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IL CLUB DEI RIPARATORI DI IDROPULITRICI

Pubblicato il 10 Giugno 2014 da samot

Non ricordo esattamente quando ricevetti la maglietta del Club dei riparatori di
idropulitrici, veramente non ricordo neanche il perché ne sia entrato in
possesso.

L’ipotesi più probabile è che, tra il 2004 e il 2008 qualcuno della redazione di
Ferramenta&Casalinghi (rivista che pubblica lo stesso editore per il quale
lavoravo) me la abbia donata di ritorno da una presentazione.

Nessun merito quindi sul dono in se, fatto sta che da parecchi anni la maglietta
del “club” mi accompagna la notte verso sogni beati e tranquilli.

Ora, nella mia testa, da sempre immagino il Club come un luogo fantastico, in
cui tutti i riparatori di idropulitrici italiani si incontrano per scambiarsi
opinioni e dritte per riparare al meglio. Cose tipo:”ciao Giovanni, ieri mi sono
imbattuto in una Idropulitrice Karcher k7 Premium con un cuscinetto di banco del
motore grippato a causa di una rottura nel filtro anticalcare” (ovviamente si
tratta di una problematica inventata, non mi hanno mai accettato nel club).

La Tshirt del Club dei riparatori di Idropulitrici


La cocente realtà, invece, è che non esiste un club così come lo immaginavo io.
Il club dei riparatori è un sito di vendita di ricambi per tutti i tipi di
idropulitrici.

Nonostante ciò, ogni volta che la sera metto la maglietta del Club, mi piace
pensare ancora a uno scantinato di periferia dove i più abili riparatori di
idropulitrici si incontrano e scambiano opinioni tecniche incomprensibili ai
più, un club di carbonari dell’idropulitrice e quando mi addormento, mi piace
immaginare di farne un po’ parte anche io.



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SUPERLUX: IL DETAILING A PORTATA DI MAGLIETTA

Pubblicato il 9 Giugno 2014 da samot

Questa Maglietta mi è stata donata pochi giorni fa (diciamo ancora giugno 2014)
e rappresenta il logo di Superlux il primo (???) network di car detailing
italiano.

Superlux auto: il network per il car detailing

Il detailing potrebbe essere riassunto in maniera volgare come il ripristino di
un’auto, ma non si tratta solo di questo. Comprende infatti dalla lucidatura
alla pulizia della carrozzeria da agenti contaminanti, fino al ripristino delle
plastiche e degli interni. Un business importante che spesso viene associato
alle sole supercar, o alle auto d’epoca, ma che invece è alla portata di tutti e
che spesso può risolvere dei problemi reali dell’auto (vedi i fari opacizzati)
che magari uno si trascina da tempo.

In ogni caso la maglietta è stupenda e nella foto è un peccato non si legga la
scritta “drive like a King” che è stupenda.

Ho usato questa maglietta la prima volta l’8 giugno 2014 per una passeggiata in
montagna ai Piani di Bobbio dalla base della funivia al suo arrivo (800 mt di
dislivello con oltre venti kg sulle spalle: bimbo più il resto)

Superlux auto: il network per il car detailing La maglietta Superlux




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GLI SPONSOR DELLA MIA VITA QUOTIDIANA

Pubblicato il 9 Giugno 2014 da samot

Nel corso della mia carriera di giornalista, mi è capitato spesso di ricevere
gadget da aziende di cui ho parlato o con cui ho avuto a che fare.

Nonostante tali “regali”  siano mai stati offerti “in cambio” di alcun che,
queste aziende sono diventate, di fatto, sponsor della mia vita quotidiana e
ritengo sia giunto il momento di restituire qualcosa.

Ogni maglietta, cappellino, zainetto, fino agli oggetti più stani, è stata
infatti conservata e utilizzata nella mia vita comune, così, per rendere
“omaggio” a quanto ricevuto, pubblicherò nella sezione sponsor le storie di come
sono entrato in possesso di questi fantastici oggetti e il come, ancora oggi, li
utilizzi. Ci vorrà un po’, ma spero sarà interessante da seguire



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quotidiana


DI BICICLETTE E MOTOCICLETTE A MILANO

Pubblicato il 9 Maggio 2014 da samot

Tutte le sere, dopo aver messo mio figlio a letto, dopo aver cenato e magari
aver visto un film o letto un po’, esco per fare quattro passi sotto casa e
fumarmi in santa pace una sigaretta.

