fiume Sand Creek
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