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Mario Draghi (foto Ansa)


DRAGHI UOMO SOLO AL COMANDO È UNA NOVITÀ PER L'ITALIA. MA ANCHE UN RISCHIO



Giuliano Ferrara 03 giu 2021
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Il presidente del Consiglio incarna una nozione dell’autorità indiscussa che per
il nostro paese è un'occasione. Ma non solo

Sullo stesso argomento:


 * CASTING CHIGI


 * LA BALLA DEL DRAGHI LIBERISTA


 * PER IL GOVERNO DRAGHI QUESTO È IL MOMENTO DELLE SCELTE DIVISIVE




Draghi ha autorità, il governo è fondato su quell’autorità, che non è solo
competenza o curriculum, è qualcosa di più e di diverso. Da quando si è formato
il governo da lui presieduto, nessuno che conti e abbia voce in capitolo ha
criticato Draghi. Qualche ironia frondista su giornali laterali, forse, ma
nemmeno la piccola opposizione di destra, che fa le sue battaglie di bandiera,
come peraltro fanno anche partiti e componenti della maggioranza, si spinge fino
a trascurare un principio di rispetto personale e di riconoscimento di valore
diretto a Draghi. Per usare una formula equivoca e insipida applicata ad altri
capi dell’esecutivo nel bailamme della polemica spicciola, Draghi è un caso di
uomo solo al comando. L’uomo di stato autorevole fa attenzione, ascolta, compone
prospettive anche diverse o opposte, media e transige su quanto reputa
inessenziale, poi decide e la sua volontà diventa legge.

Non c’è bisogno di tante parole, never complain never explain. Draghi si limita
a presentazioni di decisioni, brevi sommari di attività, piccoli ritocchi e
ornamenti retorici dovuti alla pratica dell’incontro tra chi dirige un ministero
e l’opinione pubblica o il Parlamento, in qualche caso scarta proposte con
freddezza (seguo i dati epidemiologici per le riaperture, corro un rischio ma
solo se calcolato, non è il momento di prendere soldi ma di darli). Non
definisce un orizzonte politico nel senso tradizionale per il suo governo, e
nemmeno per sé stesso in relazione al destino personale, non polemizza, non
accusa, non difende, non interferisce nella dialettica dei partiti, non ha
bisogno di proiettare nel futuro possibile l’attività di decisione, gli basta un
criterio generale di praticabilità e opportunità delle scelte, il riferimento
alla svolta europea del debito mutualizzato e del piano di rinascita concordato
calendario e orologio alla mano. Il vero ancoraggio dell’autorità è un presente
in cui essa decide di fattori essenziali dello sviluppo e della convivenza
sociale, passato e futuro sono segni polemici e presagi, sono simboli, quel che
conta è l’interpretazione autorizzata qui e ora, la scelta discreta e
inappellabile, meglio, inappellata, una cosa che in teoria potrebbe essere
cambiata e perfino rovesciata ma in realtà viene accettata così com’è. Diciamo
la verità: non era mai successo. De Gasperi, Fanfani, Moro, Craxi e altre figure
della politica italiana di governo sono sempre state caratterizzate, ben prima
della cosiddetta stagione populista, anche prima dell’avventura anomala di
Berlusconi, da divisività, litigiosità, immersione nell’immaginario della lotta,
competitività accesa, controversia radicale. Qui si vive in un clima di
sospensione assoluta della tradizionale contesa politica, non c’è un’autorità
che lavora per il bene comune, piuttosto è quell’autorità stessa che viene
percepita come il bene comune, tutto è troncato, sopito, rinviato a una data che
non ha relazione con le decisioni del momento, a una situazione di ritorno alla
politica che non viene evocata o al massimo appena accennata come timida
previsione nel caso l’autorità decisionale sia trasferita al Quirinale in un
ruolo di garanzia.

Quando cadde Berlusconi e fu sostituito da Monti si creò un’opposizione dura, di
contenuto e di metodo, e lo stesso premier defenestrato oscillò tra un appoggio
di facciata e l’evocazione di un colpo di stato ai suoi danni. In regime di
austerità contro la crisi finanziaria vaste resistenze sociali si fecero
sentire, nonostante lo stato di grazia e certe durezze riformiste dei primi due,
tre mesi. In regime di ripresa, rinascita, ritorno dello stato, spesa pubblica
in deficit, vincolo esterno concreto per riforme da anni dovute, in questo
contesto di unità nazionale la maestria nell’uso politico decisionista di
un’autorità che integra e sostituisce quella dei partiti si sente come un
esperimento inedito e per certi versi inaudito anche in Europa. De Gaulle,
Adenauer, Brandt, Thatcher furono esperienze limite, nel loro nome si
costruirono mutamenti e prodigiosi ribaltamenti di fronte istituzionale e
sociale, si facevano pezzi di storia politica.

 



Oggi il famoso laboratorio italiano produce una specie di sospensione della
storia politica, e in Draghi uomo solo al comando si incarna una nozione
dell’autorità indiscussa e illimitata che è una novità, una grande occasione per
un paese che l’autorevolezza l’aveva smarrita per strada da tempo, se mai in
quei termini l’aveva conosciuta, e ovviamente anche un rischio.

Di più su questi argomenti:
 * mario draghi
 * governo draghi

 * 
 * Giuliano Ferrara Fondatore

 * "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al
   partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né
   retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di
   padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del
   Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli
   antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.


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