L’itinerario che seguo è sempre lo stesso, forse è un po’ maniacale, lo ammetto,
ma il giro attorno all’isolato è perfettamente funzionale: mezzo giro per fumare
la sigaretta, l’altro mezzo per smaltirla e far vagare la mente per circa 4
minuti (il tempo di una sigaretta, appunto, nonché di mezzo giro).

Ieri sera però, sono successi due avvenimenti slegati tra loro eppure piuttosto
inusuali, sia se li si piglia singolarmente, ancor più se i due fenomeni si
presentano insieme.

Per farla breve, appena sceso di casa e accesa la sigaretta, sento un chiasso
furibondo proveniente dalla circonvallazione (circa 50 metri dall’uscita di casa
mia). Cos’era? Un branco di ciclisti di proporzioni spropositate che pedalava
libero e felice, biciclette ovunque. Pensavo che oramai i ciclisti milanesi
fossero confinati nelle apposite piste ciclabili, un dedalo di percorsi
scollegati tra loro e della lunghezza di una cinquantina di metri l’uno,
concepiti in maniera casuale probabilmente ognuno da un tecnico del comune che
possiede una casa sopra un lembo di asfalto “per bici”. Ci sono poi i ciclisti
randagi, quelli da marciapiede, i contromanisti eccetera eccetera, però vederne
un branco intero, libero e selvaggio è stato un shock. Oddio, sapevo che a
Milano ogni tanto, a questo punto direi il giovedì sera, di notte, alcuni amanti
delle due ruote a pedali si ritrovano per fare un bel giro della città, eppure
vederli così, tutti insieme, non mi era ancora capitato.

In ogni caso, il risultato è che ho passato tutto il tempo della sigaretta a
riflettere sulla necessità di accompagnare la simpatica scampagnata notturna (io
l’ho incrociata attorno alle 23.45) con urla e chiasso, eccheccazzo!, magari uno
a quell’ora vorrebbe anche dormire.

Ma proprio mentre spegnevo la sigaretta nell’abituale posacenere posto a metà
tragitto ecco che è successo il secondo avvenimento: sulla viuzza laterale che
mi riporta verso casa si riversa una fiumana di Harley-Davidson che percorrono
la piccola stradina sgasando a più non posso. Dopo una rapida preghiera che le
mastodontiche moto americane non abbiano svegliato il pargolo mi sono chiesto se
forse il giovedì non sia la giornata delle due ruote “come che sia”, perché
insomma, passi per i ciclisti, ma pure i motociclisti mi pare esagerato.

Ho percorso l’ultimo lato del mio quadrilatero “sigaretta” con la viva speranza
di incontrare qualche altra cosa così fuori dal comune, ma a parte il solito
locale con ragazze parcheggiate all’esterno a fumare su comodi trampoli dai 12
ai 15 cm strizzate in microtubini (ma come fanno? Hanno un trucco? Non
dev’essere semplice stare in equilibrio senza neanche poter respirare
liberamente), che precede il classico pub “radical chick”frequentato perlopiù da
giovani hipster (e qualche, ma raro, alternativo vero) il rientro a casa è stato
normale: niente mandria di monopattinisti (sarebbe stato quantomeno più
originale), solo una signora in bicicletta. Salendo le scale però un dubbio mi
ha assalito: la signora seguiva un suo percorso stabilito o era una della
“mandria” che si era persa?



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Milano


EDITORIA VS RICERCA E SVILUPPO

Pubblicato il 5 Marzo 2014 da samot

L’editoria, per come la conosciamo, nasce sostanzialmente da una innovazione
tecnologica: la stampa a caretteri mobili.

Si può quindi dire che il motore del cambiamento, al di là della paternità
dell’invenzione (tralascio le polemiche del caso), nasce da uno stampatore. La
figura dell’editore è conseguenza diretta di tale invenzione. Non a caso
storicamente i primi editori erano tutti anche stampatori: dominavano la
tecnologia che permetteva loro di trarre profitto con la distribuzione.

