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ECONOMIA


RIFORMA PENSIONI: ABBASSAMENTO DELL’ETÀ UFFICIALE ED ELIMINAZIONE DELLE
SCAPPATOIE


ANCHE IL GOVERNO DRAGHI È RIMASTO INVISCHIATO NEL SEMPRE APERTO CANTIERE PER LA
RIFORMA DELLE PENSIONI. MANCA UNA VISIONE D'INSIEME.

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Giuseppe Timpone
3 ore fa - 23 Dicembre 2021, ore 07:40

E anche il governo Draghi è caduto nella ragnatela della riforma delle pensioni.
Dopo lo sciopero generale della settimana scorsa, i sindacati si sono presentati
uniti al tavolo delle trattative con i rappresentanti dell’esecutivo, aperto su
tre fronti: flessibilità, misure a favore di giovani e donne, previdenza
complementare. Il dibattito ruota sempre attorno allo stesso oggetto: la fine di
quota 100. Fino al 31 dicembre sarà possibile andare in pensione con almeno 62
anni di età e 38 anni di contributi. Dall’anno prossimo, questa opzione verrà
meno. Al suo posto, ci sarà per un solo anno quota 102: in pensione a 64 anni di
età e 38 di contributi. Per il futuro, non esiste ancora una prospettiva certa.

Sappiamo ad oggi che il governo Draghi punta a concedere flessibilità in uscita
per ragioni di equità, ma compatibilmente con la solidità del sistema
previdenziale. Ed ecco affacciarsi l’ipotesi di allargare l’Ape Social ai
lavoratori che svolgono professioni pesanti, nonché di puntare sul pensionamento
anticipato con il solo calcolo contributivo.

Tutte le parti in gioco hanno le loro ragioni. Andare in pensione a 67 anni e
tendenzialmente a 71 anni da qui alla metà del secolo non è cosa facile per
tutti. Gli operai sui ponti rischiano la loro salute oltre una certa età, né le
imprese sono felici di tenerli in organico in tarda età. D’altra parte, mandare
in pensione tutti “presto” non è sostenibile, anche perché le nascite sono poche
e il numero dei pensionati tende a crescere di anno in anno.



RIFORMA PENSIONI, LE RAGIONI DEL FLOP

Tuttavia, i numeri raccontano anche che, a fronte di un’età pensionabile
ufficiale di 67 anni, la più alta d’Europa, effettivamente un lavoratore
italiano continui ad andare in pensione a 61,8 anni.


Lo conferma l’OCSE, secondo cui la media dell’area è di 63,1 anni. Com’è
possibile? Grazie o a causa, scegliete voi, dell’abbondante e frastagliata
flessibilità concessa da numerose scappatoie. Esiste la pensione anticipata con
42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne;
l’Ape Social che consente di andare in pensione a certe categorie con 30 anni di
contributi; Opzione Donna già a 58 anni di età; pochi usufruiscono anche della
pensione interamente contributiva a 64 anni con 20 anni di contributi, etc.

Nell’insieme, siamo riusciti a creare un sistema previdenziale iniquo, confuso e
non sostenibile. Insomma, siamo stati capaci di scontentare proprio tutti. Il
male dei mali è considerato dai più la legge Fornero, ma già da prima si cercava
di allungare l’età pensionabile con palliativi grotteschi, come quello di
erogare il primo assegno a distanza di 13 mesi dal raggiungimento dei requisiti.
L’innalzamento dell’età ufficiale è servita all’allora governo Monti per fare la
faccia feroce in pubblico e rassicurare i mercati e l’Europa circa lo stato dei
nostri conti pubblici. Comprensibile, ma nei fatti inefficace. Dal giorno
successivo, la politica si è messa in moto per trovare le mille scappatoie con
cui svuotare di significato la riforma da essa stessa votata, al fine di placare
le ire delle categorie.


Sarebbe stato e continua ad essere meglio propendere a un’età pensionabile
ufficiale più bassa, magari non sotto i 65-65 anni e mezzo.


In cambio, dovrebbero essere eliminate quasi tutte le scappatoie che consentono
alle categorie più sindacalizzate di lasciare il lavoro troppo presto. Riuscire
ad innalzare l’età pensionabile effettiva a 64 anni sarebbe un obiettivo
grandioso per la nostra credibilità internazionale. Ma una simile riforma
sconterebbe critiche feroci tra i lavoratori a cui non sarebbe più consentito
andare in pensione a 60 anni o anche prima. Perplessità sorgerebbero anche in
Europa per via dell’ammorbidimento del requisito principale. Solo un governo
credibile come quello di Mario Draghi riuscirebbe a convincere Bruxelles che
meglio sarebbe smetterla di fingersi duri per consolidare la stabilità dei conti
INPS nei decenni.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

Argomenti: Economia Italia, Pensioni, Top News




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