Negli anni, è diventato fondamentale specializzarsi nella distribuzione e così
gli editori si sono emancipati dagli stampatori divenendo delle pure società
distributive, seppur di contenuto ma a ben vedere anche di prodotto. Sia chiaro,
è rimasto centrale il ruolo della scelta dei contenuti, ma più che quello la
differenza l’ha fatta la capacità di proporre prodotti validi in maniera
facilmente fruibile. L’editore, insomma è un né più né meno di un “produttore”
cinomatografico (paragone un po’ forzato visto che quest’ultima figura è
successiva).

Da industria, l’editoria è diventata quindi servizio.

La conseguenza diretta di tale operazione è stata che gli editori hanno smesso
di investire in ricerca e sviluppo, imparando a utilizzare ciò che altre
aziende, industriali, proponevano loro per abbattere costi di stampa e di
produzione, in modo da concentrarsi sempre più sull’analisi e la scelta dei
contenuti, nella promozione, nella distribuzione nelle politiche di prezzo. In
una parola nel marketing.

Nella maggior parte dei casi, quando oggi guardiamo una casa editrice troveremo
che, salvo qualche eccezzione, nessuna tecnologia è proprietaria: non lo è il
processo di stampa, non lo sono i software di impaginazione, non lo è neanche la
piattaforma di pubblicaizone online, il cms, così come i formati utilizzati per
i libri digitali.

è sostenibile una industria che non investe in ricerca?

Il nemico degli editori di oggi sono le software house, non solo perché hanno la
tecnolgia, ma perché, grazie a questa, controllano anche la distribuzione.

L’errore che molti editori stanno ancora facendo è non aver compreso questo
cambio di paradigma: la distibuzione è tecnolgia, o se preferite, la tecnologia
permette la distribuzione. Affidarsi a terzi non risolve il problema.

Prendiamo quelli che vengono considerati i più grandi player di distribuzione
del contenuto online, ad esempio. Google investe ogni anno miliardi di dollari
in ricerca e sviluppo a 360°, così fa Facebook, ma anche se considerassimo
realtà italiane, come King, che produce giochi per telfonini (semplifico) ha
tecnologie proprie e sfrutta i colossi del web per fare business.

Senza entrare troppo nei dettagli, tutti i colossi del web vanno nella direzione
dell’aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo
(http://www.itnews.com.au/News/329001,tech-companies-spend-big-on-rd.aspx ).
Quanto investono queste aziende in ricerca? Difficile dirlo, ma in media il dato
oscilla tra il 4 e il 10% del fatturato. In Italia però le cose vanno più o meno
allo stesso modo: le aziende del settore informatico ed elettronico investono
una media del 4% in ricerca. tradotto vorrebbe dire che per ogni milione di euro
di fatturato circa 40k euro sono investiti in un ricercatore junior. Qualcuno lo
sta facendo? Chi è abituato a fare trading (scusate la brutalità della
definizione, ma un editore tutto sommato “compra” contenuti e li rivende
impacchettati) difficilmente vede il ritorno. Questo è il problema, almeno in
parte. Perché per investire bisogna avere un modello di business, bisogna
intuire le esigenze del pubblico (magari quelle che ancora non conosce), non
solo nella scelta del contenuto, ma anche nella tipologia di fruizione, oltre
che del tipo di contenuto, che non necessariamente è uguale a ciò cui siamo
abituati.

Qualunque informazione digitale in grado di catturare l’utente o che lo induca a
una spesa è un contenuto monetizzabile in qualche modo. Tuttavia ragionare
secondo il vecchio schema produttore-fornitore non risolverà mai il problema di
fondo dell’editoria italiana nell’affrontare le nuove frontiere digitali, cioè
la mancanza di controllo sulla distribuzione.

A questo punto il dubbio che pongo è un’altro: strozzati da una situazione
congiunturale difficile, le case editrici riusciranno a mettere in pista
investimenti in ricerca che ne garantiranno la vita nei prossimi anni? Quante
case editrici hanno un IT interno in grado di sviluppare piattaforme e software?
Chi è andato avanti per acquisizioni, ha poi pensato all’intergrazione con
l’esistente per creare poli di ricerca dedicati?

Mantenere quindi il controllo dello sviluppo sarebbe ancora più importante della
proprietà o meno della tecnologia. A mio modo di vendere, infatti, se una casa
editrice riuscsse a lanciare una piattaforma “open” che in grado di posizionarsi
come nuovo standard probabilmente ne avrebbe sempre e comunque il controllo,
perché possiederebbe la conoscenza del sistema. Ma davvero gli editori si stanno
muovendo in questa direzione?



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